lunedì 11 marzo 2013

Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d'Italia - Draghi




Mario Draghi

Intervento al convegno "L'autonomia della politica monetaria"

Una riflessione a trent'anni dalla lettera di Andreatta a Ciampi che avviò il divorzio tra il Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia.
Roma, Palazzo Altieri, 15 febbraio 2011.
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Il colpo di Stato riuscito.                                                                        Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia.                                      La lettura di Draghi



Il 12 febbraio 1981, trenta anni fa, il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrive al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi la lettera che avvia il cosiddetto “divorzio” tra le due istituzioni. La politica monetaria in Italia cambia corso.

Il contesto
All’inizio degli anni Ottanta il quadro macroeconomico internazionale sta rapidamente cambiando. Il secondo shock petrolifero ha causato in tutti i paesi sviluppati una nuova fiammata inflazionistica. I guasti e i pericoli di un’alta inflazione sono tornati all’attenzione delle opinioni pubbliche. Si ravviva il dibattito intorno alla natura e allo status istituzionale delle banche centrali: quanto è importante la loro indipendenza funzionale (instrument independence)? Quanto è importante che esse fissino la stabilità dei prezzi come obiettivo prevalente?
Negli Stati Uniti Paul Volcker, succeduto nel 1979 ad Arthur Burns come chairman del Board of Governors del Sistema della Riserva federale, imprime subito un radicale cambio di rotta alla gestione monetaria, con l’obiettivo esplicito di “taking on inflation”. In tutti i principali paesi avanzati le politiche monetarie si fanno restrittive.
In Italia, l’inflazione supera il 20 per cento nel 1980. Il meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi, introdotto dall’accordo del 1975 tra Confindustria e sindacati confederali, amplifica a dismisura l’impatto degli shock provenienti dai prezzi internazionali. Gli squilibri di fondo della finanza pubblica accumulati nel decennio precedente continuano ad aggravarsi: il fabbisogno del settore statale raggiunge l’11 per cento del prodotto.
Nel nostro paese il concetto di indipendenza della Banca centrale è in quegli anni debole, sfumato. La riflessione degli economisti italiani sul ruolo della moneta, con poche significative eccezioni, è limitata; essa si concentra piuttosto sui temi dello sviluppo, dell’industrializzazione, del conflitto sociale e distributivo. Il governatore Baffi è giunto a dolersi esplicitamente dell’assenza di un chiaro obiettivo di tutela della stabilità dei prezzi che sia affidato alla Banca d’Italia dalla legge, come accade alle banche centrali di altri paesi, in primis la Bundesbank (1).
Benché goda di riconosciuta autorevolezza, la Banca d’Italia ha in quel tempo scarsa autonomia nel controllo della base monetaria e nella fissazione dei tassi di interesse a breve termine; il contrasto dell’inflazione e la difesa del tasso di cambio ne sono resi difficoltosi; i tassi di interesse reali sono da tempo negativi. In occasione della riforma del mercato dei Bot nel 1975 la Banca si è impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria. Non solo: il Tesoro può attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio; detiene il potere formale di modificare il tasso di sconto (sia pure su proposta del governatore).
In queste condizioni l’adesione italiana al Sistema monetario europeo, in vigore dal marzo del 1979 e di cui Andreatta è stato uno dei principali propugnatori, rischia di decadere ad “atto velleitario” (2), per la difficoltà di rendere le politiche economiche interne coerenti con quel vincolo. Un forte riallineamento delle parità centrali nello SME, che avrebbe gettato benzina sul fuoco dell’inflazione, viene sventato nel 1980 grazie a una restrizione monetaria assai controversa nel dibattito pubblico; non può essere evitato nel marzo del 1981.
In Banca d’Italia si fa strada in quegli anni una convinzione, espressa dal governatore Ciampi in un noto passaggio delle Considerazioni finali lette nel maggio 1981. La convinzione è che il ritorno a una moneta stabile richieda una “costituzione monetaria”, fondata sui tre pilastri i) della indipendenza del potere di creare moneta da chi determina la spesa pubblica, ii) di procedure di spesa rispettose del vincolo di bilancio, iii) di una dinamica salariale coerente con la stabilità dei prezzi (3).
Una idea del genere, oggi sedimentata nella cultura economica generale, è coltivata negli anni Settanta solo da pochi economisti. Già alla fine di gennaio 1976, nei giorni concitati di una crisi della lira che porta alla chiusura del mercato italiano dei cambi, durante uno scambio di opinioni con i vertici della Banca d’Italia il Prof. Andreatta esprime il parere che occorra “una ferma dichiarazione di indipendenza della banca centrale dal Tesoro”, in modo che essa sia messa in grado di dichiarare un suo obiettivo di espansione della moneta (4); di fronte alle drammatiche difficoltà dell’economia italiana, prefigura già allora un’idea che riprenderà da Ministro del Tesoro: che la funzione della Banca d’Italia come banca del Tesoro non debba interferire con quella di regolatore della liquidità monetaria.

Lo scambio di lettere e l’avvio del “divorzio”
Quando Beniamino Andreatta assume la responsabilità del ministero del Tesoro, nell’ottobre 1980, la spirale prezzi-salari è avviata. Va, nelle parole del ministro, “cambiato il regime della politica economica”. Ma il clima politico non è favorevole: la stessa compagine di governo è “ossessionata dall'ideologia della crescita a ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole” (5). La decisione di “cambiare regime” non viene pertanto sottoposta al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio per un'approvazione formale; assume la forma di un semplice scambio di lettere fra ministro e governatore; a consentirlo, secondo i legali del ministero, è il fatto che la revisione delle disposizioni date alla Banca d'Italia rientra nella competenza esclusiva del ministro.
Con la sua lettera, il ministro chiede il “parere” del governatore sull’ipotesi di una modifica del regime esistente, con l’obiettivo esplicito di porre rimedio all’insufficiente autonomia della Banca nei confronti del Tesoro (6). Il governatore, nella sua risposta, concorda sulla necessità che la Banca risponda unicamente a obiettivi di politica monetaria nel regolare il finanziamento al Tesoro; prefigura inoltre, per il futuro, l’intenzione della Banca di procedere alla predisposizione e alla comunicazione al mercato di obiettivi quantitativi di crescita della base monetaria, passo decisivo verso un cambiamento di strategia monetaria (7).

È divorzio, consensuale
Il nuovo regime viene avviato nel luglio del 1981. La riforma non è completa: alle aste dei Bot il Tesoro continuerà a fissare un tetto massimo ai rendimenti (il “tasso base”) fino al 1988-89; fino al 1994 la Banca d'Italia continuerà a intervenire discrezionalmente in asta e fino a quell’anno rimarrà anche in essere il finanziamento automatico del Tesoro tramite il conto corrente presso la Banca.
Nonostante questi evidenti limiti, il nuovo regime ha effetti di grande portata. Un test importante giunge alla fine del 1982. Il fabbisogno del Tesoro stenta a trovare copertura sul mercato; occorrerebbe far salire i tassi base, il Tesoro nicchia; la Banca non acquista in asta i titoli di Stato non collocati e costringe il Governo a investire della questione il Parlamento, facendosi approvare un’anticipazione straordinaria della Banca.
Dopo il “divorzio” i tassi di interesse reali tornano stabilmente su livelli, positivi, compatibili con il progressivo rientro dell’inflazione e con la permanenza nello SME; il fabbisogno pubblico viene finanziato pressoché per intero sul mercato senza creazione di base monetaria; inizia da parte della Banca d’Italia la pratica di annunciare obiettivi di espansione della moneta.

Una decisione politica
La decisione di Andreatta e Ciampi, pur rivestita di panni “tecnici”, ha forti effetti politici di lungo periodo. Il ministro e il governatore ne sono consapevoli. Nelle stesse parole di Andreatta, il divorzio nasce come “congiura aperta” tra i due, nel presupposto che a cose fatte, sia poi troppo costoso tornare indietro (8).
Una volta compiuto il “fatto”, le reazioni sono ostili. Gli scettici ritengono la misura destinata a vita breve. Sono contrari ampi settori della maggioranza di governo, dell’opposizione, del sistema bancario, tutti timorosi del rialzo dei tassi di interesse reali (9). Viene agitato lo spettro della deindustrializzazione del Paese. Ma la riconquista dell’autonomia da parte della banca centrale si rivela duratura; permette di riportare la crescita dei prezzi sotto controllo senza soffocare l’apparato industriale, come sarà più avanti rivendicato da Ciampi (10). Tra il 1980 e il 1987 l’inflazione cade da oltre il 21 per cento a meno del 5; il prodotto interno lordo torna a crescere del 3 per cento l’anno, in media, fra il 1984 e il 1988.
Il “divorzio” apre una stagione di grandi cambiamenti nella gestione degli strumenti di politica monetaria, in direzione di una piena indipendenza funzionale della banca centrale e di un più efficiente funzionamento dei mercati finanziari; vengono tra l’altro abbandonati i controlli amministrativi sul credito. La riduzione dell’inflazione prosegue negli anni Novanta, passaggio essenziale per consentire la nostra tempestiva partecipazione all’Unione Economica e Monetaria in Europa.
Gli effetti del “divorzio” sulla politica di bilancio non sono invece quelli sperati. Chi si è augurato che un atteggiamento non accomodante della banca centrale nel finanziare con moneta il disavanzo induca comportamenti di spesa più responsabili resta deluso. Manca una modifica radicale delle procedure e delle prassi, elemento essenziale della nuova costituzione monetaria invocata da Ciampi. Dopo dieci anni dal divorzio il fabbisogno annuo del settore statale si colloca ancora tra il 10 e l’11 per cento del Pil; il rapporto tra debito pubblico e prodotto supera il 120 per cento del prodotto nel 1994.
Per un miglioramento sostanziale della finanza pubblica si devono attendere gli anni Novanta e la corsa affannosa a rientrare nei criteri per l’ammissione all’area nell’euro con il primo gruppo di paesi. Come ha sostenuto alla fine degli anni Ottanta Tommaso Padoa-Schioppa, la gestione responsabile della moneta è essenziale, ma da sola non basta a curare tutti i mali di un’economia con la finanza pubblica in disordine; la scelta per la stabilità appartiene alla società nel suo complesso, non alla sola banca centrale (11).

L’eredità di quegli anni
Le idee che hanno portato alla unificazione monetaria d’Europa, che ne sono oggi il fondamento, si sono affermate in tutti i paesi avanzati all’inizio degli anni Ottanta: indipendenza delle banche centrali, obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi, divieto di finanziamento monetario dei disavanzi pubblici. Andreatta e Ciampi hanno colto e applicato quelle idee con straordinaria tempestività.
Conviene sempre rammentare quanto a fondo la moneta comune europea abbia piantato il seme della stabilità monetaria nei nostri paesi. La credibilità della politica monetaria, che l’Eurosistema ha ereditato dalle migliori tradizioni delle banche centrali partecipanti, ha rafforzato la resistenza delle economie dei paesi dell’area di fronte a shock avversi.
Durante l’ultima crisi l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione nell’area dell’euro ha concesso un ampio spazio di manovra alla politica monetaria, per garantire il funzionamento dei mercati, per sostenere il credito ed evitare il tracollo dell’economia. I tassi di mercato monetario sono scesi su valori senza precedenti, vicini allo zero, sono state adottate misure eccezionali di creazione di liquidità, senza muovere le aspettative di inflazione nel medio-lungo termine. Non si è ripetuto lo stop and go di politica monetaria tipico degli anni Settanta.
La credibilità che abbiamo raggiunto va salvaguardata, mantenendo alta la guardia.
È un insegnamento dell’esperienza degli anni Ottanta anche il principio, irrinunciabile per la costruzione europea, che politiche fiscali sostenibili sono fondamento essenziale di una unione monetaria. A questo intendeva rispondere il Patto di Stabilità e Crescita. Tuttavia, si è a volte preferito piegare le regole anziché aggiustare le politiche, annacquando il Patto o violandone lettera e spirito. Molti paesi membri hanno affrontato la crisi globale con livelli già elevati del debito pubblico. I problemi di finanza pubblica avevano origine anche da squilibri strutturali, a cui era stata prestata un’attenzione insufficiente.
Oggi come negli anni Ottanta, la politica monetaria non può essere considerata un rimedio alla irresponsabilità di altre politiche.
La costruzione europea deve essere resa ancora più resistente. Le istituzioni europee stanno lavorando nella giusta direzione, sui tre fronti dove i progressi sono più necessari: regole di coordinamento fiscale più stringenti e meno soggette a discrezionalità nell’applicazione; un meccanismo di sorveglianza macroeconomica tra i paesi dell’area che consenta gli interventi strutturali necessari a rimuovere gli squilibri e a promuovere la crescita; meccanismi robusti di gestione delle crisi e di supporto finanziario, nell’ambito di una chiara condizionalità. È possibile, è necessario completare la costruzione europea guardando avanti.
Trenta anni fa, nel nostro paese, Andreatta e Ciampi seppero guardare avanti, e lontano.


(1) Paolo Baffi, Considerazioni finali sul 1975, Banca d’Italia, p. 441.
(2) Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni Finali sul 1979, Banca d’Italia, p. 393.
(3) Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni Finali sul 1980, Banca d’Italia, p. 384.
(4) Cit. in E. Gaiotti e S. Rossi, “La politica monetaria italiana nella svolta degli anni Ottanta”, in Gli anni Ottanta come storia, a cura di S. Colarizi, P. Craveri, P. Pons, G. Quagliariello, Rubbettino, 2004.
(5) Beniamino Andreatta, “1981: un divorzio per tutte le stagioni”, Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1991.
(6) Lettera del ministro Andreatta al governatore Ciampi del 12 febbraio 1981, riprodotta in M. Fratianni, F. Spinelli, Storia monetaria d’Italia: lira e politica monetaria dall’Unità all’Unione Europea, Etas, 2001.
(7) Lettera del governatore Ciampi al ministro Andreatta del 6 marzo 1981, ASBI, Banca d’Italia, “Direttorio Ciampi”, cont. 69, fasc. 1.
(8) Beniamino Andreatta, cit.
(9) M.T. Salvemini, L’indipendenza della banca centrale e il divorzio, in Andreatta economista, a cura di S. Rossi e A. Gigliobianco, Il Mulino, 2009.
(10) Carlo Azeglio Ciampi, Considerazioni Finali sul 1986, p. 340.
(11) Tommaso Padoa Schioppa, “Reshaping monetary policy”, in R. Dornbush, S. Fischer and J. Bossons, Essays in honor of Franco Modigliani, Cambridge, MIT Press, 1987.


[FINE]

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