Mario Draghi
Intervento al convegno "L'autonomia della politica monetaria"
Una riflessione a
trent'anni dalla lettera di Andreatta a Ciampi che avviò il divorzio tra il
Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia.
Roma, Palazzo
Altieri, 15 febbraio 2011.
Pubblicazione
disponibile qui .
Il colpo di Stato riuscito. Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia. La lettura di Draghi
Il 12 febbraio 1981,
trenta anni fa, il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrive al
Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi la lettera che avvia il
cosiddetto “divorzio” tra le due istituzioni. La politica monetaria in Italia
cambia corso.
Il contesto
All’inizio degli anni
Ottanta il quadro macroeconomico internazionale sta rapidamente cambiando. Il
secondo shock petrolifero ha causato in tutti i paesi sviluppati una nuova
fiammata inflazionistica. I guasti e i pericoli di un’alta inflazione sono
tornati all’attenzione delle opinioni pubbliche. Si ravviva il dibattito
intorno alla natura e allo status istituzionale delle banche centrali: quanto è
importante la loro indipendenza funzionale (instrument independence)? Quanto è
importante che esse fissino la stabilità dei prezzi come obiettivo prevalente?
Negli Stati Uniti Paul
Volcker, succeduto nel 1979 ad Arthur Burns come chairman del Board of
Governors del Sistema della Riserva federale, imprime subito un radicale cambio
di rotta alla gestione monetaria, con l’obiettivo esplicito di “taking on
inflation”. In tutti i principali paesi avanzati le politiche monetarie si
fanno restrittive.
In Italia, l’inflazione
supera il 20 per cento nel 1980. Il meccanismo di indicizzazione dei salari ai
prezzi, introdotto dall’accordo del 1975 tra Confindustria e sindacati
confederali, amplifica a dismisura l’impatto degli shock provenienti dai prezzi
internazionali. Gli squilibri di fondo della finanza pubblica accumulati nel
decennio precedente continuano ad aggravarsi: il fabbisogno del settore statale
raggiunge l’11 per cento del prodotto.
Nel nostro paese il
concetto di indipendenza della Banca centrale è in quegli anni debole, sfumato.
La riflessione degli economisti italiani sul ruolo della moneta, con poche
significative eccezioni, è limitata; essa si concentra piuttosto sui temi dello
sviluppo, dell’industrializzazione, del conflitto sociale e distributivo. Il
governatore Baffi è giunto a dolersi esplicitamente dell’assenza di un chiaro
obiettivo di tutela della stabilità dei prezzi che sia affidato alla Banca
d’Italia dalla legge, come accade alle banche centrali di altri paesi, in
primis la Bundesbank (1).
Benché goda di
riconosciuta autorevolezza, la Banca d’Italia ha in quel tempo scarsa autonomia
nel controllo della base monetaria e nella fissazione dei tassi di interesse a
breve termine; il contrasto dell’inflazione e la difesa del tasso di cambio ne
sono resi difficoltosi; i tassi di interesse reali sono da tempo negativi. In
occasione della riforma del mercato dei Bot nel 1975 la Banca si è impegnata ad
acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico,
finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base
monetaria. Non solo: il Tesoro può attingere a un’apertura di credito di conto corrente
presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio; detiene
il potere formale di modificare il tasso di sconto (sia pure su proposta del
governatore).
In queste condizioni
l’adesione italiana al Sistema monetario europeo, in vigore dal marzo del 1979
e di cui Andreatta è stato uno dei principali propugnatori, rischia di decadere
ad “atto velleitario” (2), per la difficoltà di rendere le politiche economiche
interne coerenti con quel vincolo. Un forte riallineamento delle parità
centrali nello SME, che avrebbe gettato benzina sul fuoco dell’inflazione,
viene sventato nel 1980 grazie a una restrizione monetaria assai controversa
nel dibattito pubblico; non può essere evitato nel marzo del 1981.
In Banca d’Italia si fa
strada in quegli anni una convinzione, espressa dal governatore Ciampi in un
noto passaggio delle Considerazioni finali lette nel maggio 1981. La
convinzione è che il ritorno a una moneta stabile richieda una “costituzione
monetaria”, fondata sui tre pilastri i) della indipendenza del potere di creare
moneta da chi determina la spesa pubblica, ii) di procedure di spesa rispettose
del vincolo di bilancio, iii) di una dinamica salariale coerente con la stabilità
dei prezzi (3).
Una idea del genere, oggi
sedimentata nella cultura economica generale, è coltivata negli anni Settanta
solo da pochi economisti. Già alla fine di gennaio 1976, nei giorni concitati
di una crisi della lira che porta alla chiusura del mercato italiano dei cambi,
durante uno scambio di opinioni con i vertici della Banca d’Italia il Prof.
Andreatta esprime il parere che occorra “una ferma dichiarazione di
indipendenza della banca centrale dal Tesoro”, in modo che essa sia messa in
grado di dichiarare un suo obiettivo di espansione della moneta (4); di fronte
alle drammatiche difficoltà dell’economia italiana, prefigura già allora
un’idea che riprenderà da Ministro del Tesoro: che la funzione della Banca
d’Italia come banca del Tesoro non debba interferire con quella di regolatore
della liquidità monetaria.
Lo scambio di lettere e l’avvio del “divorzio”
Quando Beniamino
Andreatta assume la responsabilità del ministero del Tesoro, nell’ottobre 1980,
la spirale prezzi-salari è avviata. Va, nelle parole del ministro, “cambiato il
regime della politica economica”. Ma il clima politico non è favorevole: la
stessa compagine di governo è “ossessionata dall'ideologia della crescita a
ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole”
(5). La decisione di “cambiare regime” non viene pertanto sottoposta al
Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio per un'approvazione
formale; assume la forma di un semplice scambio di lettere fra ministro e
governatore; a consentirlo, secondo i legali del ministero, è il fatto che la
revisione delle disposizioni date alla Banca d'Italia rientra nella competenza
esclusiva del ministro.
Con la sua lettera, il
ministro chiede il “parere” del governatore sull’ipotesi di una modifica del
regime esistente, con l’obiettivo esplicito di porre rimedio all’insufficiente
autonomia della Banca nei confronti del Tesoro (6). Il governatore, nella sua
risposta, concorda sulla necessità che la Banca risponda unicamente a obiettivi
di politica monetaria nel regolare il finanziamento al Tesoro; prefigura
inoltre, per il futuro, l’intenzione della Banca di procedere alla
predisposizione e alla comunicazione al mercato di obiettivi quantitativi di
crescita della base monetaria, passo decisivo verso un cambiamento di strategia
monetaria (7).
È divorzio, consensuale
Il nuovo regime viene
avviato nel luglio del 1981. La riforma non è completa: alle aste dei Bot il
Tesoro continuerà a fissare un tetto massimo ai rendimenti (il “tasso base”)
fino al 1988-89; fino al 1994 la Banca d'Italia continuerà a intervenire
discrezionalmente in asta e fino a quell’anno rimarrà anche in essere il
finanziamento automatico del Tesoro tramite il conto corrente presso la Banca.
Nonostante questi
evidenti limiti, il nuovo regime ha effetti di grande portata. Un test
importante giunge alla fine del 1982. Il fabbisogno del Tesoro stenta a trovare
copertura sul mercato; occorrerebbe far salire i tassi base, il Tesoro nicchia;
la Banca non acquista in asta i titoli di Stato non collocati e costringe il
Governo a investire della questione il Parlamento, facendosi approvare
un’anticipazione straordinaria della Banca.
Dopo il “divorzio” i
tassi di interesse reali tornano stabilmente su livelli, positivi, compatibili
con il progressivo rientro dell’inflazione e con la permanenza nello SME; il
fabbisogno pubblico viene finanziato pressoché per intero sul mercato senza
creazione di base monetaria; inizia da parte della Banca d’Italia la pratica di
annunciare obiettivi di espansione della moneta.
Una decisione politica
La decisione di Andreatta
e Ciampi, pur rivestita di panni “tecnici”, ha forti effetti politici di lungo
periodo. Il ministro e il governatore ne sono consapevoli. Nelle stesse parole
di Andreatta, il divorzio nasce come “congiura aperta” tra i due, nel
presupposto che a cose fatte, sia poi troppo costoso tornare indietro (8).
Una volta compiuto il
“fatto”, le reazioni sono ostili. Gli scettici ritengono la misura destinata a
vita breve. Sono contrari ampi settori della maggioranza di governo,
dell’opposizione, del sistema bancario, tutti timorosi del rialzo dei tassi di
interesse reali (9). Viene agitato lo spettro della deindustrializzazione del
Paese. Ma la riconquista dell’autonomia da parte della banca centrale si rivela
duratura; permette di riportare la crescita dei prezzi sotto controllo senza
soffocare l’apparato industriale, come sarà più avanti rivendicato da Ciampi (10).
Tra il 1980 e il 1987 l’inflazione cade da oltre il 21 per cento a meno del 5;
il prodotto interno lordo torna a crescere del 3 per cento l’anno, in media,
fra il 1984 e il 1988.
Il “divorzio” apre una
stagione di grandi cambiamenti nella gestione degli strumenti di politica
monetaria, in direzione di una piena indipendenza funzionale della banca
centrale e di un più efficiente funzionamento dei mercati finanziari; vengono
tra l’altro abbandonati i controlli amministrativi sul credito. La riduzione
dell’inflazione prosegue negli anni Novanta, passaggio essenziale per
consentire la nostra tempestiva partecipazione all’Unione Economica e Monetaria
in Europa.
Gli effetti del
“divorzio” sulla politica di bilancio non sono invece quelli sperati. Chi si è
augurato che un atteggiamento non accomodante della banca centrale nel
finanziare con moneta il disavanzo induca comportamenti di spesa più
responsabili resta deluso. Manca una modifica radicale delle procedure e delle
prassi, elemento essenziale della nuova costituzione monetaria invocata da
Ciampi. Dopo dieci anni dal divorzio il fabbisogno annuo del settore statale si
colloca ancora tra il 10 e l’11 per cento del Pil; il rapporto tra debito
pubblico e prodotto supera il 120 per cento del prodotto nel 1994.
Per un miglioramento
sostanziale della finanza pubblica si devono attendere gli anni Novanta e la
corsa affannosa a rientrare nei criteri per l’ammissione all’area nell’euro con
il primo gruppo di paesi. Come ha sostenuto alla fine degli anni Ottanta
Tommaso Padoa-Schioppa, la gestione responsabile della moneta è essenziale, ma
da sola non basta a curare tutti i mali di un’economia con la finanza pubblica
in disordine; la scelta per la stabilità appartiene alla società nel suo
complesso, non alla sola banca centrale (11).
L’eredità di quegli anni
Le idee che hanno portato
alla unificazione monetaria d’Europa, che ne sono oggi il fondamento, si sono
affermate in tutti i paesi avanzati all’inizio degli anni Ottanta: indipendenza
delle banche centrali, obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi, divieto
di finanziamento monetario dei disavanzi pubblici. Andreatta e Ciampi hanno
colto e applicato quelle idee con straordinaria tempestività.
Conviene sempre
rammentare quanto a fondo la moneta comune europea abbia piantato il seme della
stabilità monetaria nei nostri paesi. La credibilità della politica monetaria,
che l’Eurosistema ha ereditato dalle migliori tradizioni delle banche centrali
partecipanti, ha rafforzato la resistenza delle economie dei paesi dell’area di
fronte a shock avversi.
Durante l’ultima crisi
l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione nell’area dell’euro ha concesso un
ampio spazio di manovra alla politica monetaria, per garantire il funzionamento
dei mercati, per sostenere il credito ed evitare il tracollo dell’economia. I
tassi di mercato monetario sono scesi su valori senza precedenti, vicini allo
zero, sono state adottate misure eccezionali di creazione di liquidità, senza
muovere le aspettative di inflazione nel medio-lungo termine. Non si è ripetuto
lo stop and go di politica monetaria tipico degli anni Settanta.
La credibilità che
abbiamo raggiunto va salvaguardata, mantenendo alta la guardia.
È un insegnamento
dell’esperienza degli anni Ottanta anche il principio, irrinunciabile per la
costruzione europea, che politiche fiscali sostenibili sono fondamento
essenziale di una unione monetaria. A questo intendeva rispondere il Patto di
Stabilità e Crescita. Tuttavia, si è a volte preferito piegare le regole
anziché aggiustare le politiche, annacquando il Patto o violandone lettera e
spirito. Molti paesi membri hanno affrontato la crisi globale con livelli già
elevati del debito pubblico. I problemi di finanza pubblica avevano origine
anche da squilibri strutturali, a cui era stata prestata un’attenzione
insufficiente.
Oggi come negli anni
Ottanta, la politica monetaria non può essere considerata un rimedio alla
irresponsabilità di altre politiche.
La costruzione europea
deve essere resa ancora più resistente. Le istituzioni europee stanno lavorando
nella giusta direzione, sui tre fronti dove i progressi sono più necessari:
regole di coordinamento fiscale più stringenti e meno soggette a
discrezionalità nell’applicazione; un meccanismo di sorveglianza macroeconomica
tra i paesi dell’area che consenta gli interventi strutturali necessari a
rimuovere gli squilibri e a promuovere la crescita; meccanismi robusti di
gestione delle crisi e di supporto finanziario, nell’ambito di una chiara
condizionalità. È possibile, è necessario completare la costruzione europea
guardando avanti.
Trenta anni fa, nel
nostro paese, Andreatta e Ciampi seppero guardare avanti, e lontano.
(1) Paolo Baffi, Considerazioni finali sul 1975, Banca
d’Italia, p. 441.
(2) Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni Finali sul 1979, Banca
d’Italia, p. 393.
(3) Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni Finali sul 1980, Banca
d’Italia, p. 384.
(4) Cit. in E. Gaiotti e
S. Rossi, “La politica monetaria italiana nella svolta degli anni Ottanta”, in Gli anni Ottanta come storia, a cura di
S. Colarizi, P. Craveri, P. Pons, G. Quagliariello, Rubbettino, 2004.
(5) Beniamino Andreatta,
“1981: un divorzio per tutte le stagioni”, Il
Sole 24 Ore, 26 luglio 1991.
(6) Lettera del ministro
Andreatta al governatore Ciampi del 12 febbraio 1981, riprodotta in M.
Fratianni, F. Spinelli, Storia monetaria
d’Italia: lira e politica monetaria dall’Unità all’Unione Europea, Etas,
2001.
(7) Lettera del
governatore Ciampi al ministro Andreatta del 6 marzo 1981, ASBI, Banca
d’Italia, “Direttorio Ciampi”, cont. 69, fasc. 1.
(8) Beniamino Andreatta,
cit.
(9) M.T. Salvemini, L’indipendenza della banca centrale e il
divorzio, in Andreatta economista, a cura di S. Rossi e A. Gigliobianco, Il
Mulino, 2009.
(10) Carlo Azeglio Ciampi,
Considerazioni Finali sul 1986, p.
340.
(11) Tommaso Padoa Schioppa, “Reshaping monetary policy”, in R.
Dornbush, S. Fischer and J. Bossons, Essays
in honor of Franco Modigliani, Cambridge, MIT Press, 1987.
[FINE]
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