Anthony P. Thirlwall
The folly of the euro
The International Research Group on Employment - Window
on Work, No.4, 1998. pp-4-9.
Pubblicazione
disponibile qui.
Articolo segnalato il
7 dicembre 2011 da Alberto Bagnai su Goofynomics qui.
La follia dell’euro
[
Traduzione di Giorgio D.M. * ]
Il momento giusto per aderire all’euro è
mai
Nel maggio del 1998 è stata raggiunta
una decisione sugli undici stati che potranno aderire alla moneta unica. L’euro
sarà introdotto dal 1 gennaio 1999, con tassi di cambio fissati
irrevocabilmente, e verrà creato fisicamente nel 2002. Dal 1 gennaio del 2002
le banconote e le monete in euro incominceranno a circolare e dal 1 luglio le
valute nazionali scompariranno.
Il Regno Unito ha deciso per il
momento di non aderire, saggiamente dal mio punto di vista, ma il governo ha
promesso di indire un referendum sulla questione quando riterrà giunto il
momento giusto per aderire.
In realtà, non ha alcun senso
economico dire “quando il momento è giusto” perché le nazioni non possono mai
sapere quali condizioni economiche prevarranno nel futuro, e queste condizioni
potranno richiedere l’uso di quelle armi della politica economica che sono
proprio tutte quelle delle quali si stanno privando gli stati che stanno
aderendo alla moneta unica e cioè: il tasso di cambio, la politica monetaria e
la discrezionalità nella politica fiscale.
La follia dell’euro
Il fatto che gli stati che stanno aderendo all’euro abbiano soddisfatto certi criteri di convergenza è irrilevante per le loro future prospettive economiche.
I criteri di convergenza riguardanti l’inflazione,
la stabilità del tasso di cambio, i tassi di interesse, il deficit di bilancio
e il debito pubblico sono tutti di natura monetaria ma non c’è alcuna garanzia
che la convergenza monetaria genererà una convergenza reale delle nazioni europee.
Al contrario, è probabile che sia
vero proprio l’opposto, e cioè che la convergenza reale richieda una divergenza monetaria.
Le due principali variabili
economiche che determinano i risultati economici di un paese e le condizioni di
vita delle persone comuni sono il tasso di crescita del prodotto e il livello
della disoccupazione.
Già oggi in Europa esistono grandi
differenze tra i diversi paesi, nelle condizioni di vita e per quanto riguarda
la disoccupazione e i tassi di crescita, differenze amplificate negli anni
recenti proprio dalle politiche economiche attuate per soddisfare i criteri
della convergenza monetaria.
Ora la situazione sarà resa molto più
problematica dal fatto che le nazioni che adottano l’euro abbandoneranno tutti
gli strumenti della politica economica, come se improvvisamente si ritenesse
che questi strumenti abbiano perso tutta la loro rilevanza.
E’ questo che io chiamo “la follia
dell’euro”.
Qual è dunque lo scopo di questa
avventura?
Gli scopi economici e politici dell’euro,
che non saranno raggiunti
Per alcuni, lo scopo della moneta
unica è quello di promuovere ulteriormente il commercio in Europa riducendo i
costi di transazione ed evitando le fluttuazioni dei tassi di cambio.
Si può dire subito che non c’è alcuna
solida evidenza empirica che mostri che una molteplicità di monete e i tassi di
cambio scoraggino il commercio.
Dove i mercati finanziari sono ben
sviluppati, chi commercia internazionalmente può coprirsi contro i rischi
derivanti dalle fluttuazioni delle valute.
Per più di quarant’anni dalla fine
della guerra, e in particolare dalla firma del Trattato di Roma avvenuta nel
1957, il commercio in Europa è cresciuto ed è prosperato con molteplici valute,
e continuerà a farlo anche senza l’euro.
In realtà, ora che le barriere
commerciali tra i paesi dell’Unione Europea sono quasi del tutto scomparse, le
principali determinanti del commercio saranno la maggiore specializzazione
[produttiva] delle nazioni e la stessa crescita del prodotto.
Se la moneta unica creerà una zona in
deflazione in Europa, come credo che accadrà, l’euro comprometterà il
commercio.
L’euro potrebbe anche dare origine a
sentimenti favorevoli al protezionismo.
Certo, ci saranno dei risparmi sui
costi di transazione, ma essi saranno ben piccola cosa se confrontati con i
potenziali costi derivanti per le nazioni dalla perdita della sovranità
economica.
Se lo scopo della moneta unica è
quello di completare il Programma per il Mercato Unico [Single Market
Programme] iniziato nel 1986, di nuovo non c‘è alcuna ragione per cui la
mancanza di una moneta unica dovrebbe impedire lo smantellamento delle barriere
al commercio non tariffarie e la libera circolazione dei fattori della
produzione, il lavoro e il capitale, se si ritiene che questa circolazione sia
desiderabile.
La mobilità del lavoro dipende dalle
opportunità di impiego, dai costi di trasporto, dalla disponibilità di
abitazioni e dalle barriere linguistiche, non dal fatto che attraversando i
confini nazionali si debba o no cambiare valuta
Le determinanti dei movimenti di
capitali in una zona con una valuta unica sono più interessanti.
In assenza di opportunità speculative
e di differenziali tra i tassi di interesse dei quali avvantaggiarsi, la mia
supposizione è che ci sarà un dirottamento di capitali dai flussi interni
all’Europa verso i flussi tra l’Europa e altre parti del mondo.
Questo porrà dei problemi per la
stabilità dell’euro e, di conseguenza, per la politica del tasso di interesse
necessaria per assicurare l’equilibrio esterno, se la nuova Banca Centrale
Europea a capo della politica monetaria perseguirà un obiettivo legato al tasso
di cambio.
Se il desiderio è quello di mantenere
un euro forte, in parte come strumento di contrasto all’inflazione e in parte
per competere con il dollaro come valuta di riserva, i tassi di interesse
potrebbero crescere e rimanere elevati esacerbando i problemi interni di
economie già depresse.
L’argomento secondo il quale la
moneta unica è necessaria per il completamento del Mercato Unico è, di fatto,
il rovesciamento della tradizionale teoria delle aree valutarie ottimali
[optimum currency areas] secondo la quale una area valutaria ottimale dipende
essa stessa dal grado di mobilità dei fattori.
Se la mobilità è bassa, in
particolare se è bassa la mobilità del lavoro, una moneta unica non sarà
ottimale perché potranno persistere grandi sacche di disoccupazione, riducendo
il benessere.
[L’idea che una elevata mobilità dei
fattori incrementi il benessere] A,
a sua volta, presuppone che la mobilità dei fattori porti sempre a un
equilibrio.
Io non credo affatto che sia così.
Quando la migrazione dei fattori
della produzione ha luogo dalle regioni depresse alle regioni più prospere,
essa tende a mettere in moto delle forze cumulative B che rinforzano lo [squilibrio] C iniziale.
La domanda cade nelle regioni
depresse e si espande nelle regioni prospere.
Le imprese, quando decidono dove
insediarsi, preferiscono i luoghi dove sono già insediate altre attività (per
sfruttare le economie di scala esterne) e dove il mercato si espande più
velocemente, a meno che non siano indotte ad andare altrove da sussidi
generosi.
Questa è l’essenza dei problemi
regionali in tutte le nazioni, e il motivo che giustifica l’adozione di politiche
regionali.
Tutte le regioni, e le nazioni da
questo punto di vista, funzionano in presenza di forti forze centrifughe che
rafforzano il più forte e indeboliscono il più debole, arricchiscono il più
ricco e impoveriscono (relativamente) il più povero.
Dunque, anche se la moneta unica
fosse un aiuto per la mobilità dei fattori della produzione, la mobilità dei
fattori della produzione non può essere considerata come una panacea per le
regioni depresse o per le nazioni che non possono impiegare le armi della
politica economica per proteggersi. D
Dopo decenni di emigrazione dal Nord
al Sud della Gran Bretagna, e dal Sud al Nord dell’Italia, i divari tra le
regioni in questi paesi sono rimasti notevoli.
Al di là del campo economico, per
molti sostenitori della moneta unica lo scopo è politico: promuovere l’unione
politica che alla fine condurrà agli Stati Uniti d’Europa, per eliminare una
volta per tutte la prospettiva dei conflitti intestini che per secoli hanno
afflitto le nazioni europee.
Questa era la visione dei padri
fondatori della Comunità Europea, ed è indubbiamente il piano del Cancelliere
Kohl e di altri pesi massimi in Europa che sono stati la forza trainante nei vari
passaggi dell’Unione Economica e Monetaria.
Possiamo tutti unirci nel desiderio
della pace e delle cooperazione in Europa, come possiamo farlo intorno alle
virtù della maternità o per una torta di mele ma l’euro, come strada che
conduce all’unione politica, anche se questa fosse desiderabile, è irta di
pericoli, e potrebbe nello stesso modo portare alla disintegrazione economica e
politica dell’Europa.
Le velleità politiche [political wishful
thinking] spesso possiedono la cattiva abitudine di respingere il buon senso
economico.
I pericoli sono molteplici.
I pericoli dell’euro
L’abolizione della democrazia e la
privazione dei diritti civili
In primo luogo, la moneta unica è
profondamente antidemocratica [undemocratic] perché la Banca Centrale Europea
non è tenuta ad alcun tipo di responsabilità democratica [democratic
accountability].
La politica monetaria sarà
determinata da un gruppo di banchieri centrali non eletti che decideranno il
tasso di interesse di breve periodo che si applicherà in tutta l’area della
moneta unica senza riguardo per le circostanze specifiche di ciascuna nazione.
Il tasso di interesse di lungo
periodo potrà variare in una certa misura secondo la rischiosità e le scadenze delle attività, ma
per tutti gli intendimenti e gli scopi coloro che presteranno e coloro che
prenderanno in prestito si troveranno ad affrontare lo stesso tasso di
interesse indipendentemente dal fatto che siano a Madrid, a Monaco o a Milano.
Osservazioni casuali dello stato
d’animo politico in Europa suggeriscono che questo non è quello che le persone
vogliono.
I cittadini europei aspirano sempre
di più a un maggiore controllo democratico sul loro personale destino
economico, e comprensibilmente.
Gli scozzesi e i gallesi hanno
recentemente votato per avere le loro proprie Assemblee; la Lega nell’Italia
del Nord continua ad avere un forte supporto, e i disoccupati in Francia sono
stanchi del fatto che le loro vite siano sottoposte alla dittatura della
Bundesbank di Francoforte.
La moneta unica viene lanciata
nonostante l’opposizione popolare di massa contro di essa in alcuni dei paesi
coinvolti.
La disaffezione che nelle diverse
regioni sarà causata dal deteriorarsi delle condizioni economiche, in paesi che
non avranno più gli strumenti politici per affrontare le crisi economiche, può
troppo facilmente trasformarsi in terreno fertile per il nazionalismo, per il
fascismo e per il risentimento politico, come abbiamo visto nell’Europa degli
anni Venti e Trenta.
Sembra che coloro che ignorano la
storia siano condannati a riviverla.
Con tutti i mezzi si faccia in modo
che vi sia un maggiore coordinamento delle politiche economiche in Europa, e
che le nazioni europee si sforzino per una maggiore cooperazione in aree come
la difesa, i diritti umani e le relazioni con gli altri paesi, ma non si costringano
le nazioni in una camicia di forza sulla quale non esiste un controllo
democratico e dalla quale non c’è via di uscita.
Questa è una ricetta per il disordine
politico e la frammentazione dell’Europa.
L’abbandono degli strumenti della
politica economica
In secondo luogo, la moneta unica
significa l’abbandono di tutte quelle armi della politica economica che in
passato hanno servito gli stati ragionevolmente bene.
Questo non ha alcun senso dal punto
di vista economico, e quindi non ne ha neppure dal punto di vista politico.
E’ difficile immaginare come gli
stati europei se la sarebbero cavata negli anni del dopoguerra senza un uso
attivo delle politiche monetaria e fiscale e del tasso di cambio.
Ci sarebbe stata l’anarchia
economica.
Consideriamo questi strumenti di
politica economica uno alla volta.
La politica monetaria
Come è già stato detto, l’euro
implica un solo tasso di interesse per tutti i paesi che l’adottano,
indipendentemente dalle condizioni economiche delle singole nazioni.
Questa può essere descritta solo come
l’economia dei folli [economics of the mad-house, l’economia del manicomio].
Il tasso di interesse è un’arma
potente per influenzare il livello dell’attività economica, e in modo
particolare il bilanciamento tra i consumi e gli investimenti.
Non c’è alcuna ragione per supporre
che i cicli economici dei diversi paesi saranno mai così sincronizzati che
tutte le nazioni richiedano nello stesso momento lo stesso tasso di interesse
per regolare il livello dell’attività economica o il tasso di inflazione.
Affinché vi sia una convergenza
reale, è anche necessario che alcuni paesi crescano più rapidamente di altri e
questo significa incoraggiare gli investimenti a spese dei consumi.
Questo a sua volta richiede in alcuni
paesi dei tassi di interesse più bassi che in altri paesi.
Il tasso di interesse deciso della
Banca Centrale Europea sarà un qualche tasso di compromesso che non si adatterà
ad alcuna nazione in particolare, fissato principalmente per raggiungere un
tasso di inflazione a livello europeo, quando anche la scelta tra inflazione e
disoccupazione è differente nei diversi paesi, così che il costo della
stabilità dei prezzi in una nazione potrà essere due o tre volte più elevato
che in un’altra, in termini di disoccupazione.
Gli individui all’interno degli stati
nazionali aderenti alla moneta unica non potranno più decidere per loro stessi
se desiderano che le loro economie si espandano o contraggano.
I loro redditi, i prezzi dei loro
prodotti, i prezzi delle loro case e i tassi dei loro mutui saranno decisi per
loro.
La privazione dei diritti civili
conduce alla rivolta.
La politica fiscale
Poi c’è il tema della politica
fiscale.
Anche la capacità di regolare le
imposte e la spesa pubblica e di impiegare i deficit di bilancio sono potenti
armi della politica economica.
Al vertice di Dublino del 1996,
tuttavia, è stato firmato un patto di stabilità che impone agli stati aderenti
alla moneta unica di non avere deficit di bilancio maggiori del 3% del PIL,
pena una sanzione pari allo 0,2% del PIL incrementata dello 0,1% del PIL per
ogni punto di deficit oltre il limite del 3%.
E’ allucinante l’analfabetismo
economico dei funzionari che hanno potuto immaginare una formula così meccanica
per punire una dissolutezza solo apparente.
Se il deficit stesso è il risultato
di uno shock recessivo, il patto di stabilità aggraverà la deflazione, e la
multa, in condizioni di questo tipo, renderà ancora maggiore il deficit.
Come minimo, i deficit ciclici devono
essere distinti dai deficit strutturali, come già fa l’OCSE per gli stati.
Il tasso di cambio
Veniamo ora al tasso di cambio.
I tassi di cambio tra gli stati che
adotteranno l’euro ovviamente scompariranno di colpo quando le valute nazionali
cesseranno di avere valore legale, a partire dal 1 luglio 2002.
Per tutti gli scopi pratici tuttavia
i tassi di cambio come strumento della politica economica scompariranno dal 1
gennaio 1999, quando i tassi di cambio saranno fissati in modo irrevocabile.
Con la scomparsa dei tassi di cambio
tuttavia non scompariranno gli squilibri tra le esportazioni e le importazioni.
Quando le importazioni eccederanno le
esportazioni il tasso di cambio non sarà più lì ad assorbire le tensioni, e i
problemi della bilancia dei pagamenti non si manifesteranno attraverso una
valuta che si deprezza, incoraggiando le esportazioni e scoraggiando le
importazioni, ma attraverso una caduta della produzione e dell’occupazione e
con una maggiore disoccupazione.
I problemi regionali interni alle
nazioni, relativi a una bassa crescita e a un’elevata disoccupazione, sono
essenzialmente problemi legati alla bilancia dei pagamenti che, per
definizione, non possono essere alleviati da movimenti dei tassi di cambio
perché le regioni all’interno di uno stato sono già parte di un’area con una
moneta unica.
Nello stesso modo, una moneta unica
europea trasformerà de facto le
nazioni europee in regioni, altrettanto prive di difese quanto lo sono le
regioni all’interno di uno stato, con lo svantaggio aggiuntivo che il bilancio
europeo per affrontare le situazioni di deprivazione materiale e di
disoccupazione è molto più ridotto in rapporto all’area che probabilmente sarà
colpita di quanto lo siano i bilanci nazionali in rapporto ai problemi
regionali interni a ciascun paese.
Non è stato previsto alcun meccanismo
che automaticamente trasferisca e ridistribuisca risorse tra i diversi stati,
come quello che ad esempio esiste tra gli Stati degli Stati Uniti d’America.
Sono disposto ad ammettere che il
tasso di cambio ha spesso una utilità limitata nell’incrementare
permanentemente il tasso di crescita di un paese, a meno che non si riesca a
mettere in atto un continuo deprezzamento del tasso di cambio reale, ma esso rimane una inestimabile
arma per combattere gli shock interni ed esterni, o una competitività che si
deteriori gradualmente.
Chi può sapere da dove verranno in
futuro gli shock, e come colpiranno in modo diversificato i differenti paesi,
come sicuramente accadrà?
Le conseguenze dell’adozione di una
moneta unica (equivalente a tassi di cambio fissi) di fronte a un
deterioramento della competitività possono danneggiare seriamente l’economia
reale, comportando una perdita di produzione e di posti di lavoro.
Verso la deflazione
L’Europa per un periodo lungo almeno
quanto l’ultimo decennio è già stata una delle regioni del mondo più stagnanti,
con una crescita del prodotto che in media non è stata maggiore del 2% all’anno
e una disoccupazione che in media è stata maggiore del 10% della forza lavoro.
Il perseguimento della moneta unica è
il principale responsabile.
La stagnazione continuerà con il
lancio dell’euro.
E’ probabile che il tasso di
interesse sarà fissato in modo tale da mantenere il tasso di inflazione al di
sotto del 2%, senza riguardo per il livello della disoccupazione, e per
mantenere un tasso di cambio forte così che l’euro possa competere con il
dollaro come valuta di riserva, cosa che potrebbe avvenire perché il commercio
dell’Unione Europea conta per più del 20% del commercio mondiale e le sue
riserve valutarie sono pari a 350 miliardi di dollari (a fronte dei 50 miliardi
di dollari di riserve valutarie degli Stati Uniti).
Il patto di stabilità fiscale, se
verrà rispettato, rafforzerà le pressioni verso la deflazione.
I patti e le condizioni che governano
l’Unione Economica e Monetaria non prevedono alcuna salvaguardia contro
politiche deflazionistiche, come quelle dei governi che portano in avanzo il
bilancio pubblico o che adottano altre politiche che conducono alla diminuzione
dei prezzi o all’aumento della disoccupazione. E
Le “regole del gioco” sono
asimmetriche, distorte contro l’inflazione, come in effetti lo sono a livello
internazionale con il Fondo Monetario Internazionale che penalizza le nazioni
che hanno un deficit della bilancia dei pagamenti ma non quelle che hanno una
bilancia dei pagamenti in surplus, imponendo perciò una distorsione
deflazionistica all’economia mondiale.
Gli euro-scettici per la maggior
parte non sono keynesiani, ma potrebbero anch’essi essere d’accordo con la
famosa frase di Keynes secondo la quale “in un mondo impoverito, provocare la
disoccupazione è peggio che deludere chi percepisce una rendita finanziaria”. F
Nelle condizioni attualmente
prevalenti in Europa è difficile dissentire da questa affermazione.
Il fallimento dell’euro è inevitabile
Il futuro economico che ho dipinto
per l’area dei paesi che adotteranno l’euro è tetro, ma io non vedo alcuna
possibilità di redenzione.
Ci sarà solo qualche piccolo
risparmio per le imprese e i turisti che potranno evitare di cambiare valuta.
I rischi politici ed economici sono
enormi, a fronte di vantaggi così insignificanti.
Le regioni e le nazioni hanno la
necessità, per quanto è possibile, di politiche studiate per i loro bisogni,
adatte alle loro particolari esigenze.
Questa è la direzione nella quale la
politica economica dovrebbe muoversi per il successo economico e per una maggiore
armonia dell’Europa, non nella direzione opposta di imporre una politica economica
unica che dovrebbe andare bene per tutti.
Non funzionerà e potrebbe provocare
dei danni irreparabili alla causa dell’integrazione europea.
Il Regno Unito deve evitare questa rischiosa avventura
Per quanto riguarda il Regno Unito, i
benefici promessi di una sempre più stretta unione con il resto dell’Europa
sono sempre stati esagerati.
Quando nel 1975 si tenne il referendum
sul Mercato Comune per decidere se il Regno Unito avrebbe dovuto accettare la
revisione dei termini dell’adesione, io (insieme ad altri sette milioni) votai
contro, non perché io sia un anti-europeo in un senso strettamente
nazionalistico, ma perché pensavo che i nuovi termini avrebbero ancora
danneggiato gli interessi di lungo periodo della nazione.
Credo che lo scetticismo fosse
giustificato.
E’ molto difficile dimostrare che il
Regno Unito abbia tratto benefici significativi dalla piena adesione alla
Comunità Europea.
I benefici commerciali avrebbero
potuto essere ottenuti con lo status di paese associato senza l’adesione alla
Politica Agricola Comune e agli altri accordi che hanno reso il Regno Unito uno
dei maggiori contribuenti al bilancio della Commissione Europea.
Fu per la massima parte merito di
Margaret Thatcher l’aver rinegoziato i termini del nostro contributo al
bilancio, ma non si valuta ancora abbastanza il fatto che ogni famiglia di
quattro persone del Regno Unito paga, in media, mille sterline all’anno in più
per la spesa alimentare rispetto a quanto spenderebbe se gli stessi prodotti fossero
acquistati sul libero mercato.
Anche per quanto riguarda il
commercio, i nostri partner europei hanno penetrato il mercato del Regno Unito
con molto più successo di quanto i produttori britannici abbiano penetrato il
mercato europeo con la conseguenza che si sono verificati massicci deficit
commerciali che hanno contribuito significativamente alla deindustrializzazione
del Regno Unito.
Il tasso di crescita del prodotto
dall’adesione alla Comunità Europea avvenuta nel 1973 non è stato quel miracolo
che era stato promesso nei diversi Libri Bianchi pubblicati dal governo prima
dell’entrata.
Il tasso di crescita medio dal 1973
non è stato più del 2% all’anno, più basso che nel periodo dal 1950 al 1973, e diminuito,
ovviamente, dalla profonda recessione che si verificò tra il 1990 e il 1992
come conseguenza dell’aver rinchiuso la sterlina nel Sistema Monetario Europeo
a una tasso di cambio non competitivo.
Questo stesso fatto dovrebbe
costituire un salutare avvertimento per coloro che premono affinché la Gran
Bretagna abbandoni la sterlina per adottare l’euro il prima possibile.
Al di fuori dei confini dall’area
della moneta unica, la Gran Bretagna ha meravigliose opportunità di divenire la
storia di successo economico dell’Europa.
Non c’è alcun motivo per supporre che
il commercio, gli investimenti dall’estero o la City di Londra subirebbero
conseguenze negative dal rimanere fuori.
Al World Economic Forum tenutosi a
Davos, in Svizzera, nel 1998 tutti i paesi del mondo, inclusi quelli europei,
hanno indicato con ammirazione i risultati in termini di crescita delle
economie britannica e statunitense nel corso degli ultimi anni.
Quello che conta soprattutto per i risultati
economici delle nazioni è una politica macroeconomica sensata, sostenuta da un
solido fondamento microeconomico.
Una conduzione sbagliata della
politica macroeconomica può facilmente impedire che si realizzino i benefici di
qualsiasi riforma microeconomica.
Questo non fu mai così evidente come
nel Regno Unito nei primi anni ’80 quando politiche macroeconomiche totalmente sbagliate
annullarono completamente i potenziali benefici di alcune riforme
microeconomiche molto sensate, producendo più di tre milioni e mezzo di
disoccupati nel 1985.
Questo deve costituire un avvertimento
per l’Unione Europea, nella quale la disoccupazione in media è al di sopra del
10%, che nessuna riforma del mercato del lavoro, per quanto ampia sia e per
quanto riduca le imperfezioni del mercato, creerà posti di lavoro se c’è una
domanda di lavoro inadeguata nel sistema economico.
L’Europa ha la necessità urgente di
una strategia di crescita che non sarà prodotta dall’euro.
Se la Gran Bretagna mantiene il
controllo del suo tasso di cambio, ed è capace di decidere il suo tasso di
interesse e la sua politica fiscale, ha la prospettiva di continuare ad
ottenere i risultati economici degli ultimi quattro anni.
Aderire all’euro, e perdere il
controllo delle armi della politica economica, a mio parere non avrebbe alcuna
utilità pratica.
Sarebbe sgarbato augurare il
fallimento all’euro ma temo che provocherà gravi danni per le economie europee
e per il nobile obiettivo di una maggiore armonia e cooperazione in Europa.
Il governo del Regno Unito farebbe
bene ad evitare questa rischiosa avventura, anche ben oltre la scadenza del
mandato dell’attuale parlamento.
[FINE]
* Note:
Ho suddiviso l’articolo
in paragrafi introducendo i titoli indicati in rosso.
A Credo di interpretare correttamente
così un “this” estremamente sintetico, riferito al “welfare” della frase
precedente.
B Qui il riferimento implicito è
chiaramente a Gunnar Myrdal, si veda ad esempio il libro del 1957 “Economic
Theory and Under-developed Regions”, tradotto in italiano con il titolo “Teoria
economica e paesi sottosviluppati”. Il terzo capitolo del libro, "The Drift towards Regional Economic Inequalities in a Country", in inglese, è
disponibile qui.
C Il testo dice “equilibrio” ma mi
sembra un evidente refuso, dato che si discute di una condizione di
disequilibrio.
D “Il diritto di proteggersi contro il
contagio della depressione”, scriveva Beveridge nell’introduzione a “La piena occupazione in una società libera”.
E Qui il riferimento implicito è
ovviamente alla Germania e alla politica economica ispirata all’”ordoliberismo”
da essa adottata dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oltre ai due
articoli già tradotti qui di Bibow, "Oltre l'Europa tedesca: trasferimenti fiscali o rottura dell'euro", e di Posen, "L'ossessione per le esportazioni stritola la Germania", si legga il post di Alberto
Bagnai su Goofynomics “Cosa sapete della slealtà?”.
F Citazione dall’articolo di Keynes del
1923 intitolato “Social Consequences of Changes in the Value of Money”, ripubblicato
in “Essays in Persuasion”. Il testo in inglese è disponibile qui.
Grazie
RispondiEliminaFondamentale.
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