Il 6 dicembre 1978, dopo la conclusione del vertice di Bruxelles del
giorno prima, si era certi che l’Italia non avrebbe aderito al Sistema
Monetario Europeo. 
Sotto al titolo della prima pagina: “Tre assenti e non è più Sme. Italia,
Gran Bretagna e Irlanda dicono no al nuovo Sistema monetario”, Il Sole 24 Ore
pubblicò questo editoriale. 
Nella stessa pagina si esprimevano contro l’adesione allo Sme: Luciano
Barca, deputato comunista; Luigi Spaventa,
deputato della Sinistra indipendente; e Mario Monti, con un lungo articolo.  
Pericolo scampato, ma solo per qualche giorno. 
Alfredo Recanatesi 
Altre strade per l’Europa 
Il Sole 24 Ore, 6
dicembre 1978. 
Altre strade per l'Europa  
Il disegno di un’Europa che potesse unificarsi attraverso la finestra dei
vincoli valutari anziché attraverso la porta dell’armonizzazione economica, è
nuovamente caduto.
Ancora una volta si è dimostrato che sistemi economici eterogenei non possono
superare questa eterogeneità attraverso una stabilizzazione dei cambi tra le
loro monete che dell’armonizzazione economica può essere semmai il coronamento
formale, non certo il fondamento.
In quanto riteniamo che il fallimento
del vertice di Bruxelles vada fatto risalire alle oggettive difficoltà che
ciascun governo ha di premiare la causa europea rispetto ai più immediati e
stringenti problemi nazionali, crediamo che ogni drammatizzazione sarebbe fuori
luogo.
In fin dei conti a Bruxelles ha
prevalso il realismo, laddove nel 1972 prevalse l’utopia.
Nessuno può compiacersi di questa
realtà, ma nessuno avrebbe dovuto
illudersi di poterla facilmente scavalcare ritenendo possibile che le oggettive esigenze di un Paese come la
Germania, la cui posizione strutturalmente eccedentaria è frutto di una
peculiare e indiscussa scelta politica, potessero essere accordate con quelle
di un’Italia, la quale ha problemi che possono essere risolti solo in un quadro
di congiuntura internazionale espansiva.
Trascurare questa elementare realtà è stato l’errore compiuto, per un motivo o per l’altro, da
tutte le delegazioni: da quella tedesca, la quale ha cercato nello Sme solo uno
strumento per poter ripartire sugli altri partner il rovescio della medaglia
della sua posizione eccedentaria; e quella francese, che nel nuovo accordo
vedeva e vede solo un supporto alla politica economica che il governo Barre
intende attuare; a quella italiana, la quale anziché impostare la trattativa
sul quadro di politica economica comunitaria che costituisce ad un tempo un
progresso sulla via dell’armonizzzazione e la necessaria premessa alla
soluzione dei suoi specifici problemi, si è addentrata nella trattativa sui
particolari tecnici, come la fascia di oscillazione, e su discutibili
contropartite, come le agevolazioni comunitarie per gli investimenti nel
Mezzogiorno, esponendosi alla sortita di Giscard, certo teatrale, ma non per
questo meno fondata.
Fin dall’inizio il nuovo Sme era
apparso come un punto di incontro franco-tedesco; è logico che con questa forma
prenda vita il 1° gennaio prossimo perdendo una caratterizzazione politica che
altro non avrebbe significato se non un allineamento forzato e - continuiamo a
ritenere - negativo su quel punto di incontro.
La delegazione italiana di errori ne ha commessi molti, ma l’esito
negativo del vertice non può essere imputato ad essa.
Nessuno può accusarla per non aver aderito ad un accordo col quale, in
cambio di qualche contentino, avrebbe dovuto mettersi da parte nel fare
concorrenza alla produzione tedesca, posto che la Germania non intende
rinunciare al suo grado di stabilità monetaria interna (invidiabile, forse, ma
decisamente atipico) e posto che in nessun caso l’Italia può collocare nel suo
orizzonte un contenimento dell’inflazione alla dimensione tedesca.
Al governo però si pone un problema:
quello di ricondurre sul piano interno le motivazioni di una politica economica
che con troppa enfasi aveva impostato sull’adesione allo Sme.
Il fatto che non abbia aderito non
costituisce alcuna contraddizione di quella politica economica, ma è imminente
il rischio che possa essere colto come pretesto per rafforzare le critiche e,
soprattutto, le contravvenzioni alla logica di quella politica.
Sarà quindi opportuno che
sollecitamente e fermamente quella politica venga confermata in quanto unica
via per risolvere i nostri problemi.
La necessità di controllare
rigorosamente l’inflazione ha solide motivazioni autonome per essere perseguita
anche al di fuori di un’ottica di integrazione valutaria europea, così come
l’esigenza di evitare svalutazioni della lira non viene meno con il fallimento
del rendez-vous con le altre monete
comunitarie.
E’ una linea questa, il cui
orientamento sull’Europa oggi appare più come una coincidenza che come una
motivazione; tanto meglio se, lungo la strada della sua attuazione, potremo
incontrare altri membri della comunità che nel frattempo abbiano compiuto
qualche passo verso di noi.
[FINE]
N.B.        Il
grassetto è mio.