giovedì 7 agosto 2014

Riconoscere gli errori ed imparare da essi




Paul Krugman

Wrongness, OK and Not

The Conscience of a Liberal, 13 giugno 2014.
Pubblicazione disponibile qui.



Riconoscere gli errori ed imparare da essi

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



[...] Barry Ritholtz ha scritto un simpatico post nel quale riconosce un errore (per nulla fondamentale) in un suo articolo e discute di come comportarsi con gli errori quando li si commettono -  e li si commettono!

Aggiungerei che ci sono errori ed errori, e che è importante sapere quale tipo di errore si è compiuto.
Ho già scritto di questo in passato, ma forse posso affrontare l’argomento in un modo abbastanza nuovo.

Supponete di stare facendo una previsione - e ogni affermazione su come va il mondo comporta per lo meno una previsione implicita di qualcosa, perché altrimenti si tratta di un’affermazione vuota.

Questa previsione è il risultato di un certo modello - se pensate di non avere un modello vi state ingannando e il vostro modello è il peggiore di tutti perché immaginate di non farne uso.

Ad esempio, diciamo che il vostro modello abbia la forma

y = a + bx + u

dove y è la variabile che state prevedendo, x è una qualche variabile esplicativa, a e b sono parametri, e u rappresenta variabili casuali (non necessariamente davvero casuali, ma variabili che non fanno parte del vostro modello).
L’ultimo termine è importante: nessuno, e nessun modello, prevede tutto in modo perfetto.

Supponiamo quindi che la vostra predizione di y finisca con il rivelarsi errata.
Che cosa vi dice questo errore di previsione?
Potrebbe semplicemente dirvi, come dicono, ma non proprio così, gli adesivi, che le cose spiacevoli accadono [Stuff Happens] e che c’è stato un disturbo causale o anche che le vostre variabili esplicative non si sono comportate come vi aspettavate.
L’errore di previsione però potrebbe anche dirvi che il vostro modello è semplicemente del tutto sbagliato, e che deve essere ripensato.

E proprio questo è il punto: nel corso della vita si compiono entrambi questi tipi di errori.
La questione è se ignorarli o imparare da essi - se rimanere aderenti alla propria teoria o riconoscere che essa è errata

Lasciate che vi mostri quattro esempi, tratti dalla lunga lista degli errori che io stesso ho compiuto.


Primo esempio: negli anni Novanta ero estremamente scettico nei confronti di chi affermava che si stava verificando un incremento della produttività generato dalla diffusione dell’informatica.
Ero proprio in errore: la produttività stava davvero aumentando, sebbene alla fine questa crescita si smorzò.
Di che tipo fu questo errore?
La risposta è che non fu un errore fondamentale.
Il mio modello di come funziona il mondo non escludeva affatto incrementi della produttività, stavo semplicemente valutando in modo errato l’incremento che stava avvenendo.
Una cosa che imparai, comunque, fu di considerare con più serietà di quanto non facessi quel rumore di fondo che non si rispecchia ancora nei dati ufficiali.



Secondo esempio: nel 2003 misi in guardia contro la possibilità che si verificasse, a causa della irresponsabilità fiscale del governo, una crisi finanziaria negli Stati Uniti, in qualche modo comparabile con le crisi finanziarie verificatesi in Asia pochi anni prima.
Oggi penso che questo fu un errore fondamentale: gli Stati che si indebitano nella propria valuta non corrono gli stessi rischi degli Stati che si indebitano in una valuta estera.
Quello che davvero mi dà fastidio di questo errore è che la mia stessa analisi di allora cercava di dirmi questo: avevo lavorato molto sulla crisi dell’Asia, con modelli che si basavano in modo cruciale sul debito in valuta estera e sugli effetti patrimonali.
Misi però quell’analisi da parte e procedetti con il mio sesto senso, il che è quasi sempre una cattiva idea.
Questo dunque fu un errore fondamentale nella costruzione del modello, che richiedeva una revisione importante della teoria - che compii.


Terzo esempio: mi preoccupai molto negli anni dal 2010 al 2012 di una rottura dell’euro [euro breakup].
Anche in questo caso impiegavo un modello fondamentalmente errato.
L’errore però non era nel mio modello economico, che si comportò abbastanza bene, ma nel mio implicito modello politico: semplicemente fallii nel valutare gli incentivi che muovono le élite europee e quanto esse sarebbero state determinate nel compiere tutto quello che era necessario [how willing they would be to do whatever it takes], sia nei paesi debitori [come l’Italia] che alla Banca Centrale Europea, per evitare una vera e propria rottura.

Ultimo esempio: il Regno Unito cresce oggi molto più rapidamente di quanto mi aspettassi.
C’è un errore fondamentale nel modello? Non penso.
Come Simon Wren-Lewis ha evidenziato più volte, il governo Cameron essenzialmente ha smesso di rendere sempre più restrittiva la politica fiscale prima dell’inizio della crescita, e questo significa che la “x” nella mia equazione [la variabile esplicativa] non si è comportata come pensavo che avrebbe fatto.
Inoltre c’è stata una diminuzione del risparmio privato, che è una di quelle cose che capitano ogni tanto.
Il punto è che la deviazione della crescita dell’economia britannica dal percorso che un modello keynesiano standard avrebbe previsto, sebbene reale, non è avvenuta al di fuori di quel normale intervallo delle variazioni-dovute-alla-possibilità-che-le-cose-spiacevoli-accadano; nulla che richieda una revisione importante della struttura del modello.

Quindi talvolta si è in errore, ed è necessario fare del proprio meglio per capire perché.

Quello che non si deve fare mai, ovviamente, è accampare pretesti, o fingere di non aver detto quello che si è detto.
Sfortunatamente, molte persone se non la maggior parte di quelle che elaborano previsioni economiche si comportano sempre come nessuno dovrebbe comportarsi mai.


[FINE]


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