Rosario Romeo
Breve storia della grande industria in Italia 1861-1961
IV edizione,
Cappelli editore, Bologna 1972. pp. 46-50.
L’imposta fondiaria e la crisi agraria del 1880
Intorno al 1880 una svolta
fondamentale si opera nella vita economica italiana con l’inizio della crisi
agraria, che si inserisce nel più vasto quadro della crisi depressiva che si
era aperta nell’economia mondiale dopo il 1874, e che durerà sino al 1896.
[...]
In Italia la crisi agraria si
manifesta con maggiore ritardo, rispetto ad altri paesi, per i minori legami
della nostra economia con il mercato mondiale: ma i suoi effetti non furono
perciò meno disastrosi.
Alla sua origine stava l’abbassamento
dei noli marittimi, che permise l’arrivo sui mercati europei dei cereali d’oltre
oceano a prezzi insostenibili dalla produzione del vecchio continente.
In Italia infatti l’importazione di
grano cresce da 1,5 milioni di quintali nel 1880 a 10 milioni di quintali nel
1887; e contemporaneamente si verifica un crollo disastroso dei prezzi, che,
nella media nazionale, passano dalle lire 33,11 del triennio 1878-1880 alle
22,80 del 1887.
Ciò significò una forte riduzione
della produzione granaria nella penisola, che dai 51 milioni di quintali
raggiunti fra il 1876 e il 1880 precipitò, fra il 1885 e il 1887, a circa 43
milioni.
Riduzioni quasi altrettanto
rilevanti, e crolli non meno disastrosi dei prezzi, si ebbero nella produzione
degli altri cereali (ad eccezione del granturco, sostituito in parecchie zone
al grano per l’alimentazione) e di molti prodotti agricoli, dei legumi alle
patate all’olio.
Anche in Italia, come già in altri
paesi, si cercò di reagire alla crisi con la trasformazione delle colture, e
specialmente con lo sviluppo della viticoltura [...].
Ma la trasformazione era resa in
molte zone difficile dalla mancanza di capitali, dalla natura del terreno e del
clima, dalla struttura dei rapporti agrari.
Nell’insieme, la produzione agricola
e zootecnica si ridusse da 6.191 milioni di lire correnti nel 1880 a 4.843
milioni nel 1887 (da 28.308 milioni a 25.916 milioni a prezzi 1938), e la
partecipazione delle attività primarie al reddito nazionale dal 57,4 al 48,9%.
Tutto ciò ebbe conseguenze vistose
sul livello dei consumi pro-capite, che nel 1881-85 toccarono, con una media di
1.803 lire, il livello più basso di tutta la storia unitaria.
[...]
L’imposta sui terreni e il prezzo di
vendita del sale furono allora diminuiti, e il macinato venne interamente
abolito: ormai la coscienza che occorresse mutare nella misura del possibile le
basi del sistema fiscale in vigore era penetrata in molti uomini della classe
dirigente.
“La causa intima della crisi agraria
- confessava in parlamento Ruggero Bonghi - sta... nell’esagerazione dell’imposta fondiaria, esagerazione nella quale siamo
entrati via via in momenti difficili; in cui soprattutto, con la falsa
illusione che la terra sia posseduta dai ricchi, e che noi possiamo ad essa
attingere qualunque somma ci occorra per sopperire alle spese, abbiamo
continuato in una via nella quale ci eravamo messi per circostanze straordinarie, e dalla quale avremmo dovuto
ritrarci subito che queste circostanze straordinarie erano scomparse.
Oggi la diminuzione dei prezzi non ha fatto che manifestare una magagna
che l’altezza dei prezzi aveva nascosto.
[...]
La diminuita redditività degli
impieghi agrari allontanava “menti braccia e denaro dalla terra per farli
volgere verso altri campi di attività” (Corbino).
In molte zone il crollo dei prezzi
aveva reso rovinosi per gli affittuari i canoni d’affitto pattuiti in epoche di
alti prezzi; e ne erano seguite risoluzioni, talora concordate talora
unilaterali dei contratti.
Numerose testimonianze ci provano
infatti che, specie nelle zone di più avanzata agricoltura, la crisi agraria
aveva assai ridotto l’impulso all’investimento nella terra, e provocato anzi
fenomeni di vero e proprio disinvestimento.
E a frenare l’afflusso di capitali
all’agricoltura dovettero contribuire anche i minori acquisti di terre da parte
di elementi cittadini, scoraggiati dalla
crisi dal praticare questa forma tradizionale di investimento.
[FINE]
Il corsivo è mio.
C'entra niente il fatto che in quel periodo si era entrati nell'unione latina? Quindi cambio fisso con economie piú forti? Ho letto qualcosa su goofy... o ho capito male?
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