Paul Krugman
Wrongness, OK and Not
The Conscience of a Liberal, 13 giugno 2014.
Pubblicazione
disponibile qui.
Riconoscere gli errori ed imparare da essi
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
[...] Barry Ritholtz ha scritto un
simpatico post nel
quale riconosce un errore (per nulla fondamentale) in un suo articolo e discute
di come comportarsi con gli errori quando li si commettono - e li si commettono!
Aggiungerei che ci sono errori ed
errori, e che è importante sapere quale tipo di errore si è compiuto.
Ho già scritto di questo in passato,
ma forse posso affrontare l’argomento in un modo abbastanza nuovo.
Supponete di stare facendo una
previsione - e ogni affermazione su come va il mondo comporta per lo meno una previsione
implicita di qualcosa, perché altrimenti si tratta di un’affermazione vuota.
Questa previsione è il risultato di
un certo modello - se pensate di non avere un modello vi state ingannando e il
vostro modello è il peggiore di tutti perché immaginate di non farne uso.
Ad esempio, diciamo che il vostro
modello abbia la forma
y = a + bx + u
dove y è la variabile che state prevedendo, x è una qualche variabile esplicativa, a e b sono parametri, e u rappresenta variabili casuali (non
necessariamente davvero casuali, ma variabili che non fanno parte del vostro
modello).
L’ultimo termine è importante:
nessuno, e nessun modello, prevede tutto in modo perfetto.
Supponiamo quindi che la vostra
predizione di y finisca con il
rivelarsi errata.
Che cosa vi dice questo errore di
previsione?
Potrebbe semplicemente dirvi, come dicono,
ma non proprio così, gli adesivi, che le cose spiacevoli accadono [Stuff Happens]
e che c’è stato un disturbo causale o anche che le vostre variabili esplicative
non si sono comportate come vi aspettavate.
L’errore di previsione però potrebbe
anche dirvi che il vostro modello è semplicemente del tutto sbagliato, e che
deve essere ripensato.
E proprio questo è il punto: nel
corso della vita si compiono entrambi questi tipi di errori.
La questione è se ignorarli o imparare
da essi - se rimanere aderenti alla propria
teoria o riconoscere che essa è errata
Lasciate che vi mostri quattro
esempi, tratti dalla lunga lista degli errori che io stesso ho compiuto.
Primo esempio: negli anni Novanta ero
estremamente scettico nei confronti di chi affermava che si stava verificando
un incremento della produttività generato dalla diffusione dell’informatica.
Ero proprio in errore: la
produttività stava davvero aumentando, sebbene alla fine questa crescita si
smorzò.
Di che tipo fu questo errore?
La risposta è che non fu un errore
fondamentale.
Il mio modello di come funziona il
mondo non escludeva affatto incrementi della produttività, stavo semplicemente
valutando in modo errato l’incremento che stava avvenendo.
Una cosa che imparai, comunque, fu di
considerare con più serietà di quanto non facessi quel rumore di fondo che non
si rispecchia ancora nei dati ufficiali.
Secondo esempio: nel 2003 misi in
guardia contro la possibilità che si verificasse, a causa della
irresponsabilità fiscale del governo, una crisi finanziaria negli Stati Uniti,
in qualche modo comparabile con le crisi finanziarie verificatesi in Asia pochi
anni prima.
Oggi penso che questo fu un errore
fondamentale: gli Stati che si indebitano nella propria valuta non corrono gli
stessi rischi degli Stati che si indebitano in una valuta estera.
Quello che davvero mi dà fastidio di
questo errore è che la mia stessa analisi di allora cercava di dirmi questo:
avevo lavorato molto sulla crisi dell’Asia, con modelli che si basavano in modo cruciale sul debito in valuta estera e sugli effetti patrimonali.
Misi però quell’analisi da parte e
procedetti con il mio sesto senso, il che è quasi sempre una cattiva idea.
Questo dunque fu un errore
fondamentale nella costruzione del modello, che richiedeva una revisione importante
della teoria - che compii.
Terzo esempio: mi preoccupai molto
negli anni dal 2010 al 2012 di una rottura dell’euro [euro breakup].
Anche in questo caso impiegavo un
modello fondamentalmente errato.
L’errore però non era nel mio modello
economico, che si comportò abbastanza bene, ma nel mio implicito modello
politico: semplicemente fallii nel valutare gli incentivi che muovono le élite
europee e quanto esse sarebbero state determinate
nel compiere tutto quello che era necessario [how willing they would be to do
whatever it takes], sia nei paesi
debitori [come l’Italia] che alla Banca Centrale Europea, per evitare una vera
e propria rottura.
Ultimo esempio: il Regno Unito cresce
oggi molto più rapidamente di quanto mi aspettassi.
C’è un errore fondamentale nel
modello? Non penso.
Come Simon Wren-Lewis ha evidenziato più volte, il governo Cameron essenzialmente ha smesso di
rendere sempre più restrittiva la politica fiscale prima dell’inizio della
crescita, e questo significa che la “x” nella mia equazione [la variabile esplicativa]
non si è comportata come pensavo che avrebbe fatto.
Inoltre c’è stata una diminuzione del
risparmio privato, che è una di quelle cose che capitano ogni tanto.
Il punto è che la deviazione della
crescita dell’economia britannica dal percorso che un modello keynesiano
standard avrebbe previsto, sebbene reale, non è avvenuta al di fuori di quel
normale intervallo delle variazioni-dovute-alla-possibilità-che-le-cose-spiacevoli-accadano;
nulla che richieda una revisione importante della struttura del modello.
Quindi talvolta si è in errore, ed è
necessario fare del proprio meglio per capire perché.
Quello che non si deve fare mai, ovviamente,
è accampare pretesti, o fingere di non aver detto quello che si è detto.
Sfortunatamente, molte persone se non
la maggior parte di quelle che elaborano previsioni economiche si comportano
sempre come nessuno dovrebbe comportarsi mai.
[FINE]
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