Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

venerdì 25 aprile 2014

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Quattro grandi inganni dell’euro




Alberto Alesina

I quattro grandi bluff dell’Unione monetaria

Corriere della Sera, 15 dicembre 1997. 



Quattro grandi inganni dell’euro




Tutti gli opinion polls [sondaggi] rivelano che gli italiani sono i più entusiasti sostenitori dell’Unione monetaria europea.
Dopo la crisi del settembre 1992 quando la lira e la sterlina uscirono dal Sistema monetario europeo, le prospettive della moneta unica erano così incerte che nessuno, al di fuori dei ben retribuiti eurocrati di Bruxelles, se ne interessò più molto.
Da qualche mese a questa parte, invece, la discussione ha preso una svolta ben diversa: dato che la moneta unica si farà senz’altro, si dice, il problema è di non restar fuori, e quindi si deve raggiungere il 3 per cento del rapporto deficit/PIL, e non il 3,5%.
(Come se questa differenza avesse alcun significato economico o persino contabile).

In questa orgia di numeri su migliaia di miliardi volanti da un capitolo all’altro del bilancio e da una Finanziaria all’altra e discussioni sulla terza cifra decimale del rapporto deficit/PIL, si è persa l’occasione di una pacata discussione sui costi dell’Unione monetaria, al di là di una vaga retorica europeista.

Secondo i sostenitori dell’Unione monetaria, questi sono i suoi principali vantaggi:

1) L’Unione monetaria è necessaria per mantenere un mercato comune europeo.
Non è vero. Ciò che crea un mercato comune è l’assenza di barriere doganali esplicite o nascoste, la libera circolazione di beni, servizi e capitali, l’assenza di regolamentazioni pubbliche intrusive (comprese quelle originanti a Bruxelles) e la flessibilità del mercato del lavoro.
In un sistema di libero commercio internazionale il "mercato" di ogni Paese è il resto del mondo.
Nel 1946 c’erano 74 Paesi nel mondo, oggi ce ne sono 192: più della metà di questi ha una popolazione inferiore ai 6 milioni di abitanti.
Nello stesso mezzo secolo il volume del commercio internazionale è esploso, ed oggi, con 192 Paesi indipendenti si parla di economia globale come mai prima d’ora.
Molti dei Paesi che sono cresciuti più in fretta negli ultimi tre decenni sono molto piccoli, come ad esempio Singapore.

2) I cambi flessibili creano rischi per gli operatori ed ostacolano il commercio internazionale.
Non esiste alcuna evidenza che la flessibilità dei tassi di cambio riduca la crescita del commercio internazionale.
Dal 1953 al 1973 nel periodo dei cambi fissi di Bretton Woods il volume del commercio internazionale è cresciuto a tassi pari a circa la metà degli stessi tassi di crescita del ventennio seguente, cioè in un periodo di cambi molto più flessibili.
Il rischio di cambio si può facilmente ridurre o eliminare con operazioni di hedging [copertura].
Le cifre su quanto un turista perde cambiando monete europee ai botteghini degli aeroporti, costi spesso menzionati dagli europeisti più entusiasti, non hanno alcun significato macroeconomico.
In ogni caso, la mancanza di flessibilità dei tassi di cambio ha anche dei costi: elimina un canale di stabilizzazione a shock nazionali.
Il Financial Times continua a ripetere che il Regno Unito fa bene a rimanere fuori dall’unione monetaria (per qualche anno almeno) perché quel Paese ha un ciclo sfasato rispetto al resto dell’Europa.
Ma cicli sfasati rimarranno anche dopo l’Unione monetaria e non solo per il Regno Unito.
Se un Paese nell’Unione monetaria subisce uno choc di domanda negativo, qualcosa deve essere mobile e flessibile: o i salari monetari, o la forza lavoro o i tassi di cambio.
Dato che i salari monetari sono rigidi al ribasso, la mobilità del lavoro in Europa è bassissima, l’Unione monetaria che fissa i tassi di cambio rende l’aggiustamento agli choc molto difficile e renderà la disoccupazione ancora più permanente.
Certo una soluzione sarebbe rendere il mercato del lavoro meno rigido, ma la sinistra europea (compresa quella italiana oggi così favorevole all’Unione monetaria) si è sempre opposta a qualunque politica di flessibilità del mercato del lavoro. 1
Negli Stati Uniti, una Unione monetaria di dimensioni simili all’Europa, choc regionali asimmetrici sono corretti da una forte mobilità geografica della forza lavoro e dalla flessibilità dei salari reali e nominali.
In più, il sistema fiscale provvede notevoli sistemi compensativi: per ogni dollaro di riduzione del reddito disponibile in uno stato americano, tra i 30 e 40 centesimi sono recuperati da compensazioni fiscali.
Sarebbero disposti, diciamo, i cittadini danesi a compensare in questa misura, uno choc che colpisce, per esempio, l’Italia del Sud?
Molto probabilmente no, quindi neanche il sistema fiscale europeo correggerebbe questi choc asimmetrici.

3) L’Unione monetaria ha facilitato la riduzione dell’inflazione e dei deficit pubblici.
Negli anni Novanta l’inflazione è scesa in tutto il mondo, con o senza Unione monetaria.
Non è affatto chiaro che l’inflazione sia scesa più rapidamente nei Paesi aderenti al Sistema monetario europeo che negli altri Paesi OCSE.
Dopo i grandi deficit della fine anni Settanta e primi Ottanta, numerosi aggiustamenti fiscali sono avvenuti dentro e fuori l’Unione monetaria.
E’ vero che il deficit italiano sarebbe più alto senza la spada di Damocle della regola del 3%.
E allora?
Sostenere che uno dei principali benefici della più importante riforma del sistema monetario internazionale dopo Bretton Woods è che l’Italia avrà un deficit del 3% del PIL invece che del 5% del PIL nel 1998 fa sorridere, soprattutto al di là delle Alpi.
Un nuovo sistema di cambio che dovrebbe durare per decenni va giudicato per i suoi meriti intrinseci e globali.

4) L’Unione monetaria è solo un passo verso la vera meta che è una forma di unione politica.
Questo è forse l’argomento più convincente, se si pensa che l’Unione politica riduca il pericolo di conflitti intraeuropei, che, storicamente, sono stati catastrofici.
La realtà però è l’opposto.
Con ogni probabilità i contrasti tra Paesi europei aumenteranno al crescere della tendenza a coordinare politiche monetarie, fiscali, di welfare eccetera.
Costringere Paesi con culture e tradizioni diverse ad uniformare politiche di vario genere, soprattutto quando la necessità economica del coordinamento è alquanto dubbia, è un’operazione inutile e potenzialmente molto pericolosa.
Infatti l’animosità tra Paesi europei non è stata mai così alta in tempi recenti come negli ultimi mesi, all’avvicinarsi dell’Unione monetaria.
Lo stesso conflitto franco-tedesco sulla nomina del primo governatore della Banca Centrale Europea è un sintomo chiaro.
Delle due l’una: o questo conflitto rivela forti differenze di filosofia sulla politica monetaria, oppure rivela forti tendenze nazionalistiche, soprattutto da parte della Francia che non ha ancora capito di non essere più una grande potenza.
In entrambi i casi, questo conflitto non rivela niente di buono sulla futura politica monetaria comune.
Infine, per ciò che concerne l’Italia, l’entusiasmo per partecipare all’Unione è descritto, anche in ambienti governativi, come un modo per difenderci da noi stessi, cioè un modo per trasferire potere politico a Bruxelles e Francoforte e toglierlo a Roma.
Probabilmente questo è un ottimo motivo per aderire all’Unione, ma, diciamocelo: che tristezza.
(Eccetto per gli eurocrati).


[FINE]


1 Come è noto, la sinistra, e in particolare quello che ora si chiama Partito Democratico, ha aggiornato la sua posizione nei diciassette anni trascorsi da questo articolo: sempre così favorevole all’euro è oggi anche così favorevole a una politica di estrema flessibilità del mercato del lavoro.


giovedì 24 aprile 2014

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Miti dell’austerità




Paul Krugman

Myths of Austerity

The New York Times, 1 luglio 2010.
Pubblicazione disponibile qui.



Miti dell’austerità

[ Traduzione di Giorgio D.M. * ]



Quando ero giovane e ingenuo pensavo che le persone importanti prendessero le decisioni considerando attentamente le alternative disponibili.
Ora sono più esperto.
La maggior parte delle convinzioni delle Persone Serie [Serious People] si basa su pregiudizi, non sul ragionamento.
E questi pregiudizi sono soggetti a mode e ad entusiasmi passeggeri.

Questo mi conduce all’argomento di questo articolo.
Negli ultimi mesi, io ed altri abbiamo assistito, con meraviglia e orrore, all’emergere di un consenso nel mondo politico a favore di una immediata austerità fiscale.
E’ cioè divenuta opinione comune che adesso sia il momento di tagliare la spesa pubblica, nonostante il fatto che le maggiori economie del mondo siano ancora profondamente depresse.


Questa opinione comune non si basa né sull’evidenza dei fatti né su di una analisi attenta di essi.
Si basa invece su quella che potremmo caritatevolmente chiamare pura speculazione, e meno caritatevolmente il frutto delle fantasie delle elite politiche - e specificatamente di quella che io chiamo la fede negli invisibili guardiani del debito pubblico [invisible bond vigilantes] e nella fata della fiducia [confidence fairy]. 

I guardiani del debito pubblico sono gli investitori che staccano la spina ai governi che percepiscono come incapaci o non desiderosi di rimborsare i loro debiti.
Qui non si discute del fatto che gli Stati possano soffrire delle crisi di fiducia (si veda alla voce Grecia, debito della).
Ma quello che i sostenitori dell’austerità affermano è che (a) i guardiani del debito pubblico stanno per attaccare gli Stati Uniti, e (b) che qualsiasi ulteriore spesa compiuta per stimolare l’economia scatenerà il loro attacco.

Quali motivi abbiamo per credere che tutto questo sia vero?
Sì, gli Stati Uniti hanno dei problemi di bilancio di lungo periodo, ma quello che decidiamo di compiere nei prossimi due anni per stimolare l’economia non ha quasi alcuna incidenza sulla nostra capacità di affrontare questi problemi di lungo periodo.
Come ha recentemente detto Douglas Elmendorff, direttore del Congressional Budget Office, “non c’è alcuna contraddizione intrinseca tra il fornire un ulteriore stimolo all’economia oggi che il tasso di disoccupazione è elevato e molte fabbriche e uffici sono sottoutilizzati, e l’imporre una restrizione fiscale tra alcuni anni, quando la produzione e l’occupazione saranno probabilmente vicine al loro potenziale".

Eppure, ogni pochi mesi ci viene detto che i guardiani del debito pubblico sono arrivati​​, e che dobbiamo imporre l'austerità ora, adesso, subito, per placarli.
Tre mesi fa, un lieve rialzo dei tassi di interesse a lungo termine è stato accolto quasi con isteria: “I timori sul debito pubblico fanno alzare i tassi” è stato il titolo de The Wall Street Journal, sebbene non ci fosse alcuna evidenza di tali timori, e Alan Greenspan ha definito il rialzo un "canarino nella miniera".

Dopo di allora i tassi di interesse a lungo termine sono scesi di nuovo.
Lungi dal fuggire dal debito pubblico degli Stati Uniti, gli investitori evidentemente lo considerano come la loro scommessa più sicura in un'economia in difficoltà.
Eppure i sostenitori dell’austerità ci assicurano ancora che i guardiani del debito pubblico attaccheranno da un giorno all'altro se non tagliamo immediatamente la spesa pubblica.

Non preoccupatevi però: i tagli della spesa pubblica possono fare male, ma la fata della fiducia farà andare via il dolore.
“L’idea che le misure di austerità possano provocare il ristagno dell’economia non è corretta” ha dichiarato Jean-Claude Trichet, il presidente della Banca Centrale Europea, in una recente intervista
Perché?
Perché “le politiche che ispirano fiducia alimenteranno e non danneggeranno la ripresa economica”.

Qual è l’evidenza a sostegno della convinzione che l’austerità sia davvero espansiva per il fatto che essa aumenta la fiducia (che è precisamente la dottrina esposta da Herbert Hoover nel 1932)?
Ci sono stati casi nel passato di tagli della spesa e di incrementi dell’imposizione fiscale seguiti da una crescita economica.
Ma ognuno di quegli esempi si dimostra, ad un esame più attento, un caso nel quale gli effetti negativi dell’austerità sono stati compensati da altri fattori, fattori che non sono probabilmente rilevanti oggi.
Ad esempio, il caso del periodo di austerità-con-crescita-economica dell’Irlanda degli anni ’80 dipese da un drastico passaggio da un deficit ad un avanzo della bilancia commerciale, una strategia che non possono perseguire tutti i paesi nello stesso tempo.

E gli esempi attuali di austerità non sono affatto incoraggianti.
L’Irlanda è stato un bravo soldatino nel corso della crisi, e ha attuato con accanimento tagli selvaggi della spesa pubblica.
La sua ricompensa è stata un crollo dell’economia simile a quello della depressione del ’29 - e i mercati finanziari hanno continuato a trattarla come un paese con un grave rischio di default.
Altri bravi soldatini, la Lettonia e l’Estonia, hanno fatto anche di peggio - e tutte e tre queste nazioni hanno avuto - che lo si creda o no - diminuzioni della produzione e dell’occupazione più gravi di quelle dell’Islanda che fu costretta dall’ampiezza della sua crisi finanziaria ad adottare politiche meno ortodosse.

Dunque, la prossima volta che sentirete delle persone apparentemente serie spiegare la necessità dell’austerità, provate ad analizzare quello che dicono.
Quasi certamente, scoprirete che quello che sembra realismo ostinato si fonda in realtà su delle fantasie, sulla fede nel fatto che invisibili guardiani ci puniranno se ci comportiamo male e che la fata della fiducia ci premierà se ci comportiamo bene.
La politica del mondo reale - quella politica che rovinerà le vite di milioni di famiglie di lavoratori - si sta oggi costruendo su queste basi


[FINE]


* Ho aggiunto i link al testo.


mercoledì 23 aprile 2014

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La falsa unione bancaria europea




Philippe Legrain

Europe’s Bogus Banking Union   

Project Syndicate, 8 aprile 2014.
Pubblicazione disponibile qui



La falsa unione bancaria europea

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]  



Dopo una sessione di negoziati protrattasi per ben 16 ore e terminata il 20 marzo, politici, tecnocrati e giornalisti sono stati tutti ansiosi di dichiarare un successo l’accordo sull’ultima parte dell’unione bancaria europea.
Ma le apparenze ingannano.
Se anche la “unione bancaria” potrà presto esistere sulla carta, in pratica è probabile che il sistema bancario della zona euro rimarrà frammentato lungo i confini nazionali e diviso tra un “centro” [core] dell’Europa del Nord, nel quale gli Stati continueranno a sostenere le banche locali, e una “periferia” [periphery] dell’Europa del Sud, nella quale gli Stati hanno finito i soldi.

Si ripensi al giugno del 2012.
Le banche spagnole sull’orlo del fallimento minacciavano di trascinare a fondo lo Stato spagnolo, come quelle irlandesi avevano fatto con lo Stato irlandese diciotto mesi prima, e il panico si diffondeva nella zona euro.
I leader dell’Unione Europea decisero di spezzare il legame tra banche deboli e Stati privi di liquidità.
Una unione bancaria europea avrebbe dovuto trasferire la responsabilità di affrontare il problema delle banche sull’orlo del fallimento al livello della zona euro - in modo simile a quanto avviene negli Stati Uniti dove il problema delle banche in difficoltà in Florida, ad esempio, è gestito dalle autorità federali che hanno il potere di coinvolgere nel salvataggio gli obbligazionisti delle banche, di iniettare capitali pubblici e di chiudere le istituzioni finanziarie.

Un mese più tardi però la Banca Centrale Europea intervenne per porre fine al panico.
L’intervento della BCE salvò l’euro ma tolse anche la pressione esistente sulla Germania affinché cedesse il controllo sulle sue banche in difficoltà.
Da allora il governo tedesco ha utilizzato tutta la sua influenza per snaturare l’unione bancaria proposta, e tutto quello che oggi rimane di essa è un guscio vuoto che serve giusto a salvare le apparenze.  

In primo luogo, l’unione bancaria non riguarderà le enormi perdite accumulate nel corso dell’attuale crisi.
La Banca Centrale Europea inizierà a vigilare direttamente sulle banche maggiori della zona euro in novembre (il primo passo dell’unione bancaria) e sta oggi valutando la solidità dei loro bilanci.
Se l’esercizio [l’esame della qualità degli attivi delle banche o asset quality review] sarà condotto correttamente - ed è un grande se - le banche giudicate valide ma dotate di un capitale insufficiente saranno costrette a raccogliere capitale addizionale, dagli obbligazionisti se necessario, mentre le banche giudicate non valide saranno poste in liquidazione.

Le norme dell’Unione Europea in materia di risoluzione delle banche nazionali non saranno però ancora entrate in vigore mentre il meccanismo unico di risoluzione [single resolution mechanism] sarà avviato solo nel 2015.
Così le banche dell’Europa del Nord, che sono ancora sostenute da governi solvibili, verranno trattate in modo diverso rispetto alle banche dell’Europa del Sud nella quale gli Stati sono a corto di denaro: la Germania può permettersi di salvare le sue banche; l'Italia non può.

Più probabilmente, la Banca Centrale Europea eviterà di condurre rigorosamente l’esercizio, per il timore di innescare di nuovo la crisi finanziaria e per le pressioni esercitate dai governi nazionali.
Saranno scelti i paesi piccoli per far sembrare che l’esercizio sia stato eseguito duramente, ma i problemi maggiori saranno nascosti sotto il tappeto: le banche tedesche sono già riuscite a sottrarre molti dei loro attivi [cioè sostanzialmente molti dei crediti concessi] alla valutazione.

Un argomento portato a sostegno dell’idea di rendere la Banca Centrale Europea il cane da guardia delle banche della zona euro è stato quello secondo il quale essa sarebbe stata meno catturata dalle banche rispetto alle autorità di vigilanza nazionali.
Il comportamento della BCE durante la crisi però suggerisce il contrario.
La Banca Centrale Europea ha ripetutamente dato la priorità agli interessi delle banche dei paesi del "centro" e si è dimostrata più duttile alla pressione politica esercitata da Berlino e Parigi piuttosto che da Madrid o Roma, per non parlare di Dublino o Atene.

Anche quando la nuova struttura dell’unione bancaria sarà pienamente attiva essa sarà piena di buchi.
Su insistenza della Germania, la Banca Centrale Europea vigilerà solo sulle circa 130 maggiori banche della zona euro.
In questo modo le minori Ländesbanken (banche regionali di proprietà statale), molte delle quali hanno preso decisioni creditizie spettacolarmente pessime negli anni della bolla immobiliare negli Stati Uniti, e le Sparkassen (casse di risparmio minori) saranno lasciate nelle mani dei politici locali e sottoposte alla docile vigilanza finanziaria della Germania.

L’argomento secondo il quale i piccoli istituti di credito non rappresentano una minaccia sistemica è falso: si considerino le cajas [casse di risparmio] spagnole.
In ogni caso, non ci sarà parità di condizioni.

Soprattutto, il meccanismo unico di risoluzione è un miraggio, perché i governi nazionali mantengono un diritto di veto sulla decisione di chiudere una qualsiasi banca.
Il meccanismo è stato deliberatamente reso complesso sino al punto di renderlo inapplicabile; è inconcepibile che una banca possa essere liquidata in un fine settimana per evitare il panico del mercato.
E i fondi collettivi che alla fine saranno a disposizione di questo meccanismo sono scarsi: solo 55 miliardi di euro.

In pratica, quindi, il salvataggio delle banche rimarrà compito dei governi nazionali, ciascuno dei quali è catturato dalle “sue” banche ma la cui capacità di intervenire in loro aiuto è molto diversa: le banche francesi e tedesche saranno salvate; le banche cipriote no.
Per aumentare le loro probabilità di essere salvate, le banche della periferia della zona euro senza dubbio si indebiteranno il più possibile con le banche legate al potere politico e con gli investitori dei paesi del centro della zona euro.
Così i contribuenti di ciascun paese si dovranno ancora accollare le perdite dei banchieri.

Il risultato è che la zona euro nel complesso si trova probabilmente ad affrontare un sistema bancario zombie, con solo sporadici tentativi di ristrutturare le banche con decisione e in modo equo.
Ancora peggio, aumenterà il divario tra il Nord e il Sud Europa, tra il centro e la periferia della zona euro, con banche sostenute dai contribuenti da un lato e banche che si devono arrangiare dall’altro.

Questo è un punto a favore dei contribuenti in difficoltà dell’Europa del Sud, ma implica che nel prossimo futuro anche le banche solide [della periferia] potranno dover sopportare dei costi di finanziamento più elevati rispetto alle banche dubbie dell’Europa del Nord.
Le imprese dell’Europa meridionale dovranno quindi fare fronte a dei costi di finanziamento maggiori rispetto alle imprese dell’Europa settentrionale, che ne ostacoleranno la crescita.

La falsa unione bancaria è così una ricetta per approfondire la divisione economica e politica della zona euro.


[FINE]



martedì 22 aprile 2014

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Achille e il fiscal compact



Zenone, filosofo di Elea, formulò un paradosso divenuto celebre: il paradosso di Achille e la tartaruga.

Il paradosso ci è stato tramandato attraverso la descrizione di Aristotele nella Fisica:

"Il secondo argomento è quello detto di Achille.
Eccolo: il più lento corridore non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce.
Infatti sarà necessario che l'inseguitore proceda fin là donde si è mosso il fuggitivo, quindi è necessario che il corridore più lento si trovi sempre un po' più innanzi".

Achille è veloce, la tartaruga lenta. 
Supponiamo che inizialmente la tartaruga abbia un certo vantaggio su Achille. 
Il paradosso dice che quando Achille sarà giunto nella posizione occupata inizialmente dalla tartaruga, questa avrà percorso una certo tratto in avanti, piccolo ma non nullo, e quindi sarà ancora davanti ad Achille. 
Anche quando Achille avrà raggiunto questa seconda posizione, la tartaruga si sarà spostata in avanti di una certa distanza, minore di quella percorsa in precedenza ma non nulla, e sarà ancora davanti ad Achille. 
E così via...
Il paradosso dice quindi che Achille non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga perché, ogni volta che sarà giunto nella posizione che essa occupava, la tartaruga si sarà spostata un poco più in là, sempre meno ma sempre davanti.





Ovviamente in realtà Achille raggiungerà la tartaruga.
E volendo possiamo anche calcolare dove e in che tempo.
Se la velocità di Achille è vA e la velocità della tartaruga è vT e la distanza iniziale tra Achille e la tartaruga è d, Achille raggiungerà la tartaruga quando la distanza che avrà percorso vA t sarà pari alla somma della distanza iniziale che lo separava dalla tartaruga e della distanza percorsa nello stesso tempo dalla tartaruga vT t.
Achille raggiungerà cioè la tartaruga quando

vA ∙ t = d + vT ∙ t

cioè nell’istante t = d / (vA - vT).
Se la tartaruga è avanti di un chilometro, Achille corre con una velocità di 10 metri al secondo e la tartaruga si muove con una velocità di 1 metro al minuto allora Achille raggiungerà la tartaruga in 1.000/(10-1/60)=100,17 secondi dopo aver corso per 100,1710=1.001,7 metri.


Ora, supponiamo che la tartaruga sia ferma, che la distanza che separa Achille dalla tartaruga sia di 200 metri e che Achille debba raggiungere la tartaruga in 20 secondi.
Con quale velocità deve correre Achille?
Applicando l’equazione vista, con vT = 0, abbiamo che deve essere vA ∙ t = d, cioè

vA  = d/t = 200/20 = 10 m/s

Per raggiungere la tartaruga in 20 secondi Achille deve correre con una velocità di 10 metri al secondo, che è semplicemente il rapporto tra la distanza da percorrere e il tempo che deve essere impiegato.
Se corre più velocemente la raggiungerà prima, se corre più lentamente la raggiungerà dopo.

Ma Achille si lamenta, dice che è faticoso correre così velocemente, dice che quando avrà percorso i primi dieci metri gliene mancheranno solo 190, quindi potrà rallentare, perché un ventesimo di 190 è pari a 9,5...

Achille, ma cosa dici! 
Secondo Zenone non avresti nemmeno potuto raggiungere la tartaruga, purchè lei si muovesse, ora tu dici che puoi raggiungerla, mentre è ferma, in venti secondi anche correndo meno velocemente di quanto è necessario?
Quando avrai percorso i primi dieci metri sarà già passato un secondo, quindi dovrai coprire i restanti 190 metri in 19 secondi: dovrai continuare a correre con una velocità di 10 metri al secondo!


In realtà non è Achille... è Angelo Baglioni, che, secondo un articolo de Il Fatto Quotidiano, avrebbe - il condizionale è d’obbligo - spiegato che, nell’applicazione del fiscal compact che richiede la riduzione del debito pubblico a una percentuale del PIL pari al 60% nell’arco di vent’anni (Art. 4), "il ritmo richiesto della discesa del debito" - la velocità di riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il PIL - "viene ricalcolato ogni anno" e che:

“Quindi, se il debito inizia a scendere la quota da ridurre si assottiglia via via: se ho un debito di 200 e lo riduco di un ventesimo arrivo a 190, quindi l’anno successivo il ventesimo richiesto non sarà più 10, ma 9,5.“

Non è così, Achille, ops, Angelo.


Se nel 2015 il rapporto tra il debito pubblico e il PIL sarà pari al 135% e l’obiettivo è quello di portarlo al 60% nell’arco di venti anni, allora il rapporto tra il debito pubblico e il PIL dovrà essere ridotto, in media, di un ventesimo all’anno, cioè di una percentuale pari al 3,75%.



[FINE]



domenica 20 aprile 2014

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La legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio


 

Legge 24 dicembre 2012, n. 243

Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.
Legge approvata dalla Camera il 12 dicembre 2012 e dal Senato il 20 dicembre 2012
Hanno votato contro questa legge anticostituzionale tre (3) deputati - Francesco Barbato, Bruno Murgia e Mauro Pili - e quattro (4) senatori - Antonio Fosson, Oskar Peterlini, Manfred Pinzger e Helga Thaler Ausserhofer. 




La legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio




La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:


Capo I
OGGETTO E DEFINIZIONI


Art. 1
Oggetto


1.        La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, e dell'articolo 5 della medesima legge costituzionale.

2.        La presente legge può essere abrogata, modificata o derogata solo in modo espresso da una legge successiva approvata ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.


Art. 2
Definizioni


1.        Ai fini della presente legge, si intendono:
a)       per «amministrazioni pubbliche» gli enti individuati con le procedure e gli atti previsti, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, dalla normativa in materia di contabilità e finanza pubblica, articolati nei sottosettori delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale;
b)       per «conto consolidato» il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche formato dagli aggregati contabili delle entrate e delle spese di tali amministrazioni, classificati in conformità alle modalità stabilite dall'ordinamento dell'Unione europea;
c)       per «saldo del conto consolidato» l'indebitamento netto o l'accreditamento netto come definiti ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi di cui al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
d)       per «saldo strutturale» il saldo del conto consolidato corretto per gli effetti del ciclo economico al netto delle misure una tantum e temporanee e, comunque, definito in conformità all'ordinamento dell'Unione europea;
e)       per «obiettivo di medio termine» il valore del saldo strutturale individuato sulla base dei criteri stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea;
f)        per «fase favorevole e fase avversa del ciclo economico» le fasi del ciclo economico individuate come tali sulla base dei criteri stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea;
g)       per «obiettivi programmati» gli obiettivi di cui all'articolo 3, comma 3;
h)       per «saldo netto da finanziare o da impiegare» il risultato differenziale tra le entrate tributarie, extratributarie, da alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e da riscossione di crediti e le spese correnti e in conto capitale.

2.        Gli obiettivi riferiti ai saldi di cui al comma 1, lettere c) e d), e il valore di cui al medesimo comma 1, lettera e), sono indicati nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio presentati dal Governo alle Camere per le conseguenti deliberazioni parlamentari.


Capo II
EQUILIBRIO DEI BILANCI E SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE


Art. 3
Principio dell'equilibrio dei bilanci


1.        Le amministrazioni pubbliche concorrono ad assicurare l'equilibrio dei bilanci ai sensi dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione.

2.        L'equilibrio dei bilanci corrisponde all'obiettivo di medio termine.

3.        I documenti di programmazione finanziaria e di bilancio stabiliscono, per ciascuna annualità del periodo di programmazione, obiettivi del saldo del conto consolidato, articolati per sottosettori, tali da assicurare almeno il conseguimento dell'obiettivo di medio termine ovvero il rispetto del percorso di avvicinamento a tale obiettivo nei casi previsti dagli articoli 6 e 8. Nei medesimi documenti sono indicate le misure da adottare per conseguire gli obiettivi del saldo del conto consolidato.

4.        Gli obiettivi di cui al comma 3 possono, in conformità all'ordinamento dell'Unione europea, tenere conto dei riflessi finanziari delle riforme strutturali con un impatto positivo significativo sulla sostenibilità delle finanze pubbliche.

5.        L'equilibrio dei bilanci si considera conseguito quando il saldo strutturale, calcolato nel primo semestre dell'esercizio successivo a quello al quale si riferisce, soddisfa almeno una delle seguenti condizioni:
a)       risulta almeno pari all'obiettivo di medio termine ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo obiettivo inferiore a quello indicato dall'articolo 8, comma 1;
b)       assicura il rispetto del percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine nei casi previsti dagli articoli 6 e 8 ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo percorso inferiore a quello indicato dall'articolo 8, comma 1.


Art. 4
Sostenibilità del debito pubblico


1.        Le amministrazioni pubbliche concorrono ad assicurare la sostenibilità del debito pubblico ai sensi dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione.

2.        I documenti di programmazione finanziaria e di bilancio stabiliscono obiettivi relativi al rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo coerenti con quanto disposto dall'ordinamento dell'Unione europea.

3.        Qualora il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo superi il valore di riferimento definito dall'ordinamento dell'Unione europea, in sede di definizione degli obiettivi di cui all'articolo 3, comma 3, si tiene conto della necessità di garantire una riduzione dell'eccedenza rispetto a tale valore in coerenza con il criterio e la disciplina in materia di fattori rilevanti previsti dal medesimo ordinamento.
 
4.        Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, comma 6, non è consentito il ricorso all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie.


Art. 5
Regole sulla spesa


1.        Il tasso annuo programmato di crescita della spesa delle amministrazioni pubbliche, al netto delle poste indicate dalla normativa dell'Unione europea, non può essere superiore al tasso di riferimento calcolato in coerenza con la medesima normativa.

2.        Al fine di assicurare il rispetto del tasso di crescita di cui al comma 1 e il conseguimento degli obiettivi programmatici, i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio indicano, per il triennio di riferimento, il livello della spesa delle amministrazioni pubbliche.

3.        Il Ministro dell'economia e delle finanze, avvalendosi della collaborazione delle amministrazioni interessate, provvede al monitoraggio del rispetto del livello di cui al comma 2. Il Governo, qualora preveda il superamento di tale livello, trasmette una relazione alle Camere, evidenziando le eventuali misure correttive da adottare al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi programmatici.


Art. 6
Eventi eccezionali e scostamenti dall'obiettivo programmatico strutturale


1.        Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, scostamenti temporanei del saldo strutturale dall'obiettivo programmatico sono consentiti esclusivamente in caso di eventi eccezionali.

2.        Ai fini della presente legge, per eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, si intendono:
a)       periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea;
b)       eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese.

3.        Il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi di cui al comma 2, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi di cui al comma 2.
Il piano di rientro è attuato a decorrere dall'esercizio successivo a quelli per i quali è autorizzato lo scostamento per gli eventi di cui al comma 2, tenendo conto dell'andamento del ciclo economico.
La deliberazione con la quale ciascuna Camera autorizza lo scostamento e approva il piano di rientro è adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.

4.        Le risorse eventualmente reperite sul mercato ai sensi del comma 3 possono essere utilizzate esclusivamente per le finalità indicate nella richiesta di cui al medesimo comma.

5.        Il piano di rientro può essere aggiornato con le modalità di cui al comma 3 al verificarsi di ulteriori eventi eccezionali ovvero qualora, in relazione all'andamento del ciclo economico, il Governo intenda apportarvi modifiche.

6.        Le procedure di cui al comma 3 si applicano altresì qualora il Governo intenda ricorrere all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie al fine di fronteggiare gli eventi straordinari di cui al comma 2, lettera b).


Capo III
MECCANISMO DI CORREZIONE


Art. 7
Monitoraggio degli scostamenti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica


1.        Il Ministro dell'economia e delle finanze assicura il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica.
Il Governo, qualora preveda che nell'esercizio finanziario in corso si determinino scostamenti del saldo del conto consolidato o del saldo strutturale rispetto agli obiettivi programmatici, riferisce alle Camere.


Art. 8
Meccanismo di correzione degli scostamenti rispetto all'obiettivo programmatico strutturale


1.        Il Governo, nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, in base ai dati di consuntivo, verifica se, rispetto all'obiettivo programmatico, si registri uno scostamento negativo del saldo strutturale, con riferimento al risultato dell'esercizio precedente ovvero, in termini cumulati, ai risultati dei due esercizi precedenti, pari o superiore allo scostamento considerato significativo dall'ordinamento dell'Unione europea e dagli accordi internazionali in materia, ad esclusione degli scostamenti autorizzati ai sensi dell'articolo 6.
Il Governo, qualora stimi che tale scostamento si rifletta sui risultati previsti per gli anni compresi nel periodo di programmazione, ne evidenzia l'entità e le cause e indica contestualmente misure tali da assicurare, almeno a decorrere dall'esercizio finanziario successivo a quello in cui è stato accertato lo scostamento, il conseguimento dell'obiettivo programmatico strutturale.

2.        I documenti di programmazione finanziaria e di bilancio indicano la misura e l'articolazione temporale delle correzioni di cui al comma 1 a carico dei singoli sottosettori, anche tenendo conto del rispettivo concorso allo scostamento e delle esigenze di coordinamento della finanza pubblica.

3.        Le deliberazioni parlamentari di cui all'articolo 6, comma 3, possono disporre la sospensione dell'operatività del meccanismo di correzione previsto dal presente articolo sino all'esercizio precedente a quello a partire dal quale ha inizio l'attuazione del piano di rientro di cui al medesimo comma.


Capo IV
EQUILIBRIO DEI BILANCI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI E CONCORSO DEI MEDESIMI ENTI ALLA SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO PUBBLICO


Art. 9
Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali


1.        I bilanci delle regioni, dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendiconto, registrano:
a)       un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali;
b)       un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.

2.        Salvo quanto previsto dall'articolo 10, comma 4, qualora, in sede di rendiconto di gestione, un ente di cui al comma 1 del presente articolo registri un valore negativo dei saldi di cui al medesimo comma 1, lettere a) e b), adotta misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il triennio successivo.

3.        Eventuali saldi positivi sono destinati all'estinzione del debito maturato dall'ente. Nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea e dell'equilibrio dei bilanci, i saldi positivi di cui al primo periodo possono essere destinati anche al finanziamento di spese di investimento con le modalità previste dall'articolo 10.

4.        Con legge dello Stato sono definite le sanzioni da applicare agli enti di cui al comma 1 nel caso di mancato conseguimento dell'equilibrio gestionale sino al ripristino delle condizioni di equilibrio di cui al medesimo comma 1, lettere a) e b), da promuovere anche attraverso la previsione di specifici piani di rientro.

5.        Nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge, al fine di assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, la legge dello Stato, sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di virtuosità, può prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche.

6.        Le disposizioni di cui al comma 5 si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione.


Art. 10
Ricorso all'indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali


1.        Il ricorso all'indebitamento da parte delle regioni, dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalità e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato.

2.        In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei quali sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonché le modalità di copertura degli oneri corrispondenti.

3.        Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l'anno di riferimento, l'equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione, come definito dall'articolo 9, comma 1, lettera a).
A tal fine, ogni anno i comuni, le province e le città metropolitane comunicano alla regione di appartenenza ovvero alla provincia autonoma di appartenenza, secondo modalità stabilite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5 del presente articolo, il saldo di cassa di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a), che l'ente locale prevede di conseguire, nonché gli investimenti che intende realizzare attraverso il ricorso all'indebitamento o con i risultati di amministrazione degli esercizi precedenti.
Ciascun ente territoriale può in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione.

4.        Qualora, in sede di rendiconto, non sia rispettato l'equilibrio di cui al comma 3, primo periodo, il saldo negativo concorre alla determinazione dell'equilibrio della gestione di cassa finale dell'anno successivo del complesso degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione, ed è ripartito tra gli enti che non hanno rispettato il saldo previsto.

5.        Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato d'intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalità di attuazione del presente articolo.


Art. 11
Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali


1.        È istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il Fondo straordinario per il concorso dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal ricorso all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del ciclo economico del saldo del conto consolidato.
L'ammontare della dotazione del Fondo di cui al presente comma è determinato nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, sulla base della stima degli effetti dell'andamento del ciclo economico, tenendo conto della quota di entrate proprie degli enti di cui all'articolo 10, comma 1, influenzata dall'andamento del ciclo economico.

2.        Qualora le Camere autorizzino scostamenti temporanei del saldo strutturale rispetto all'obiettivo programmatico ai sensi dell'articolo 6, l'ammontare del Fondo di cui al comma 1 del presente articolo è determinato anche tenendo conto delle conseguenze degli eventi di cui al medesimo articolo 6 sulla finanza degli enti di cui all'articolo 10, comma 1.

3.        Il Fondo di cui al comma 1 è ripartito tra gli enti di cui all'articolo 10, comma 1, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun ente influenzata dall'andamento del ciclo economico e degli effetti degli eventi di cui al comma 2 del presente articolo sulla finanza dei singoli enti. Lo schema di decreto è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.


Art. 12
Concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico


1.        Le regioni, i comuni, le province, le città metropolitane e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilità del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche ai sensi del presente articolo, nonché, secondo modalità definite con legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge.

2.        Nelle fasi favorevoli del ciclo economico, i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, tenendo conto della quota di entrate proprie degli enti di cui al comma 1 influenzata dall'andamento del ciclo economico, determinano la misura del contributo del complesso dei medesimi enti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Tale contributo è incluso tra le spese di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a).

3.        Il contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenendo conto della quota di entrate proprie di ciascun ente influenzata dall'andamento del ciclo economico. Lo schema del decreto è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono espressi entro trenta giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.


Capo V
EQUILIBRIO DEI BILANCI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE NON TERRITORIALI


Art. 13
Equilibrio dei bilanci delle amministrazioni pubbliche non territoriali


1.        I bilanci delle amministrazioni pubbliche non territoriali che adottano la contabilità finanziaria si considerano in equilibrio quando, sia in fase di previsione che di rendiconto, registrano un saldo non negativo in termini di cassa e di competenza tra le entrate finali e le spese finali.
Ai fini della determinazione del saldo, l'avanzo di amministrazione può essere utilizzato, nella misura di quanto effettivamente realizzato, solo successivamente all'approvazione del rendiconto e comunque nel rispetto di eventuali condizioni e limiti previsti dalla legge dello Stato.

2.        I bilanci delle amministrazioni pubbliche non territoriali che adottano esclusivamente la contabilità economico-patrimoniale si considerano in equilibrio quando risultano conformi ai criteri stabiliti con legge dello Stato.

3.        Con legge dello Stato possono essere stabiliti ulteriori criteri al fine di assicurare l'equilibrio dei bilanci delle amministrazioni di cui al presente articolo, anche con riferimento alle singole categorie di amministrazioni, nonché i criteri per il recupero di eventuali disavanzi e le sanzioni conseguenti al mancato rispetto dell'equilibrio.


Capo VI
BILANCIO DELLO STATO


Art. 14
Principio dell'equilibrio del bilancio dello Stato


1.        L'equilibrio del bilancio dello Stato corrisponde ad un valore del saldo netto da finanziare o da impiegare coerente con gli obiettivi programmatici di cui all'articolo 3, comma 3.

2.        La legge di bilancio indica il valore di cui al comma 1 per ciascuno degli anni del triennio di riferimento.

3.        I nuovi o maggiori oneri derivanti dalla legge di bilancio devono risultare compatibili con il rispetto dell'equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio stesso, determinato ai sensi dell'articolo 3 e del comma 1 del presente articolo.

4.        Il rendiconto generale dello Stato indica il saldo netto da finanziare effettivamente conseguito nell'anno di riferimento e dà autonoma evidenza degli eventuali scostamenti rispetto al valore indicato dalla legge di bilancio ai sensi del comma 2.
Nella relazione allegata al disegno di legge recante il rendiconto generale dello Stato sono evidenziate le ragioni dello scostamento rispetto al valore indicato dalla legge di bilancio, tenendo anche conto delle eventuali variazioni derivanti dall'applicazione delle procedure statistiche relative al calcolo del saldo strutturale previste dall'ordinamento dell'Unione europea.


Art. 15
Contenuto della legge di bilancio


1.        Il disegno di legge di bilancio reca disposizioni in materia di entrata e di spesa aventi ad oggetto misure quantitative, funzionali a realizzare gli obiettivi programmatici indicati dai documenti di programmazione economica e finanziaria e le previsioni di entrata e di spesa formate sulla base della legislazione vigente.
Il disegno di legge di bilancio, articolato in due sezioni, costituisce la base per la gestione finanziaria dello Stato.

2.        La prima sezione contiene, per il periodo compreso nel triennio di riferimento, le disposizioni in materia di entrata e di spesa di cui al comma 1, con effetti finanziari aventi decorrenza nel triennio considerato dal bilancio.
In particolare essa contiene, in distinti articoli, con riferimento sia alle dotazioni di competenza sia a quelle di cassa, il saldo netto da finanziare, definito in coerenza con quanto previsto all'articolo 14, e il livello massimo del ricorso al mercato finanziario.
Non possono essere previste norme di delega, di carattere ordinamentale o organizzatorio, né interventi di natura localistica o microsettoriale.

3.        La seconda sezione del disegno di legge di bilancio contiene le previsioni di entrata e di spesa, espresse in termini di competenza e di cassa, formate sulla base della legislazione vigente, tenuto conto dei parametri economici indicati nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio e delle proposte di rimodulazioni da introdurre alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge dello Stato, apportando a tali previsioni, alle quali viene in ogni caso assicurata autonoma evidenza contabile, le variazioni determinate dalla prima sezione del disegno di legge.

4.        La seconda sezione contiene, nell'ordine di presentazione e di votazione, in distinti articoli, lo stato di previsione dell'entrata, gli stati di previsione della spesa distinti per Ministeri e il quadro generale riassuntivo con riferimento al triennio.
Con apposito articolo è annualmente stabilito l'importo massimo di emissione di titoli dello Stato, in Italia e all'estero, al netto dell'importo di quelli da rimborsare.

5.        Le entrate sono ripartite in titoli, in base alla natura o alla provenienza dei cespiti, entrate ricorrenti e non ricorrenti e tipologie, ai fini dell'accertamento dei cespiti.
Per la spesa, il bilancio si articola in missioni, che rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici, e in programmi, quali aggregati diretti al perseguimento degli obiettivi definiti nell'ambito delle missioni.
Le unità di voto parlamentare sono costituite, per le entrate, dalle tipologie e, per la spesa, dai programmi.

6.        Il disegno di legge di bilancio è accompagnato da una nota tecnico-illustrativa.
La nota è un documento conoscitivo di raccordo tra il disegno di legge di bilancio e il conto consolidato, che espone i contenuti del medesimo disegno di legge, i suoi effetti sui saldi di finanza pubblica e i criteri utilizzati per la quantificazione degli stessi.

7.        Le modifiche normative contenute nella prima sezione del disegno di legge di bilancio e le proposte di rimodulazione contenute nella seconda sezione relative a ciascuno stato di previsione sono corredate di una relazione tecnica sulla quantificazione degli effetti recati da ciascuna disposizione, nonché sulle relative coperture.
Alla relazione tecnica è allegato un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione ai fini del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, del saldo di cassa delle amministrazioni pubbliche e dell'indebitamento netto del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche.

8.        Con legge dello Stato è disciplinato il progressivo superamento delle gestioni contabili operanti a valere su contabilità speciali o conti correnti di tesoreria e la conseguente riconduzione delle relative risorse finanziarie al bilancio dello Stato.

9.        Con il disegno di legge di assestamento, da predisporre secondo il criterio della legislazione vigente, possono essere adottate variazioni compensative tra le dotazioni finanziarie, anche relative a unità di voto diverse, alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge dello Stato.

10.     Con legge dello Stato sono disciplinate le modalità di attuazione del presente articolo.


Capo VII
ORGANISMO INDIPENDENTE PER L'ANALISI E LA VERIFICA DEGLI ANDAMENTI DI FINANZA PUBBLICA E PER LA VALUTAZIONE DELL'OSSERVANZA DELLE REGOLE DI BILANCIO


Art. 16
Istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio


1.        È istituito, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1, l'organismo indipendente per l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio, che assume il nome di Ufficio parlamentare di bilancio, con sede in Roma, presso le Camere.

2.        L'Ufficio opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è costituito da un Consiglio di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati con decreto adottato d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nell'ambito di un elenco di dieci soggetti indicati dalle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti, secondo modalità stabilite dai Regolamenti parlamentari.
I membri del Consiglio sono scelti tra persone di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza in materia di economia e di finanza pubblica a livello nazionale e internazionale.
Al Presidente è riconosciuto un trattamento economico complessivo pari a quello previsto per il Presidente dell'Autorità' garante della concorrenza e del mercato. Ai membri del Consiglio è riconosciuto un trattamento economico complessivo pari all'80 per cento di quello spettante al Presidente.

3.        I membri del Consiglio sono nominati per sei anni e non possono essere confermati.
Essi non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza, né possono essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura. I dipendenti pubblici sono collocati fuori ruolo per l'intera durata del mandato.
Per gravi violazioni dei doveri d'ufficio, i membri del Consiglio possono essere revocati dall'incarico con decreto adottato d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, su proposta delle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica, adottata a maggioranza dei due terzi dei relativi componenti, secondo modalità stabilite dai Regolamenti parlamentari.

4.        Il Presidente rappresenta l'Ufficio, convoca il Consiglio e ne stabilisce l'ordine del giorno. Il Consiglio, previo assenso dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, adotta uno o più regolamenti recanti le norme di organizzazione e funzionamento, quelle concernenti il trattamento giuridico ed economico del personale operante presso l'Ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese. L'Ufficio provvede all'autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento, ivi comprese quelle relative al personale, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio.


Art. 17
Risorse umane, strumentali e sede dell'Ufficio parlamentare di bilancio


1.        L'Ufficio seleziona il proprio personale in piena autonomia, unicamente sulla base di criteri di merito e di competenza, con esclusivo riferimento alle esigenze funzionali.

2.        Il personale dell'Ufficio è composto da:
a)       personale assunto dall'Ufficio attraverso pubblico concorso con contratto di lavoro a tempo indeterminato;
b)       personale delle amministrazioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché di amministrazioni pubbliche o di diritto pubblico, collocato fuori ruolo;
c)       personale selezionato attraverso procedure comparative pubbliche, per lo svolgimento di incarichi a tempo determinato, di durata non superiore a tre anni, rinnovabili per una sola volta.

3.        Il collocamento fuori ruolo del personale delle amministrazioni pubbliche o di diritto pubblico richiesto dall'Ufficio è obbligatorio e viene disposto, secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti. L'Ufficio può restituire alle amministrazioni di appartenenza il personale proveniente dalle amministrazioni delle Camere e dalle amministrazioni pubbliche o di diritto pubblico. La cessazione del collocamento fuori ruolo del personale delle amministrazioni delle Camere è subordinata all'assenso dell'Ufficio.

4.        Nei primi tre anni di attività, la dotazione di personale dell'Ufficio non può superare il limite di trenta unità. Decorso tale termine, la dotazione di personale non può superare complessivamente le quaranta unità.

5.        Al funzionamento dell'Ufficio sovraintende un Direttore generale, con specifica competenza ed esperienza in materia di economia e finanza pubblica, nominato dal Presidente nell'ambito del personale di cui al comma 2.

6.        I Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra loro, mettono a disposizione dell'Ufficio locali da destinare a sede del medesimo e le necessarie risorse strumentali.


Art. 18
Funzioni dell'Ufficio


1.        L'Ufficio, anche attraverso l'elaborazione di proprie stime, effettua analisi, verifiche e valutazioni in merito a:
a)       le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica;
b)       l'impatto macroeconomico dei provvedimenti legislativi di maggiore rilievo;
c)       gli andamenti di finanza pubblica, anche per sottosettore, e l'osservanza delle regole di bilancio;
d)       la sostenibilità della finanza pubblica nel lungo periodo;
e)       l'attivazione e l'utilizzo del meccanismo correttivo di cui all'articolo 8 e gli scostamenti dagli obiettivi derivanti dal verificarsi degli eventi eccezionali di cui all'articolo 6;
f)        ulteriori temi di economia e finanza pubblica rilevanti ai fini delle analisi, delle verifiche e delle valutazioni di cui al presente comma.

2.        L'Ufficio predispone analisi e rapporti anche su richiesta delle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica. Il Presidente, se richiesto, svolge audizioni presso le Commissioni parlamentari di cui al primo periodo.

3.        Qualora, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, l'Ufficio esprima valutazioni significativamente divergenti rispetto a quelle del Governo, su richiesta di almeno un terzo dei componenti di una Commissione parlamentare competente in materia di finanza pubblica, quest'ultimo illustra i motivi per i quali ritiene di confermare le proprie valutazioni ovvero ritiene di conformarle a quelle dell'Ufficio.

4.        L'Ufficio opera sulla base di un programma annuale delle attività, che deve in ogni caso prevedere lo svolgimento delle funzioni attribuite all'Ufficio in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, presentato dal Presidente alle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica. Le analisi e i rapporti prodotti nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 sono adottati dal Consiglio su proposta del Presidente. Il programma annuale delle attività nonché le analisi e i rapporti di cui al secondo periodo sono pubblicati nel sito internet istituzionale dell'Ufficio.

5.        Il Consiglio può istituire un Comitato scientifico composto da persone di comprovata esperienza e competenza in materia di economia e finanza pubblica a livello nazionale, europeo o internazionale, con il compito di fornire indicazioni metodologiche in merito all'attività dell'Ufficio.

6.        Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, l'Ufficio corrisponde con tutte le amministrazioni pubbliche, con gli enti di diritto pubblico e con gli enti partecipati da soggetti pubblici e richiede ad essi, oltre alla comunicazione di dati e informazioni, ogni forma di collaborazione ritenuta utile per l'adempimento delle sue funzioni istituzionali.

7.        Al fine di consentire all'Ufficio lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, le amministrazioni e gli enti di cui al comma 6 assicurano all'Ufficio medesimo l'accesso a tutte le banche di dati in materia di economia o di finanza pubblica da loro costituite o alimentate.


Art. 19
Dotazione finanziaria dell'Ufficio


1.        A decorrere dall'anno 2014, è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro in favore di ciascuna Camera da destinare alle spese necessarie al funzionamento dell'Ufficio. La dotazione finanziaria di cui al presente comma puo' essere rideterminata esclusivamente con la legge di bilancio, sentito il Consiglio, e deve risultare in ogni caso sufficiente ad assicurare l'efficace esercizio delle funzioni di cui all'articolo 18.

2.        La gestione finanziaria dell'Ufficio si svolge in base al bilancio di previsione approvato dal Consiglio dell'Ufficio medesimo entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce. Il rendiconto della gestione finanziaria è approvato entro il 30 aprile dell'anno successivo. Il bilancio di previsione e il rendiconto della gestione finanziaria sono trasmessi ai Presidenti delle due Camere e pubblicati in allegato ai rispettivi bilanci.

3.        Agli oneri derivanti dal comma 1, pari a 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per l'anno 2014, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2012-2014, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2012, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014, l'accantonamento relativo al medesimo Ministero e, quanto a 4 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

4.        Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


Capo VIII
DISPOSIZIONI FINALI


Art. 20
Funzioni di controllo della Corte dei conti sui bilanci delle amministrazioni pubbliche


1.        La Corte dei conti svolge il controllo successivo sulla gestione dei bilanci degli enti di cui agli articoli 9 e 13, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e dell'equilibrio dei bilanci di cui all'articolo 97 della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a quanto disposto dal presente comma in conformità ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione.

2.        La legge dello Stato disciplina le forme e le modalità del controllo di cui al comma 1.


Art. 21
Disposizioni transitorie e finali


1.        È autorizzata una sperimentazione, anche attraverso un'apposita attività di simulazione, degli effetti derivanti dall'adozione di un bilancio dello Stato «a base zero» e dal superamento del criterio della spesa storica in termini di rafforzamento del ruolo programmatorio e allocativo del bilancio. L'attività di sperimentazione è effettuata dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il mese di giugno 2014, presenta alle Camere una relazione in merito all'attività di sperimentazione, nella quale sono esaminate le conseguenze che deriverebbero per il sistema di contabilità e finanza pubblica dall'adozione di un bilancio «a base zero».

2.        A decorrere dal 1º gennaio 2016, i richiami alla legge di stabilità di cui all'articolo 11 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, e alla legge finanziaria, di cui all'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, contenuti in disposizioni di legge o di atti aventi forza di legge vigenti, devono intendersi riferiti alla legge di bilancio, di cui all'articolo 15 della presente legge.

3.        Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano a decorrere dal 1º gennaio 2014, ad eccezione del capo IV e dell'articolo 15, che si applicano a decorrere dal 1º gennaio 2016. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.


Data a Roma, addi' 24 dicembre 2012.


NAPOLITANO

Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il Guardasigilli: Severino



[FINE]