Wynne Godley
Maastricht and All That
London Review of
Books - Vol. 14 No. 19,· 8 October 1992, pp. 3-4.
Il Trattato di Maastricht e le sue conseguenze
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
Moltissime persone in tutta Europa si
sono improvvisamente accorte di non sapere praticamente nulla del Trattato di
Maastricht proprio nel momento in cui sono divenute consapevoli del fatto che
esso potrebbe causare enormi cambiamenti nelle loro vite.
La loro legittima ansietà ha spinto
Jacques Delors ad affermare che il punto di vista delle persone comuni dovrà in
futuro essere considerato con più attenzione.
Avrebbe potuto pensarci prima.
Sebbene io sia favorevole al
compimento di passi verso una maggiore integrazione politica in Europa, penso
che le proposte di Maastricht, per come sono state formulate, siano seriamente
difettose, e anche che il dibattito su di esse sia stato curiosamente reso
povero.
Con il rifiuto della Danimarca di
aderire, la quasi sconfitta nel referendum in Francia e la messa in discussione
della stessa esistenza del Sistema Monetario Europeo dopo le enormi perdite subite
sui mercati valutari, è questo un buon momento per una valutazione.
L’idea centrale del Trattato di
Maastricht è che i paesi della Comunità Europea dovrebbero muoversi verso una
unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca
centrale indipendente.
Ma come deve essere condotto il resto
della politica economica?
Dal momento che il trattato non
prevede nessun’altra istituzione oltre alla banca centrale europea, i suoi
sostenitori devono supporre che non sia necessario nient’altro.
Ma questo potrebbe essere corretto
solo se le economie moderne fossero dei sistemi che si regolano autonomamente e
che non richiedono alcun tipo di gestione.
Sono giunto alla conclusione che
questo punto di vista - che le economie siano organismi che si regolano
autonomamente e che non richiedono mai, in nessuna circostanza, una gestione di
un qualsiasi tipo - abbia davvero determinato il modo in cui il Trattato di
Maastricht è stato strutturato.
Si tratta di una versione rozza ed
estrema di quel punto di vista che da qualche tempo costituisce l’opinione
prevalente in Europa (ma non negli Stati Uniti o in Giappone) secondo la quale
i governi sono incapaci, e perciò devono astenersi da qualunque tentativo, di
raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi della politica economica,
come la crescita e il pieno impiego.
Tutto quello che si può
legittimamente fare, secondo questo punto di vista, è controllare l’offerta di
moneta e mantenere il bilancio in pareggio.
E’ servito un gruppo composto
principalmente da banchieri (il Comitato Delors) per raggiungere la conclusione
che una banca centrale indipendente fosse l’unica istituzione sovranazionale
necessaria per gestire una Europa integrata e sovranazionale.
Ma c’è molto di più oltre a tutto
questo.
E’ necessario mettere in evidenza
innanzitutto che l’istituzione di una moneta unica nella Comunità Europea
provocherebbe certamente la fine della sovranità degli Stati aderenti e del
loro potere di intervenire autonomamente per affrontare le questioni più
rilevanti.
Come Tim Cogdon ha argomentato in
modo molto valido, il potere di emettere la propria moneta, di ottenere delle
anticipazioni dalla propria banca centrale, è la principale caratteristica
della indipendenza nazionale.
Se una nazione cede o perde questo
potere, acquisisce lo status di una autorità locale o di una colonia.
Le autorità locali e le regioni
ovviamente non possono svalutare. Non solo sono prive del potere di finanziare
i loro deficit con la creazione di moneta ma anche gli altri metodi che
potrebbero impiegare per finanziarsi sono soggetti alla regolamentazione
centrale. Né esse possono modificare i tassi di interesse.
Poiché le autorità locali non possono
utilizzare nessuno degli strumenti di una politica macroeconomica, le loro
scelte politiche sono limitate a questioni di minore rilevanza - un po’ più di
istruzione qui, un po’ meno di infrastrutture là.
Ritengo che quando Jacques Delors
getta nuova enfasi sul principio di “sussidiarietà” egli stia in realtà
dicendoci solo che ci sarà consentito di decidere su un numero di questioni
relativamente secondarie molto più grande di quanto potessimo aver pensato in
precedenza. Forse ci consentirà di avere cetrioli ricurvi, dopotutto. Grande
affare!
Mi sia consentito di esprimere un
punto di vista diverso.
Penso che il governo centrale di un
qualsiasi Stato sovrano debba impegnarsi a tempo pieno per determinare il
livello totale ottimale della spesa pubblica, il carico fiscale totale
corretto, la corretta allocazione della spesa totale tra le diverse necessità
concorrenti e la giusta distribuzione del carico fiscale.
Il governo centrale deve anche
determinare fino a che punto una qualsiasi differenza tra la spesa e la
tassazione sia finanziata con un’anticipazione della banca centrale e quanto sia
finanziata con l’indebitamento e a quali condizioni.
Il modo in cui i governi decidono su tutte
queste (e su alcune altre) questioni, e la qualità della leadership che possono
esprimere, interagendo con le decisioni dei singoli individui, delle imprese e
degli stranieri, determinerà cose come i tassi di interesse, il tasso di
cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di
disoccupazione. Influenzerà anche profondamente la distribuzione del reddito e
della ricchezza non solo tra i singoli individui ma anche tra intere regioni,
dando assistenza, si spera, a chi sia danneggiato da cambiamenti strutturali.
Quasi nulla di semplice si può dire
su come questi strumenti, con tutte le loro interdipendenze, debbano essere
impiegati per promuovere il benessere di una nazione e anche per proteggerlo,
ad esempio dagli shock di varia natura ai quali inevitabilmente sarà esposto.
Ha solo un significato limitato, ad
esempio, dire che il bilancio deve sempre essere in pareggio quando un bilancio
in pareggio con spesa e tassazione entrambe al 40 per cento del Prodotto
Interno Lordo avrebbe un impatto completamente diverso (e molto più espansivo) rispetto
a un bilancio in pareggio al 10 per cento.
Per immaginare la complessità e
l’importanza delle decisioni macroeconomiche del governo è sufficiente domandarsi
quale sarebbe la risposta adeguata, nei termini della politica fiscale,
monetaria e del tasso di cambio, per un paese che produca grandi quantità di
petrolio, quando il prezzo del petrolio aumenti di tre volte. Sarebbe giusto
non fare assolutamente nulla?
E non deve mai essere dimenticato che
in periodi di gravissima crisi, può anche essere appropriato per il governo
centrale il peccare contro il mostro sacro di tutte le banche centrali e
invocare la “tassa dell’inflazione” - in modo tale da appropriarsi
deliberatamente di risorse riducendo, con la tassa dell’inflazione, il valore
reale della ricchezza di carta della nazione. Fu dopotutto proprio per mezzo
della tassa dell’inflazione che secondo Keynes avremmo dovuto pagare le spese
necessarie per la guerra.
Ripeto tutto questo per suggerire non
che la sovranità non deve essere sacrificata per la nobile causa della
integrazione europea ma che se i singoli governi rinunciano a tutte queste
funzioni allora esse devono semplicemente essere assunte da qualche altra
autorità.
La incredibile lacuna nel programma
di Maastricht è che mentre prevede nel dettaglio l’istituzione e le modalità
operative di una banca centrale indipendente invece non prevede nulla di
analogo, nei termini della Comunità Europea, a proposito di un governo
centrale.
Eppure semplicemente dovrebbe esserci
un sistema di istituzioni a livello comunitario che assuma tutte queste
funzioni che oggi sono esercitate dai governi centrali dei singoli paesi
membri.
La contropartita del sacrificio della
sovranità deve essere la costituzione di una federazione dei paesi aderenti
alla quale essi affidino la loro sovranità.
E il sistema federale, o governo,
come sarebbe stato meglio chiamarlo, dovrebbe esercitare tutte quelle funzioni
che ho brevemente richiamato sopra sia verso i paesi membri che verso il mondo
esterno.
Si considerino due importanti esempi
di quello che un governo federale, responsabile di un bilancio federale,
dovrebbe fare.
I paesi europei sono attualmente
intrappolati in una recessione severa. Per come stanno le cose, in modo
particolare dato che anche le economie degli Stati Uniti e del Giappone si
stanno indebolendo, non è affatto chiaro quando una ripresa significativa potrà
iniziare.
Le implicazioni politiche di questa
situazione stanno diventando spaventose.
Eppure l’interdipendenza tra le
economie europee è già così grande che nessun singolo paese, con l’eccezione
teorica della Germania, si sente in grado di avviare politiche espansive
autonomamente perché qualunque paese cercasse di espandere la sua economia da
solo incontrerebbe ben presto un vincolo nella bilancia dei pagamenti.
La situazione corrente sta reclamando
a gran voce un intervento coordinato di reflazione ma non esistono né le
istituzioni né una struttura di pensiero condivisa che possano condurre a
questo risultato desiderabile.
Deve essere francamente riconosciuto
che se la depressione dovesse davvero prendere una seria piega negativa - ad
esempio se il tasso di disoccupazione dovesse di nuovo salire permanentemente a
quel 20-25 per cento caratteristico degli anni Trenta - i singoli paesi presto
o tardi eserciterebbero il loro diritto sovrano a dichiarare l’intero movimento
verso l’integrazione europea un disastro e ricorrerebbero a misure di controllo
degli scambi e protezionistiche - un’economia da stato di assedio se si vuole.
Questo corrisponderebbe a un ritorno alla condizione del periodo tra le due
guerre mondiali.
Se ci fosse una unione economica e
monetaria, nella quale il potere dei singoli governi di agire indipendentemente
fosse davvero stato abolito, una reflazione “coordinata” del tipo di quella che
oggi è così urgentemente necessaria potrebbe essere adottata solo da un governo
federale europeo.
Senza una tale istituzione l’unione
economica e monetaria europea impedirebbe ai singoli paesi di adottare azioni
efficaci senza offrire nulla in cambio.
Un altro importante ruolo che ogni
governo centrale deve assumere è quello di garantire un livello minimo di mezzi
di sussistenza alle regioni del paese che sono in difficoltà per ragioni
strutturali - a causa del declino di un settore industriale, ad esempio, o per
un mutamento demografico negativo dal punto di vista economico.
Oggi questo avviene nel corso
naturale degli eventi, senza che qualcuno lo noti davvero, grazie a standard
comuni nei servizi pubblici (ad esempio sanità, istruzione, pensioni e
ammortizzatori sociali) e a un comune (e, si spera, progressivo) carico
fiscale, entrambi generalmente istituiti in tutti i paesi europei.
Di conseguenza, se una regione soffre
un grado di declino strutturale non usuale, il sistema fiscale automaticamente
genera dei trasferimenti netti a suo favore.
Estremizzando,
una regione che non potesse produrre nulla non soffrirebbe la fame perché
riceverebbe pensioni, benefici per i disoccupati e i redditi degli impiegati
pubblici.
Che cosa accade se un intero paese -
una potenziale “regione” di una comunità europea pienamente integrata - soffre
un declino strutturale?
Finché è uno Stato sovrano, può
svalutare la sua moneta in modo tale da commerciare con successo in una
condizione di pieno impiego purché il suo popolo accetti la necessaria
diminuzione dei salari reali.
Con una unione economica e monetaria
questo rimedio è ovviamente impedito e le prospettive del paese sono davvero
gravi a meno che non siano stati stabiliti degli accordi per un bilancio
federale che svolga una funzione ridistributiva tra i diversi paesi.
Come venne chiaramente riconosciuto
dal Rapporto MacDougall pubblicato nel 1977, ci deve essere uno scambio con il
quale la rinuncia all’opzione della svalutazione sia compensata da una
ridistribuzione fiscale tra paesi.
Alcuni autori (come Samuel Brittan e
Sir Douglas Hague) hanno suggerito seriamente che l’unione economica e
monetaria, abolendo il problema della bilancia dei pagamenti nella forma in cui
si presenta oggi, abolirebbe certamente il problema, sempre che esista, di una
persistente incapacità di competere con successo nei mercati mondiali.
Ma come il professor Martin Feldstein
ha evidenziato in un importante articolo sull’Economist (13 giugno), questo argomento è davvero particolarmente
errato.
Se un paese o una regione non ha il
potere di svalutare, e se non è il beneficiario di un sistema fiscale di
compensazione, allora non c’è nulla che possa impedire che esso soffra un
processo di declino cumulativo estremo che porterà, alla fine, all’emigrazione
come unica alternativa alla povertà o alla fame.
Io simpatizzo con la posizione di
coloro (come Margaret Thatcher) che, posti di fronte alla perdita di sovranità,
tutto considerato desiderano scendere dal treno dell’unione monetaria.
Simpatizzo anche con coloro che
desiderano una integrazione sotto la giurisdizione di un qualche tipo di
costituzione federale con un bilancio federale molto più ampio di quello
dell’attuale Comunità Europea.
Quella che io trovo totalmente
confusa e incomprensibile è la posizione di coloro che mirano all’unione
economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (tranne
la nuova banca centrale) e che si schermiscono con grande orrore alle parole
“federale“ e “federalismo”.
Questa è la posizione attuale del
Governo e della massima parte di coloro che partecipano alla discussione
pubblica.
[FINE]
Ciao!! ho appena scoperto il tuo Blog!! lo inserisco tra le fonti da studiare.
RispondiEliminaUna domanda: ma come mai te, Bagnai e Di Cori Modigliani avete tutti la stessa grafica? (una curiosità!!)
buon lavoro!!
Grazie! :)
EliminaHo ripreso la grafica di Goofynomics perché mi sembra la più riposante per la lettura e perché mi ricorda questa canzone :)