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Abba P. Lerner
Saving Equals Investment
The Quarterly Journal of Economics, Vol.52, No. 2
(Feb., 1938), pp. 297-309.
Il risparmio è uguale all’investimento
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
I
In un recente articolo 1
pubblicato da questa rivista, Myra Curtis attacca la formulazione avanzata da
Keynes nel suo libro 2, e ripetuta da me in un articolo 3,
secondo la quale il risparmio e l’investimento, per l’economia nel suo
complesso, sono sempre uguali.
Questa uguaglianza è apparsa
paradossale a molti economisti, e molte difficoltà hanno impedito che fosse
accolta da tutti.
Nella prima parte di questo articolo tenterò
di chiarire alcune di queste difficoltà. Nella seconda parte esaminerò
diffusamente due delle critiche avanzate dalla Curtis; e nella sezione
conclusiva discuterò della possibilità di salvare un punto che non è
interamente dovuto a una incomprensione dell’argomentazione di Keynes.
[I.1]
Keynes e io e la massima parte delle
persone diremmo che una persona risparmia qualcosa in un certo periodo di tempo
se spende per il consumo (consuma) in quel periodo di tempo meno di quello che
è il suo reddito in quello stesso periodo di tempo.
L’unica misura certa dell’ammontare
del suo risparmio [saving] è data dalla sottrazione del suo consumo (della sua
spesa per il consumo) in quel periodo di tempo dal suo reddito [income] in
quello stesso periodo di tempo.
y (reddito) – c (consumo) = s (risparmio) per definizione.
Se una persona consuma più di quello
che è il suo reddito, sta facendo l’opposto di risparmiare, sta consumando i
suoi risparmi, e noi possiamo nello stesso modo misurare l’ammontare della
diminuzione dei suoi risparmi sottraendo il suo reddito dal suo consumo
[consumption].
c – y = – s è la stessa equazione (con i segni cambiati) nella quale – s è la
diminuzione dei risparmi [dissaving].
L’investimento è il denaro speso per
fini diversi dal consumo.
Non c’è alcuna ragione per la quale,
per un singolo individuo, debba esserci una particolare relazione tra il suo
investimento (i) da un lato e dall’altro
elementi come il suo reddito (y), il
suo consumo (c) e il suo risparmio (s) dei quali abbiamo parlato prima.
Però quando consideriamo l’economia
nel suo complesso, assumendo che sia una economia chiusa, vediamo che emerge
una relazione tra questi elementi che non sembra esistere per il singolo
individuo.
L’equazione y – c = s, essendo vera per ogni individuo
nell’economia, deve essere vera anche per ogni coppia di individui, infatti se
per il primo individuo è y1 – c1 = s1
e per il secondo è y2 – c2 = s2 allora per i due individui deve
essere ( y1+ y2
) – ( c1 + c2 ) = ( s1 + s2 ), e lo stesso deve essere per un
numero qualsiasi di individui nell’economia.
Se noi mettiamo insieme tutti gli individui e sommiamo i loro
redditi, i loro consumi e i loro risparmi (usando delle lettere maiuscole per
rappresentare queste somme riferite all’intera economia), abbiamo che Y–C=S.
Da questo punto di vista, quindi,
l’economia nel suo complesso è come un singolo individuo.
Però per l’intera economia vale anche
un’altra relazione.
La somma dei redditi di tutti gli
individui nell’economia, Y, è uguale
alla somma delle spese che i singoli individui compiono, di qualsiasi tipo esse
siano, perché queste spese non sono
nient’altro che i pagamenti, l’incasso dei quali costituisce tutti i redditi.
La somma di tutti i pagamenti deve
essere pari alla somma di tutti gli incassi in un dato periodo di tempo, perché
questi sono la stessa cosa, solo guardata da un punto di vista diverso.
La somma di tutte le spese, qualsiasi
sia il loro tipo, che è pari a alla somma di tutti i redditi Y, deve consistere della somma di tutte
le spese per consumo C più la somma di tutte le spese per fini
diversi dal consumo I, perché queste
due somme, C e I, comprendono tutte le possibili spese.
Questo ci porta all’equazione Y=C+I o Y–C=I.
Sappiamo che Y–C è anche uguale S, e poiché quantità che sono uguali
alla stessa quantità sono uguali tra di loro, abbiamo il risultato che S=I.
La somma dei risparmi di tutti gli
individui in dato un periodo di tempo è uguale alla somma dei loro investimenti
nello stesso periodo di tempo.
[I.2]
La resistenza che questo esercizio di
aritmetica veramente semplice incontra presso molte persone può normalmente
essere fatta risalire a una o più delle cinque cause seguenti:
[Prima causa
- Flussi e stock]
1. Un fallimento nel riconoscere il
fatto che tutto quello che si considera sono i pagamenti (o le differenze tra i pagamenti) effettuati in un dato periodo di tempo, e mai quantità esistenti in un certo istante temporale (come all’inizio o
alla fine o in un certo istante intermedio del periodo di tempo al quale la
nostra proposizione si riferisce).
Gli elementi considerati sono tutti flussi [flows] che possono essere
misurati o come quantità in un dato
periodo di tempo (come nel caso più semplice esaminato sopra) o come quantità per unità di tempo (se
supponiamo che i flussi continuino nello stesso modo per diverse unità di tempo).
I flussi non possono mai essere
misurati come quantità esistenti in
un singolo istante temporale. Questo può essere fatto solo per gli stock, non per i flussi, e la nostra
proposizione riguarda solo i flussi.
Questo fallimento nell’evitare
considerazioni irrilevanti sulle quantità (di denaro) può assumere la forma di:
a) una insistenza nella discussione sulla
velocità di circolazione della moneta.
La velocità di circolazione non è
nient’altro che il rapporto tra un qualche totale dei pagamenti in denaro
effettuati in un certo periodo di tempo (totale che, essendo un flusso,
potrebbe riguardare la nostra proposizione) e un qualche stock di moneta esistente in un certo istante temporale (che,
essendo uno stock, è su di un piano differente e può non avere alcuna rilevanza
per la nostra proposizione).
b) una insistenza nella discussione sulla
“accumulazione” [hoarding] ( e sulla “disaccumulazione”).
Talvolta “accumulazione” indica una
diminuzione della velocità di circolazione della moneta, la cui irrilevanza è
già stata mostrata. Talvolta significa semplicemente il mantenere delle scorte
di denaro. Talvolta indica l’incremento della quantità di denaro detenuta. E
frequentissimamente indica misteriosamente tutte e tre queste cose nello stesso
tempo, e inoltre la lunghezza del periodo di tempo per il quale si detengono
particolari monete o banconote.
Il concetto di stock contenuto in
tutti questi suoi usi rende irrilevante lo stabilire in quale particolare modo sia
effettivamente impiegato il termine “accumulazione”.
La mancanza di chiarezza sull’oggetto
della discussione, se siano gli stock o i flussi, ha avuto una grande parte
nell’alimentare discussioni inutili tra gli economisti nel passato. Il fondo
salari è un esempio notevole di una espressione ambigua utilizzata per coprire
questo tipo di confusione, e nella teoria moderna del capitale la stessa
confusione costituisce un grandissimo ostacolo.
La proposizione I=S è una proposizione
che riguarda i flussi e non ha nulla a che fare con gli stock.
[Seconda
causa - Apparente libertà individuale e
necessità sociale]
2. Un fallimento nel comprendere il
paradosso per il quale, mentre ogni individuo considerato separatamente è
libero di risparmiare di più o di meno di quello che investe, tutti gli
individui considerati complessivamente non sono liberi di fare la stessa cosa,
perché la somma dei loro investimenti I
è sempre uguale alla somma dei loro risparmi S.
Come funziona questa costrizione? Se
non vincola un individuo come può vincolare l’economia nel suo complesso, che è
semplicemente la somma degli individui che la compongono?
Comprendere paradossi di questo tipo
è lo speciale campo di applicazione degli economisti, e molti altri simili
paradossi con il loro essere divenuti familiari hanno smesso di terrorizzare e
sono divenuti parte del bagaglio di conoscenze proprio di tutti gli economisti.
Ogni nazione è libera di importare
più beni di quanti non ne esporti o viceversa, ma a livello mondiale le esportazioni devono sempre essere uguali alle importazioni (più i costi di
trasporto , etc.).
Ogni individuo può ritirare domattina
tutti i suoi soldi dalla banca dove li ha depositati, ma non è possibile che lo
facciano tutti gli individui insieme.
E abbiamo anche il paradosso opposto.
Una banca, o un paese, non può espandere il suo credito indefinitamente, ma
tutte le banche, o tutte le nazioni, agendo congiuntamente, possono farlo.
Affermare che quello che è vero per
ogni individuo deve essere vero anche per tutti gli individui nel loro insieme
è un semplice errore di composizione [fallacy of composition].
Ma come funziona questa costrizione,
se non agisce sui singoli individui?
Questa domanda mette a disagio molti
studenti.
La risposta è che l’individuo non è
affatto così libero di decidere quanto risparmiare come si crede.
Ci sono pochissime persone che non
vorrebbero avere un reddito più alto di quello che effettivamente hanno e
così poter risparmiare di più.
Ogni individuo è costretto a
risparmiare quello che effettivamente risparmia dall’ammontare del suo reddito;
e l’ammontare del suo reddito è determinato da quanto le altre persone spendono
per i beni che egli produce [o per i servizi che rende].
Ogni individuo considera il suo
reddito come dato e indipendente dalla sua spesa (dal momento che in una grande
comunità le ripercussioni sul reddito di un qualsiasi individuo delle
variazioni della sua spesa sono generalmente così piccole da essere
legittimamente trascurate); e, non essendo interessato all’effetto che la sua
spesa ha nel creare reddito per qualcun altro, un individuo non vede la
connessione esistente tra il suo reddito e la sua spesa.
Questo però non significa affatto che
questa connessione non esista per il singolo individuo.
Significa solo che l’individuo non se
ne preoccupa, come se la sua spesa non contribuisse al reddito di altre persone
(anche se egli potrebbe avere un vivo interesse nell’effetto che la spesa delle
altre persone ha sul suo reddito).
L’economista ha una visione più
ampia, deve preoccuparsi anche dei redditi di tutti gli individui, e così deve
riconoscere che per la comunità considerata nel suo complesso l’eccesso dei redditi
totali rispetto a quella parte dei redditi che è stata generata dalla spesa per
consumi deve essere stato generato dalla spesa per investimenti (ovvero dalla
spesa per fini diversi dal consumo), così che I=S.
Il fallimento nel prendere atto del
paradosso della necessità sociale corrispondente alla apparente libertà
individuale talvolta assume la forma del tentativo di estrarre dal totale del
risparmio effettivo di un individuo (cioè dall’eccesso del suo reddito in un
dato periodo di tempo rispetto al suo consumo nello stesso periodo di tempo)
una parte che si identifica come realmente “libera” o “volontaria” o “ex ante”
dichiarando che il resto del suo risparmio è “forzato” o “involontario” o “in
realtà il risparmio di qualcun altro” (cioè il risparmio di chi ha investito
producendo qualcosa che non può essere consumato) così che questa parte del
risparmio non debba essere conteggiata.
Tutti questi tentativi
necessariamente falliscono per l’impossibilità di identificare un periodo di
tempo, che possa servire da riferimento, nel quale l’individuo possa essere
considerato con un minimo di plausibilità libero di decidere quanto risparmiare
o anche più libero rispetto al periodo preso in esame.
E’ molto più soddisfacente
riconoscere che in un determinato universo tutto il risparmio, come ogni altra
cosa, è “forzato” e che la libertà di scelta non è nient’altro che una confortevole
illusione.
Collegata con questa difficoltà è
l’assunzione inconsapevole – fatta dal punto di vista del singolo individuo e
illegittimamente applicata alla società – che, quando la spesa varia, il
reddito rimanga lo stesso.
Da questa assunzione deriverebbe che
un incremento del risparmio significa sempre una riduzione del consumo 4
(e mai un incremento del reddito a parità di consumo).
L’assunzione della costanza del
reddito è poi lasciata cadere e si consente alla diminuzione del consumo di
provocare una diminuzione del reddito, così che ogni incremento del risparmio
sembra necessariamente comportare una diminuzione del reddito. 5
Da questo tipo di argomentazioni
seguono naturalmente un certo numero di sorprendenti risultati, come il fatto
che se c’è un incremento del risparmio (al quale è dovuta la diminuzione della
spesa) allora non c’è una variazione del risparmio (perché il reddito è
diminuito tanto quanto il consumo). 6
[Terza causa
- Il riferimento è a un dato periodo di
tempo]
3. Una tendenza a considerare la
spesa non come un flusso in un certo periodo di tempo coincidente con il flusso
dei redditi nello stesso periodo di tempo, ma come un qualcosa che viene
“fuori” dai redditi percepiti in quel periodo di tempo.
Il “risparmio” da questo punto di
vista è il reddito percepito in un periodo di tempo meno la spesa compiuta “con” quel
reddito.
Un possibile significato di questo è
semplicemente che deve essere considerata solo quella spesa che è compiuta dopo che è stata percepita una parte del
reddito, o tutto il reddito.
Se le ambiguità presenti in questa
formulazione sono superate – come possono essere superate – con una qualche
arbitraria assunzione sul quando si debba iniziare a rilevare le spese, si
troverà, certamente, che il “risparmio S”
così definito è maggiore dell’investimento I
per un importo pari a tutte quelle spese che sono state compiute troppo presto
nel periodo di tempo preso in esame per poter essere considerate come sostenute
“con” il reddito percepito in quel periodo, e che quindi non sono state conteggiate.
Se questa procedura fosse portata
alla sua logica conclusione, queste spese, non essendo sostenute “con il
reddito”, dovrebbero essere considerate come una diminuzione del risparmio e
sottratte del risparmio “S” così da
ridurlo esattamente allo stesso valore dell’investimento I.
Tuttavia, normalmente la procedura
non è portata alla sua logica conclusione ed è considerata come una
dimostrazione della falsità della nostra proposizione che I=S.
Un altro significato dell’insistenza
nel conteggiare C, I e S
solo fintanto che essi “provengono” dal reddito percepito nel periodo di tempo
considerato è che noi dobbiamo considerare solamente la spesa (o il risparmio)
delle particolari monete e banconote ricevute come reddito nel periodo.
Così se qualcosa è acquistato con
denaro ricevuto prima dell’inizio del periodo, allora non è una spesa compiuta “con”
il reddito di quel periodo.
Con questa linea di analisi, Peter,
che ha portato la sua ultima busta paga dal droghiere, ha speso tutto il suo
reddito non risparmiando nulla, mentre Paul, che ha messo al sicuro la sua
ultima busta paga e portato la busta paga del periodo precedente dal droghiere,
ha invece risparmiato tutto il suo reddito.
A questo punto dell’argomentazione
non è ancora necessario che I sia
uguale a S.
Certamente, se questo metodo di
calcolo fosse portato alla sua logica conclusione e la spesa delle monete non
ricevute come reddito nel periodo fosse considerata come una diminuzione del
risparmio di nuovo ci ritroveremmo con il nostro risultato aritmetico che I=S.
Ma fare questo significherebbe distruggere completamente lo scopo di questo
nuovo metodo di calcolo.
Legata all’obiezione contro il
conteggiare come spesa quella che non
è compiuta “con il reddito” del periodo considerato c’è l’obiezione contro il
conteggiare come risparmio il reddito
non speso con il quale una persona è sorpresa al termine di un dato periodo di
tempo, anche se egli potrebbe non aver avuto assolutamente l’intenzione di
risparmiarlo. 7
Questa sembra una cosa molto diversa
dall’idea che una persona comune ha del risparmio, e ha suggerito a Robertson
un’altra delle sue deliziose citazioni da “Alice nel paese delle meraviglie”. 8
Questo sarebbe giustificato se considerassimo
risparmio particolari monete o banconote ricevute come reddito e non spese.
Però noi non siamo interessati a
monete o banconote particolari, e quello che è compreso nel risparmio di un
individuo, oltre al risparmio che ha utilizzato per acquistare attività diverse
dal denaro, è l’eccesso del denaro
che possiede al termine del periodo di tempo considerato rispetto al denaro che
possedeva al suo inizio.
Se un uomo all’inizio del periodo di
tempo considerato possedeva 20 sterline e alla fine dello stesso periodo di
tempo si ritrova con 25 sterline, non è in contrasto con il senso comune dire
che in questo periodo di tempo egli ha risparmiato 5 sterline, anche se la sua
intenzione è quella di spendere tutte le 25 sterline (o anche di più) nel
periodo di tempo successivo.
Certamente, se consideriamo periodi
di tempo molto artificiali – ad esempio di dieci minuti ciascuno – le nostre
definizioni possono anch’esse apparire artificiali. Dovremmo allora dire che nell’intervallo
di tempo di dieci minuti nel quale un uomo riceve il suo stipendio settimanale
egli lo risparmia (quasi) interamente, e che nei rimanenti intervalli di dieci
minuti nei quali compie delle spese egli consuma i suoi risparmi. Però, se
consideriamo degli intervalli di tempo ragionevoli, questo artificio scompare.
C’è, certamente, una idea valida alla
base della nozione di considerare solo quelle spese che sono compiute dopo che
è stato ricevuto o “con” il reddito. L’idea è che la spesa di un individuo sia
determinata più dal reddito che egli ha percepito nel passato, che è noto ed è
stato incassato, che dal reddito corrente, che è incerto.
Questo può essere vero fino a un
certo punto, ma anche l’effetto del reddito che una persona può prevedere di percepire
sulla sua spesa non deve essere ignorato.
Questa idea è importante, per i
problemi economici reali che si hanno nel prevedere la spesa e i redditi, ed è
un argomento che trova il suo posto nella teoria economica, molto più
importante del nostro semplice esercizio di aritmetica; ma non può essere
impiegato per dimostrare che due più due fa cinque.
[Quarta causa
- I=S è una proposizione analitica]
4. Il fallimento nel rendersi conto che la
proposizione I=S è solo una proposizione analitica, e non riguarda affatto il
mondo reale.
Questa proposizione, presa come una
affermazione sul mondo reale escogitata stando seduti in poltrona, è
naturalmente considerata con sospetto.
La nostra proposizione non è basata sull’osservazione
del mondo reale.
Essa quindi non può dirci nulla che
noi già non sapessimo; e non può neppure rivelarsi sbagliata.
E’ una proposizione che discende
direttamente ed è implicita nelle nostre definizioni di reddito, consumo,
risparmio e investimento, e dal postulato che in ogni periodo di tempo il
denaro pagato è uguale al denaro incassato.
E’ una proposizione dello stesso
ordine della proposizione che afferma che l’area del quadrato costruito
sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è uguale alla somma delle aree dei
quadrati costruiti sui suoi cateti.
E’ stata chiamata una ovvietà, spesso
con un tono di disprezzo, che non ci dice nulla se non che qualcosa è uguale a
se stesso.
In un certo senso questa accusa è
giustificata.
Tutte le proposizioni della
matematica sono nello stesso modo delle ovvietà, perché non ci dicono nulla che
non sia implicato dalle definizioni basilari e dai postulati.
A una persona che sia in grado di
vedere queste implicazioni nei postulati stessi, l’enunciazione delle
proposizioni della matematica appare come nient’altro che una serie di ovvietà
e una perdita di tempo, e io posso capire che ci siano dei matematici nati per
i quali proposizioni come quelle di Pitagora e le tabelline delle
moltiplicazioni siano assolutamente inutili.
L’utilità delle proposizioni che
hanno una natura matematica di questo tipo è una funzione inversa della loro
ovvietà.
La grande discussione cresciuta
attorno alla proposizione, resa famosa da Keynes, che S=I, costituisce una abbondante
prova del fatto che la sua verità non è istantaneamente ovvia per tutte le
persone; e se, senza addurre nessun’altra nuova informazione, essa conduce
queste persone a vederne delle implicazioni prima trascurate, allora essa serve
allo scopo per il quale è stata introdotta.
[Quinta causa
- I=S è una proposizione sempre vera]
5. Una convinzione che l’equilibrio
di breve periodo, del quale si discute nell’analisi compiuta con la nostra
proposizione, sia una condizione necessaria per la realizzazione dell’uguaglianza.
Questo in effetti sarebbe sospetto,
perché la prova dell’uguaglianza – come ad esempio è stata data all’inizio di
questo articolo – non menziona l’equilibrio.
Questo sembra accordarsi con la
convinzione che il vero obiettivo di Keynes e dei suoi seguaci sia di mostrare
che I=S e poi di ritirarsi dal mondo dell’economia.
L’uguaglianza di I e S non ha assolutamente
nulla a che fare con un qualsiasi tipo di equilibrio.
Dell’equilibrio si discute come di
una condizione per un qualche tipo di stabilità di Y e di C (e di
conseguenza di I e S).
L’equazione I=S è sempre vera e serve
come un controllo, perché qualunque risultato che contenga valori diversi per I e per S deve essere dovuto a un errore o logico o di calcolo.
II
Una prima lettura dell’articolo della
Curtis dà l’impressione di un coraggioso attacco contro la proposizione che I=S.
Un esame più approfondito, tuttavia,
mostra che la Curtis avanza tutte le obiezioni e le difficoltà discusse nella
prima sezione di questo articolo (oltre ad alcune incomprensioni di minore
rilevanza proprie dell’autrice) e che, volendo scartare la proposizione come
una ovvietà, alla fine ella deve ammettere che essa è vera.
L’autrice fa questo a pagina 616 dove
per la prima volta definisce il risparmio nello stesso modo di Keynes (S’’ nella sua notazione), dopo aver
speso più di metà dell’articolo nel tentativo di mostrare che l’equazione non è
vera per altre definizioni del risparmio (risparmio “sul reddito” come discusso
nel punto I (3) più sopra, non portato alla sua logica conclusione; e un ibrido
tra questo e uno stock di denaro come discusso nel punto I (1) più sopra –
“ammontare totale non speso per il consumo nel periodo” a p.615).
Ci sono tuttavia due punti nel suo
articolo che devo discutere più in profondità.
[II.1]
[Il reddito totale non può mai essere
interamente speso]
Il principale scivolone della Curtis
è nella sua affermazione che “una condizione nascosta è legata alle equazioni –
cioè che tutto il reddito (e nulla da altre fonti) sia speso nel periodo di tempo
considerato” (p.607). “La condizione, tuttavia, non può ritenersi soddisfatta
uniformemente. Perché se così fosse, la spesa sarebbe costante e i redditi non
cambierebbero mai.” (p.610).
Quest’affermazione appare
inizialmente come una negazione del fatto che il reddito totale deve essere
uguale alla spesa totale (Y =C+I).
Tuttavia la Curtis mostra di non compiere un errore così banale.
In realtà, ella dice: “sebbene tutta
la spesa divenga reddito, non tutto il reddito diviene necessariamente spesa”
(p.608), e, nei suoi esempi numerici, che hanno lo scopo di mostrare la falsità
della nostra proposizione, ella saggiamente evita ogni contraddizione interna
indicando dappertutto il reddito (Y)
come pari alla spesa totale (Y+C) nello stesso periodo di tempo. Ella
non nega che i redditi e la spesa totale in ogni periodo di tempo devono essere
uguali gli uni all’altra.
Quello che la Curtis nega è che i
redditi devono essere uguali alla spesa compiuta “con” i redditi percepiti.
Questa condizione, ella dice, “non può essere ritenuta uniformemente
soddisfatta” (p.610); “il reddito percepito… può essere trasferito nel periodo
di tempo considerato interamente, in parte, o per nulla, per divenire il
reddito di altre persone.” (p.608). Su questo punto la Curtis non si dilunga di
più.
E’ impossibile che tutti i redditi
percepiti siano “trasferiti”, qualunque sia l’intervallo di tempo che si
considera, perché l’atto del trasferire il reddito per una persona è l’atto del
ricevere il reddito per l’altra persona, e qualunque sia l’istante nel quale il
gong suoni per segnalare la fine del periodo che stiamo considerando, ci deve
sempre essere qualcuno che è rimasto con un reddito non speso.
Nel gioco delle sedie musicali, i
giocatori non possono battere l’orchestra, per quanto velocemente possano
correre.
La condizione descritta dalla Curtis
come una condizione che “non può essere considerata uniformemente soddisfatta”
è una condizione che non può mai
essere soddisfatta.
Fortunatamente non c’è alcuna
necessità che questa condizione impossibile sia soddisfatta.
Il significato nascosto dietro la
conclusione della Curtis che se questa (come abbiamo visto impossibile)
condizione fosse soddisfatta “la spesa sarebbe costante e il reddito non
varierebbe mai” sarà esaminato nella prossima sezione.
[II.2 ]
[Dato l’investimento, il desiderio di conseguire un
risparmio maggiore messo in atto con una
riduzione della spesa conduce a una corrispondente diminuzione dei redditi.
Consumi e redditi diminuiscono insieme finché i percettori dei redditi non si
accontentano del risparmio corrispondente all’investimento.]
L’altro punto ha a che fare con una
critica rivolta sia a Keynes che a me per il nostro parlare di “tentativi” di
risparmiare e “desideri” di risparmiare quantità diverse dalla quantità totale
degli investimenti.
La Curtis ha, ovviamente,
assolutamente ragione nel suggerire (p.619) che “tentativi” e “desideri” di
spendere in se stessi non hanno assolutamente alcun effetto su nulla, se non si
tramutano in spesa corrente.
Non è però su di una base solida che
ella applica lo stesso argomento al risparmio o, nel suo linguaggio, al “trattenimento
del reddito”.
Il risparmio o il “trattenimento del
reddito” non è una azione che ha lo stesso effetto e che può essere paragonata
a un semplice “tentativo” o “desiderio” di risparmiare nello stesso modo in cui
la spesa effettiva di denaro può essere confrontata con il semplice desiderio
di spendere.
Le persone che ricevono un reddito
sono libere di spendere per il consumo quel tanto o quel poco che desiderano
(entro certi limiti, ovviamente) ma esse non
sono, prese nel loro insieme, libere di risparmiare
qualsiasi ammontare desiderino altrettanto semplicemente di come sono libere di
spendere qualsiasi ammontare
desiderino.
Questo perché il loro risparmio
dipende non solo dalla loro spesa, ma anche dal loro reddito, perché il risparmio è la differenza tra il reddito e la
spesa.
Con un dato tasso di investimento (sia
esso deciso da altre persone o determinato da altre forze) i percettori di un
reddito non possono decidere di risparmiare né di più né di meno di quanto è
l’investimento.
Essi possono desiderare di risparmiare di più e possono anche tentare di
tradurre in realtà questo desiderio spendendo realmente di meno.
Questo tuttavia ha l’effetto di diminuire
i redditi esattamente dello stesso ammontare della riduzione della spesa, così
che mentre c’è stata una reale
diminuzione della spesa (e una corrispondente reale diminuzione dei redditi),
l’incremento del risparmio è tuttavia rimasto un desiderio.
Nello stesso modo un desiderio di
risparmiare meno può risultare in un incremento della spesa e in un incremento
dei redditi, ma non in una qualsiasi diminuzione del risparmio – quella
diminuzione del risparmio rimane sempre nel mondo dei desideri.
Si raggiunge un equilibrio, ma non traducendo
in realtà il desiderio di un maggiore (o minore) risparmio, così soddisfacendo
il desiderio e quindi vincendo le forze che si oppongono a quell’equilibrio
desiderato.
L’equilibrio è raggiunto con quella
diminuzione (o con quell’aumento) dei redditi e del consumo che è necessaria
perché i percettori di reddito rinuncino ai loro desideri.
Se essi sono ostinati, tutto quello
che ottengono è di rendere maggiore la caduta (o l’incremento) dei redditi
necessaria per convincerli a cambiare idea.
Quando si rassegnano, abbiamo
l’equilibrio.
La realtà non si è aggiustata per
soddisfare i desideri; i desideri si sono aggiustati per adeguarsi alla realtà.
Equilibrio qui significa solo che non
c’è più alcuna tendenza per il reddito Y
e per il consumo C a muoversi insieme
verso il basso (o verso l’alto).
Supporre, come fa la Curtis (p.620),
che questo equilibrio sia necessario perché l’uguaglianza I=S sia valida è
fraintendere completamente il punto.
Quella uguaglianza non ha nulla a che
fare con l’equilibrio e non varia, per quanto violenti possano essere i
movimenti verso l’equilibrio, se davvero lo si raggiungerà mai.
Perché il movimento parallelo del
reddito Y e del consumo C non influisce in alcun modo sulla
differenza tra di essi che è il risparmio S
uguale all’investimento I.
L’esame di tutto questo movimento
verso l’equilibrio non è affatto compiuto con l’obiettivo di dimostrare il
nostro piccolo esercizio di aritmetica (anche se esso può essere riscontrato
qui come ovunque) ma ha il fine di considerare l’effetto che hanno
sull’economia i desideri degli
individui che percepiscono un reddito di variare l’ammontare del loro risparmio
– non con la telepatia ma attraverso i cambiamenti nella loro spesa effettiva che
derivano da quei desideri.
III
Sembra esserci un punto che forse la
Curtis tenta di sollevare che non dipende completamente da una incomprensione.
Quando ella dice che la definizione
del risparmio data da Keynes (l’eccesso del reddito sulla spesa per beni di
consumo) “non ha nulla a che fare con il risparmio inteso nel senso comune del
trattenere una parte del denaro percepito non spendendolo in consumi” (p.616),
può intendere che la spesa delle persone in un dato periodo di tempo è una
funzione più stabile del reddito percepito in un certo tempo o in un certo
periodo di tempo nel passato che del reddito percepito nello stesso periodo di
tempo.
Gli individui considerano, ad
esempio, il reddito della settimana scorsa quando devono decidere quanto
spendere in questa settimana, e ritengono di risparmiare la differenza tra lo
stipendio della settimana scorsa e quello che spendono in questa settimana.
Una interpretazione di questo tipo dà
un senso alla impossibile condizione posta dalla Curtis “se… tutto il reddito
del periodo (e non più di questo reddito) è speso e rigenera se stesso come
reddito nel periodo” (p.610), e dà validità alla altrimenti infondata sua conclusione
che “la spesa sarebbe costante e il reddito non varierebbe mai”.
Perché se la spesa (qui la spesa
totale, C2+I2) nel periodo Due è uguale
al reddito (Y1) nel
periodo Uno, il reddito nel periodo Due (Y2=C2+I2) è uguale al reddito del periodo Uno (Y1) e il reddito non è
variato.
Questo salvataggio
dell’argomentazione della Curtis, tuttavia, comporta l’adozione di una tecnica
di analisi in termini di periodi di tempo successivi, del tipo di quella
sviluppata da Robertson e dagli autori svedesi.
Di questo non c’è traccia
nell’articolo della Curtis, che dall’inizio alla fine considera solo “il
periodo di tempo”.
La differenza tra gli autori che
usano questa tecnica di analisi da un lato e Keynes e i suoi seguaci dall’altro
è su di un piano ancora diverso. Sono piuttosto scettico a proposito
dell’utilità dell’analisi in termini di periodi di tempo o “giorni” successivi,
perché mi sembra che complichi e confonda le cose piuttosto che chiarirle. Ma
questa è solo una mia sensazione a proposito di quale sia la strada più
promettente (o forse più attrante!) per la ricerca. Posso facilmente sbagliarmi
su questo e sono pronto ad accogliere qualsiasi risultato che coloro che
apprezzano questa tecnica possano ottenere. In questo non c’è una questione di
giusto o sbagliato o di errori logici commessi.
La Curtis tuttavia rivendica non una
differenza della tecnica impiegata ma la correzione di un errore.
E’ quindi meglio mettere da parte il
nostro tentativo di salvataggio e dire che la negazione, da parte della Curtis,
della proposizione I=S è semplicemente il risultato di idee
confuse.
Le sue varie definizioni del
risparmio, se portate alla loro logica conclusione, tutte giungono alla stessa
definizione data da Keynes, e l’equazione si applica nello stesso modo alle sue
definizioni come a quella data da Keynes.
London School of Economics
1
“Is Money Saving Equal to Investment?” Quarterly Journal of Economics, August,
1937.
2
The General Theory of Employment Interest and Money.
3 ”Mr.
Keynes’ “General Theory of Employment”, I.L.O. Review, October, 1936.
4 Ad esempio “un aumento del risparmio deve essere
accompagnato da una diminuzione della spesa per beni di consumo” – Curtis,
Quarterly Journal of Economics, August, 1937, p.617.
5 Ad esempio “un aumento del risparmio deprime il
reddito” – Ibid., p.617
6 La Curtis sembra ritenere che anche l’opposto della proposizione
citata nella nota 4 sia vero, e supporre che io abbia la stessa convinzione.
Così dice che quando io parlo di una diminuzione del consumo devo intendere un
incremento del risparmio (“altrimenti perché una riduzione del consumo totale e
del reddito?” – Ibid., p.617). Questo le consente, quando si accorge del fatto che
la contraddizione tra le due proposizioni citate conduce alle assurdità notate
nel testo del mio articolo, di attribuire a me la stessa confusione.
7 Sono grato a H. W. Singer per aver attirato la mia attenzione
su questa forma del terzo tipo delle difficoltà da me individuate – una
importante forma che avevo trascurato.
8 Economic Journal, September, 1937.
[FINE]