Michał Kalecki
Political Aspects of Full Employment
Political Quartely,
14, pp. 322-331.
Pubblicazione disponibile qui.
Aspetti politici del pieno impiego
[
Traduzione di Giorgio Di Maio * ]
I
[La dottrina
economica del pieno impiego]
I.1
Una solida maggioranza
degli economisti è oggi dell’opinione che, anche in un sistema capitalista, il
pieno impiego possa essere assicurato da un programma di spesa del Governo,
purché siano disponibili impianti adeguati ad impiegare tutta la forza lavoro
esistente, e purché sia possibile ottenere in cambio delle esportazioni
forniture adeguate delle necessarie materie prime che devono essere importate
dall’estero.
Se il Governo garantisce
investimenti pubblici (ad esempio costruisce scuole, ospedali e autostrade) o
sostiene con sussidi il consumo di massa (con gli assegni familiari, la
riduzione delle imposte indirette, o con sussidi diretti a mantenere bassi i
prezzi dei beni di prima necessità) e se, in più, queste spese sono finanziate
con un maggiore indebitamento e non con la tassazione (che potrebbe avere un
effetto negativo sugli investimenti e sui consumi privati) allora la domanda
effettiva per beni e servizi può essere incrementata fino al punto che
corrisponde al raggiungimento del pieno impiego.
Si noti che questa spesa
del Governo incrementa l’occupazione non solo direttamente ma anche
indirettamente, dal momento che i redditi più elevati che essa genera provocano
a loro volta incrementi secondari della domanda di beni di consumo e di
investimento.
I.2
Ci si potrebbe chiedere
dove il pubblico prenderà il denaro da prestare al Governo se non riduce i suoi
investimenti e i suoi consumi.
Per comprendere questo
processo la cosa migliore, penso, è immaginare per un momento che il Governo
paghi i suoi fornitori con titoli di Stato.
I fornitori, in generale,
non tratterranno questi titoli ma li metteranno in circolazione acquistando
altri beni o servizi, e la circolazione dei titoli di Stato continuerà finché
alla fine essi giungeranno a persone che li tratterranno in quanto attività che
generano un reddito sotto forma di interesse.
In ogni periodo
l’incremento totale dei titoli di Stato posseduti (temporaneamente o
stabilmente) dalle persone e dalle imprese sarà pari ai beni e ai servizi
venduti al Governo.
Così quello che
l’economia presta al Governo sono i beni e i servizi la cui produzione è
“finanziata” dai titoli di Stato.
Nella realtà il Governo
non paga i suoi acquisti con titoli di Stato ma con denaro, ma nello stesso
tempo emette titoli e così raccoglie denaro; e questo è equivalente al processo
immaginario descritto prima.
Che cosa succede,
tuttavia, se il pubblico non vuole assorbire tutto l’incremento dei titoli di
Stato? Il pubblico alla fine offrirà i titoli di Stato alle banche per avere in
cambio del denaro (in contanti o sotto forma di depositi). Se le banche
accetteranno queste offerte, il tasso di interesse non varierà, altrimenti il prezzo
dei titoli di Stato diminuirà, il che significa che ci sarà un incremento del
tasso di interesse, e questo incoraggerà il pubblico a detenere più titoli di
Stato in rapporto ai depositi.
Ne segue che il tasso di
interesse dipende dalla politica delle banche, e in particolare dalla politica
della Banca Centrale.
Se questa politica mira a
mantenere il tasso di interesse a un certo livello questo obiettivo può
facilmente essere raggiunto, qualunque sia l’ampiezza del nuovo indebitamento
del Governo.
Questa era ed è la
situazione nell’attuale guerra. Nonostante l’astronomico deficit di bilancio,
il tasso di interesse non ha mostrato alcun aumento sin dall’inizio del 1940.
I.3
Si può obiettare che la
spesa del Governo finanziata con un maggiore indebitamento causerà inflazione.
A questo si può replicare che la domanda effettiva creata dal Governo agisce
come ogni altro incremento della domanda. Se la forza lavoro, gli impianti e le
materie prime di provenienza estera sono disponibili in eccesso, l’incremento
della domanda è soddisfatto da un incremento della produzione.
Ma se il punto di pieno
impiego delle risorse è raggiunto e la domanda effettiva continua a crescere,
allora i prezzi si alzeranno per equilibrare la domanda e l’offerta di beni e
servizi.
(In una condizione di
sovraimpiego delle risorse come quella della quale siamo testimoni nell’attuale
economia di guerra, un rialzo dei prezzi che generi inflazione è stato evitato
solo fin tanto che il razionamento e la imposizione fiscale diretta sono riusciti
a far diminuire la domanda effettiva per i beni di consumo).
Ne segue che se
l’intervento del Governo mira a raggiungere il pieno impiego ma si ferma prima
che la domanda effettiva aumenti oltre il segno corrispondente al pieno
impiego, allora non c’è alcuna necessità di preoccuparsi dell’inflazione 1.
II
[Problemi
politici del pieno impiego]
II.1
Quello che ho scritto
sopra è un riassunto molto rozzo e incompleto della dottrina economica del
pieno impiego. Ma, penso, è sufficiente per dare al lettore un’idea
dell’essenza della dottrina e per consentirgli così di seguire la discussione
che seguirà dei problemi politici che comporta il
raggiungimento del pieno impiego.
Bisogna innanzitutto
affermare che sebbene la massima parte degli economisti concordi oggi sul fatto
che il pieno impiego possa essere ottenuto con la spesa del Governo, questo non
avveniva affatto fino a solo poco tempo fa.
Tra gli oppositori a
questa dottrina c’erano (e ci sono ancora) stimati cosiddetti “esperti di economia”
strettamente legati ai settori bancario ed industriale.
Questo suggerisce che ci
sia uno sfondo politico nella opposizione alla dottrina del pieno impiego anche
se gli argomenti avanzati sono di tipo economico.
Il che però non vuole
dire che le persone che avanzano queste obiezioni di carattere economico, per
quanto povere possano essere, non credano in esse.
Ma una ignoranza ostinata
è generalmente una manifestazione di sottostanti motivazioni politiche.
Ci sono, comunque, anche
indicazioni più dirette del fatto che in gioco ci sia una questione politica di
prima grandezza.
Nella grande depressione
degli anni Trenta, le grandi imprese [big business] si opposero nello stesso
modo a esperimenti diretti ad incrementare l’occupazione con la spesa del
Governo in tutti i paesi, tranne che nella Germania nazista.
Questo si vide
chiaramente negli Stati Uniti (opposizione al New Deal), in Francia
(l’esperimento di Blum) e anche in Germania prima di Hitler.
Questo atteggiamento non
è facile da spiegare.
Chiaramente una produzione
e una occupazione più elevate generano benefici
non solo per i lavoratori ma anche per gli imprenditori, perché i
loro profitti aumentano. E la politica di pieno impiego delineata sopra non
usurpa i profitti perché non comporta alcuna tassazione aggiuntiva.
Gli imprenditori durante
una crisi economica non vedono l’ora di un nuovo boom; perché non dovrebbero
accettare con gioia quella ripresa economica “artificiale” che il Governo è in
grado di offrire loro?
E’ una questione
difficile e affascinante che intendo affrontare in questo articolo.
Le ragioni della
opposizione dei “leader dell’industria” al pieno impiego ottenuto con la spesa
del Governo possono essere suddivise in tre categorie:
i)
L’avversione
contro l’interferenza, in quanto tale, del Governo nel problema
dell’occupazione;
ii) L’avversione contro la destinazione
della spesa del Governo (investimenti pubblici e sussidi ai consumi);
iii) L’avversione contro i mutamenti
sociali e politici provocati dal mantenimento del pieno impiego.
Esamineremo nel dettaglio
ciascuna di queste tre categorie di obiezioni contro una politica espansiva
condotta dal Governo.
II.2
Affronteremo innanzitutto
la riluttanza dei “capitani d’industria” ad accettare l’intervento del Governo
nel campo dell’occupazione.
Ogni ampliamento
dell’attività dello Stato è vista dal “mondo degli affari” [business] con
sospetto, ma la creazione di posti di lavoro con la spesa pubblica presenta un
aspetto speciale che rende l’opposizione contro di essa particolarmente
intensa.
In un sistema di laisser-faire il livello
dell’occupazione dipende grandemente dal cosiddetto stato della fiducia [state
of confidence].
Se questo si deteriora,
gli investimenti privati diminuiscono, e questo provoca una caduta sia della
produzione che dell’occupazione (sia direttamente che attraverso l’effetto
secondario della caduta dei redditi sui consumi e sugli investimenti)
Questo dà ai capitalisti
un potente controllo indiretto sulla politica del Governo: tutto quello che può
scuotere lo stato della fiducia deve essere attentamente evitato perché
causerebbe una crisi economica.
Ma una volta che il
Governo apprende il trucco di incrementare l’occupazione con i suoi stessi
acquisti, questo potente strumento di controllo perde la sua efficacia.
Quindi i deficit di
bilancio necessari per portare a termine l’intervento del Governo devono essere
considerati pericolosi.
La funzione sociale della
dottrina di una “finanza solida” [sound finance] è quella di rendere il livello
dell’occupazione dipendente dallo “stato della fiducia”.
II.3
L’avversione degli uomini
d’affari [business leaders] contro una politica di spesa del Governo diventa
ancora più acuta quando giungono a considerare gli obiettivi per i quali il
denaro dovrebbe essere speso: investimenti pubblici e sostegno al consumo di
massa.
I principi economici
dell’intervento del Governo richiedono che gli investimenti pubblici siano
confinati a oggetti che non competono con i mezzi di produzione delle imprese
private (ad esempio ospedali, scuole, autostrade, etc.).
Altrimenti la
profittabilità degli investimenti privati potrebbe essere diminuita e l’effetto
positivo degli investimenti pubblici sull’occupazione controbilanciato
dall’effetto negativo del declino degli investimenti privati.
Questa concezione si
adatta molto bene alle richieste degli uomini d’affari.
Ma l’ambito degli
investimenti pubblici di questo tipo è piuttosto ristretto, e c’è il pericolo
che il Governo, nel perseguire questa politica, possa alla fine essere tentato
di nazionalizzare i trasporti o i servizi idrici ed elettrici [public
utilities] così da acquisire una nuova sfera di intervento nella quale poter
investire. 2
Ci si potrebbe quindi
aspettare che gli uomini d’affari e i loro esperti preferiscano un sostegno dei
consumi di massa (per mezzo di assegni
familiari, sussidi per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità, etc.) agli
investimenti pubblici; dal momento che sussidiando i consumi il Governo non si
imbarcherebbe in nessun tipo di “impresa”.
In pratica, tuttavia,
questo non accade.
Al contrario, sussidi ai consumi
di massa sono avversati molto più violentemente da questi “esperti” che non gli
investimenti pubblici.
Perché qui è in gioco un
principio “morale” della massima importanza.
I principi fondamentali
dell’etica capitalista richiedono che “tu ti guadagnerai il tuo pane con il
sudore” - a meno che non capiti che tu
sia ricco.
II.4
Abbiamo considerato le
ragioni politiche dell’opposizione contro la politica di creare occupazione con
la spesa del Governo. Ma anche se questa opposizione fosse superata - come potrebbe benissimo essere superata sotto
la pressione delle masse - il mantenimento del pieno impiego
causerebbe cambiamenti sociali e politici che darebbero un nuovo impulso
all’opposizione degli uomini d’affari.
Certamente, in un regime
di permanente pieno impiego, il licenziamento cesserebbe di giocare il suo
ruolo come strumento di disciplina [disciplinary measure].
La posizione sociale del
capo sarebbe minata e la fiducia in se stessa e la coscienza di classe della
classe operaia aumenterebbero.
Scioperi per ottenere
incrementi salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro creerebbero
tensioni politiche.
E’ vero che i profitti
sarebbero più elevati in un regime di pieno impiego di quanto sono in media in
una condizione di laisser-faire; e
anche l’incremento dei salari risultante da un più forte potere contrattuale
dei lavoratori è più probabile che incrementi i prezzi anziché ridurre i
profitti, e danneggi così solo gli interessi dei rentier.
Ma la “disciplina nelle
fabbriche” e la “stabilità politica” sono più apprezzate
dei profitti, dagli uomini d’affari.
Il loro istinto di classe
gli dice che un durevole pieno impiego non è sano dal loro punto di vista e che
la disoccupazione è una parte integrante di un normale sistema capitalista.
III
[Fascismo e
pieno impiego]
III.1
Una delle importanti
funzioni del fascismo, come caratterizzato dal sistema nazista, è stata quella
di rimuovere le obiezioni dei capitalisti al pieno impiego.
L’avversione contro la
spesa del Governo in quanto tale è superata sotto il fascismo dal fatto che la
macchina dello Stato è sotto il controllo diretto di una stretta alleanza tra
le grandi imprese e i gerarchi fascisti.
La necessità del mito di
una “finanza solida”, che serviva ad impedire al Governo di provocare una crisi
di fiducia con la sua spesa, viene meno.
In una democrazia non si
sa come sarà il prossimo Governo. Sotto il fascismo non c’è un prossimo
Governo..
L’avversione contro la
spesa del Governo, sia per investimenti pubblici che per sostenere i consumi, è
superata dal concentrare la spesa del Governo sugli armamenti.
Infine, la “disciplina
nelle fabbriche” e la “stabilità politica” in una condizione di pieno impiego
sono mantenute dal “nuovo ordine”, che
spazia dalla soppressione dei sindacati ai campi di concentramento.
La pressione politica
sostituisce la pressione economica della disoccupazione.
III.2
Il fatto che gli
armamenti costituiscano la spina dorsale della politica di pieno impiego
fascista ha una profonda influenza sulle sue caratteristiche economiche.
Una politica di riarmo su
grande scala è inseparabile dall’espansione delle forze armate e dalla
predisposizione dei piani per una guerra di conquista. Essa inoltre induce una
politica di riarmo competitiva da parte degli altri paesi.
Questo fa sì che
l’obiettivo principale della spesa si sposti gradualmente dal pieno impiego al
raggiungimento della massima efficacia del riarmo. Di conseguenza l’occupazione
diviene “troppo piena”; non solo la disoccupazione è abolita ma prevale
un’acuta scarsità di forza lavoro.
Colli di bottiglia si
manifestano dappertutto e devono essere affrontati con l’istituzione di tutto
un insieme di strumenti di controllo.
Un’economia di questo
tipo ha molte delle caratteristiche di una “economia pianificata”, ed è
talvolta paragonata, dimostrando una certa ignoranza, al socialismo.
Comunque è necessario che
questo tipo di “pianificazione” appaia ogni volta che un’economia si pone un
certo elevato obiettivo produttivo in un determinato settore, quando diventa
una “economia con un obiettivo” [target economy] della quale la “economia per
l’armamento” [armament economy] è un caso particolare.
Una “economia per
l’armamento” comporta in particolare la riduzione dei consumi, se confrontati
con quelli che si potrebbero avere in una condizione di pieno impiego.
Il sistema fascista
inizia con il superamento della disoccupazione, si sviluppa in una “economia
per l’armamento” della scarsità, e termina inevitabilmente nella guerra.
IV
[Democrazia
capitalista e pieno impiego]
IV.1
Quale sarà il risultato
pratico dell’opposizione al “pieno impiego ottenuto con la spesa del Governo”
in una democrazia capitalista?
Proveremo a rispondere a
questa domanda sulla base delle ragioni di questa opposizione esposte nella
sezione II.
Abbiamo argomentato che
ci possiamo aspettare l’opposizione dei “leader dell’industria” su tre piani:
i)
L’opposizione
di principio contro la spesa del Governo basata sul deficit di bilancio;
ii) L’opposizione contro il fatto che
questa spesa sia diretta o verso gli investimenti pubblici - che potrebbero
prefigurare l’intrusione dello Stato in nuovi campi dell’attività economica - o
verso il sostegno ai consumi di massa;
iii) L’opposizione contro il mantenimento
della piena occupazione e non contro una semplice azione diretta a prevenire il
verificarsi di depressioni economiche profonde e prolungate.
Ora, deve essere
riconosciuto il fatto che il tempo in cui gli “uomini d’affari” potevano opporsi a qualsiasi
tipo di intervento del Governo diretto ad alleviare una crisi economica è ormai
passato.
Tre fattori hanno
contribuito a questo:
a) Proprio il pieno impiego durante
questa guerra;
b) Lo sviluppo della dottrina economica
del pieno impiego;
c) In parte come risultato dei
precedenti due fattori, il fatto che lo slogan “mai più disoccupazione” ["Unemployment
never again"] è oggi profondamente radicato nella coscienza delle masse.
Questa condizione si è
riflessa nelle dichiarazioni recenti dei “capitani d’industria” e dei loro
esperti.
La necessità che
“qualcosa deve essere fatto nella crisi” è condivisa; ma la battaglia continua,
in primo luogo, su “cosa deve essere fatto nella crisi” (ad esempio su quale deve essere
la direzione dell’intervento del Governo), e in secondo luogo, sul fatto che
“deve essere fatto solo nella crisi” (ad esempio semplicemente per alleviare la
crisi piuttosto che non per assicurare un permanente pieno impiego).
IV.2
Nelle discussioni
correnti di questi problemi emerge continuamente l’idea di contrastare le fasi
di recessione economica stimolando gli investimenti privati.
Questo può essere fatto
diminuendo il tasso di interesse, riducendo le imposte sui redditi, o
sussidiando direttamente gli investimenti privati in un modo o nell’altro.
Che questa idea debba
essere attraente per il “mondo degli affari” non è sorprendente. L’imprenditore
rimane il mezzo attraverso il quale l’intervento è condotto. Se egli non prova
fiducia per la situazione politica non potrà essere comprato affinché investa.
E l’intervento non comporta né che il Governo “giochi” con gli investimenti
(pubblici) né che “sprechi denaro” sussidiando i consumi.
Si può mostrare,
tuttavia, che lo stimolo degli investimenti privati non fornisce un metodo
adeguato per prevenire il verificarsi di una disoccupazione di massa.
Ci sono due alternative
da considerare qui:
(a) Il tasso di interesse o l’imposta sui
redditi (o entrambi) vengono ridotti nettamente nella crisi e incrementati nel
boom.
In questo caso sia il periodo che
l’ampiezza del ciclo economico saranno ridotti, ma l’occupazione può essere
lontana dal pieno impiego non solo nelle fasi di recessione ma anche in quelle
di espansione economica, ad esempio il tasso di disoccupazione medio può essere
considerevole, anche se le sue fluttuazioni saranno meno marcate;
(b) Il tasso di interesse o l’imposta sui
redditi vengono ridotti in una crisi ma non vengono incrementati nella
successiva fase di espansione economica.
In questo caso la fase espansiva
dell’economia durerà più a lungo ma deve terminare in una nuova crisi: una
diminuzione del tasso di interesse o dell’imposta sui redditi non eliminano di
certo le forze che causano fluttuazioni cicliche in una economia capitalista.
Nella nuova fase recessiva sarà
necessario ridurre di nuovo o il tasso di interesse o le imposte sui redditi, e
cosi via.
Così, in un futuro non troppo remoto,
il tasso di interesse dovrebbe diventare negativo e l’imposta sui redditi dovrebbe
essere sostituita con sussidi ai redditi.
Lo stesso risultato si otterrebbe se
si tentasse di mantenere il pieno impiego stimolando gli investimenti privati:
il tasso di interesse e le imposte sui redditi dovrebbero essere ridotte
continuamente.
In aggiunta rispetto a
questa debolezza fondamentale del combattere la disoccupazione stimolando gli
investimenti privati, c’è una difficoltà pratica.
La reazione degli imprenditori
alle misure descritte sopra è incerta.
Se la recessione è
accentuata gli imprenditori possono assumere una visione estremamente
pessimistica del futuro, e la riduzione del tasso di interesse o delle imposte
sui redditi può avere perciò per un lungo periodo di tempo un effetto piccolo o
nullo sugli investimenti, e così sul livello della produzione e
dell’occupazione.
IV.3
Anche coloro che sono a
favore di uno stimolo degli investimenti privati per contrastare una fase di
recessione economica spesso non fanno affidamento esclusivamente su di esso ma
immaginano che debba essere associato ad investimenti pubblici.
Al momento sembra che i
“leader dell’economia” e i loro esperti (o almeno parte di essi)
tendenzialmente accetterebbero come estremo rimedio investimenti
pubblici finanziati con un maggiore indebitamento, come strumento per alleviare
le fasi di recessione economica.
Essi appaiono comunque
ancora fortemente contrari alla creazione di occupazione con sussidi ai consumi,
e al mantenimento
della piena occupazione.
Questo stato delle cose è
forse sintomatico del regime economico futuro delle democrazie capitaliste.
Nelle fasi di recessione
economica, o sotto la pressione delle masse o anche senza di essa, investimenti
pubblici finanziati con un maggiore indebitamento saranno decisi per prevenire
il verificarsi di una disoccupazione di massa.
Ma è probabile che
eventuali tentativi di applicare questo metodo, compiuti per mantenere l’alto
livello di occupazione raggiunto nella fase successiva di espansione economica,
incontrerebbero una forte opposizione da parte dei “leader dell’economia”.
Come ho già detto, un
durevole pieno impiego non è affatto di loro gradimento.
I lavoratori
“sfuggirebbero di mano” e i “capitani d’industria” sarebbero ansiosi di “dargli
una lezione”.
Inoltre, l’incremento dei
prezzi in una fase di espansione economica avviene a svantaggio dei piccoli e
grandi rentier e li rende “stanchi
del boom economico”.
In questa situazione è
probabile che si formi un potente blocco sociale tra gli interessi delle grandi
imprese e quelli dei rentier, e che
essi troverebbero più di un economista disposto a dichiarare che la situazione
sia manifestamente non sostenibile.
La pressione di tutte
queste forze, e in particolare delle grandi imprese [big business] - di norma
influenti nei ministeri - quasi
sicuramente indurrebbe il Governo a ritornare alla politica ortodossa di
riduzione del deficit di bilancio.
Seguirebbe quindi una recessione
economica nella quale la politica di spesa del Governo tornerebbe in auge.
Questo tipo di ciclo
economico-politico [political business cycle] non è solo una congettura;
qualcosa di molto simile è accaduto negli Stati Uniti nel biennio 1937-1938 .
La fine della fase
economica espansiva nella seconda metà del 1937 fu davvero dovuta alla drastica
riduzione del deficit di bilancio. D’altra parte, nella fase acuta di
recessione economica che seguì, il Governo prontamente ritornò a una politica
di spesa.
Il regime del “ciclo
economico-politico” sarebbe una restaurazione artificiale della condizione
esistente nel capitalismo dell’Ottocento.
Il pieno impiego sarebbe
raggiunto solo all’acme della fase economica espansiva, ma le fasi di
contrazione economica sarebbero relativamente moderate e di breve durata.
V
[Compiti dei
progressisti]
V.1
Un progressista dovrebbe
essere soddisfatto di un regime del “ciclo economico-politico” come quello
descritto nella sezione precedente?
Penso che dovrebbe
opporsi per due motivi:
i)
Perché
non assicura un durevole pieno impiego;
ii) Perché l’intervento del Governo è
limitato agli investimenti pubblici e non si estende al sostegno ai consumi.
Quello che le masse oggi
domandano non è la mitigazione delle fasi di recessione economica ma la loro
totale abolizione.
Né il più pieno impiego
delle risorse risultante dovrebbe essere diretto a investimenti pubblici non
desiderati solo per fornire lavoro.
Il programma di spesa del
Governo dovrebbe essere diretto a investimenti pubblici solo nella misura in
cui questi investimenti sono realmente necessari.
Il resto della spesa del
Governo necessaria per mantenere il pieno impiego dovrebbe essere diretta a
sostenere i consumi (attraverso gli assegni familiari, le pensioni di vecchiaia,
la riduzione delle imposte indirette, i sussidi per ridurre i prezzi dei beni
di prima necessità).
Gli oppositori a questo
tipo di spesa del Governo dicono che il Governo non avrà allora nulla da
mostrargli in cambio dei loro soldi. La risposta a questa obiezione è che la
contropartita di questa spesa sarà un più elevato livello di vita delle masse.
Non è questo il fine di
tutta l’attività economica?
V.2
Il “capitalismo del pieno
impiego” [full employment capitalism] dovrà, naturalmente, sviluppare nuove
istituzioni sociali e politiche che rifletteranno l’accresciuto potere della
classe operaia.
Se il capitalismo riuscirà
ad adattarsi al pieno impiego allora in esso sarà stata incorporata una riforma
radicale.
Altrimenti, si sarà
dimostrato un sistema obsoleto che deve essere abbandonato.
Ma forse la battaglia per
il pieno impiego condurrà al fascismo?
Forse il capitalismo si
adeguerà al pieno impiego in questo modo?
Questo sembra
estremamente improbabile.
Il fascismo è sorto in
Germania in una condizione di tremenda disoccupazione e si è mantenuto al
potere assicurando quel pieno impiego che il capitalismo non era riuscito a
garantire.
La battaglia delle forze
progressiste per il pieno impiego è nello stesso tempo un modo per prevenire
la rinascita del fascismo.
__________
Note:
Questo articolo corrisponde approssimativamente a una conferenza tenuta presso la Marshall Society
a Cambridge nella primavera del 1942.
1 Un altro problema, di natura un po’
più tecnica, è quello del debito pubblico. Se il pieno impiego è mantenuto
dalla spesa del Governo finanziata con un maggiore indebitamento, il debito
pubblico crescerà continuamente. Questo comunque non comporta alcun problema
per la produzione e l’occupazione, se gli interessi sul debito sono finanziati
con una imposta patrimoniale annuale.
Il reddito corrente, dopo
il pagamento dell’imposta patrimoniale, sarà minore per alcuni capitalisti e
maggiore per altri rispetto a quello che sarebbe stato se il debito pubblico
non fosse stato incrementato, ma il loro reddito complessivo rimarrà uguale e
il loro consumo aggregato probabilmente non varierà significativamente.
Inoltre, l’incentivo ad
investire in capitale fisso non è modificato da una imposta patrimoniale perché
essa è applicata ad ogni tipo di ricchezza. Sia che un capitale sia detenuto in
contanti o in titoli di Stato o investito nella costruzione di una fabbrica, su
di esso si applica la stessa imposta patrimoniale e così il vantaggio comparato
di un’alternativa rispetto all’altra rimane immutato.
E gli investimenti
finanziati con debiti non sono chiaramente colpiti da un’imposta patrimoniale
perché non costituiscono un incremento della ricchezza dell’imprenditore che ha
investito.
Così né i consumi né gli
investimenti dei capitalisti sono influenzati da un incremento del debito
pubblico, se gli interessi su di esso sono finanziati con una imposta
patrimoniale annuale.
2 Si deve notare qui che gli investimenti
in un settore nazionalizzato possono contribuire alla soluzione del problema
della disoccupazione solo se sono affrontati con principi differenti da quelli
adottati dalle imprese private.
Il Governo deve
accontentarsi di un tasso di rendimento netto inferiore a quello delle imprese
private, o deve deliberatamente pianificare i suoi investimenti in modo tale da
realizzarli al momento giusto per mitigare gli effetti delle crisi economiche.
[FINE]
* Ho aggiunto delle intestazioni alle cinque sezioni dell'articolo. Il testo in corsivo grassetto evidenzia l'enfasi posta dall'Autore su alcune parole.