Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

giovedì 25 aprile 2013

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Quello che non si può dire sulla Germania

http://goo.gl/FwgQf



Nicholas Ridley

Saying the unsayable about the Germans

Dominic Lawson meets Nicholas Ridley and hears an impassionate denunciation of a country he accuses of trying to take over Europe.
The Spectator, 14 July 1990, pp. 8-10.
Pubblicazione disponibile qui.



Quello che non si può dire sulla Germania

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]


[..]
Mentre pranzavamo insieme, guardavo attraverso quella che pensavo fosse una finestra dietro le spalle del mio ospite. In realtà non era una finestra ma un magnifico trompe l’oeil, dipinto da Ridley nel 1961. 
Il giardino - reale - della casa, progettato da Ridley, ingegnere civile per formazione, è ugualmente sconcertante. Una parte del giardino, isolata, conduce abilmente in modo imprevisto a un’altra parte, e da nessun punto è possibile vedere dove la prossima svolta possa portare.
Ma la passione di Nicholas Ridley per l’illusione è assolutamente solo un passatempo. 
Nell’attuale vita politica non c’è nessuno che dica in modo più brutale la pura e semplice verità. Neppure la signora Thatcher, il cui punto di vista deve molto a quello di Ridley , è più contraria al nascondere la realtà dietro una patina di simpatia o di fascino politico. […]
Pur sapendo tutto questo, sono stato davvero colpito dalla veemenza delle considerazioni di Ridley sulle questioni relative all’Europa e in particolare sul ruolo della Germania.
Mi era sembrato di grande attualità ascoltare le sue riflessioni il giorno prima della visita in Inghilterra del presidente della Bundesbank Klaus-Otto Pöhl, che avrebbe predicato le gioie di una politica monetaria unica per l’Europa.
“E’ un attività criminale dei tedeschi, che mirano ad impossessarsi dell’intera Europa. Deve essere contrastata. Questa affrettata conquista da parte dei tedeschi, alle peggiori condizioni possibili, con la Francia che scodinzola come un cagnolino alla Germania, è assolutamente intollerabile.”
“Scusi, ma in che senso i passi verso una unione monetaria costituiscono “il tentativo dei tedeschi di impossessarsi dell’intera Europa”?”
“Il marco tedesco rimarrà sempre la moneta più forte, a causa delle loro abitudini.”
“Scusi Mr. Ridley, ma certamente non è sicuro che la moneta tedesca sarà sempre la più forte…”
“Lo è, a causa dei tedeschi.”
“Ma la Comunità Europea non è composta solo dai tedeschi.”
Ridley sposta il suo fuoco – come al solito sta fumando moltissimo – contro la Comunità Europea nel suo complesso.
“Quando guardo alle istituzioni alle quali si propone di cedere la sovranità, sono esterrefatto.
Diciassette persone che non sono state elette – incluso te, Sir Leon Brittan - e che respingono i politici eletti, senza dover rispondere a nessuno, che non sono responsabili per l’imposizione fiscale, che semplicemente spendono il denaro, che sono appoggiati da un parlamento supino che pure non è responsabile per l’imposizione fiscale, che già si comportano con un’arroganza che trovo sconvolgente – l’idea che uno possa dire “va bene, daremo a questi la nostra sovranità” è per me inaccettabile.
Non sono contrario in linea di principio alla cessione della sovranità, ma non a queste persone.
Si potrebbe allora cederla direttamente a Adolf Hitler, francamente.”
Di nuovo stiamo parlando della Germania, e io sto facendo ancora l’avvocato del diavolo, se non di Hitler: “Ma Hitler fu eletto.”
“Bene, fu eletto, almeno lui fu eletto… ma io non ero d’accordo con lui – ma questa è un’altra questione.”
“Ma sicuramente Kohl è preferibile a Hitler. Non ci sta per bombardare, dopotutto.”
“Non sono sicuro che non avrei preferito…” – in un momento di vertigine, mentre Ridley fa una pausa per estrarre l’ennesima sigaretta, penso che stia per menzionare il nome dell’ultimo Cancelliere di una Germania unita – “… la possibilità di difenderci e di reagire all’essere semplicemente conquistati con… l’economia.
Presto Kohl verrà qui e cercherà di dirci cosa dobbiamo fare con le nostre banche e quali debbono essere le nostre imposte. Voglio dire che presto tenterà di prendere il controllo di tutto.”
In qualche modo immagino (lo ammetto perché Ridley accusa sempre i giornalisti di creare confusione) di poter sentire una voce di donna 1 dire con un vago accento del Lincolnshire: “Sì Nick, è vero, i tedeschi stanno cercando di impadronirsi di tutto.”
Posso almeno ricordare, senza ricorrere all’immaginazione, l’aneddoto di uno dei primi consiglieri del Primo Ministro, di come egli arrivò a un incontro con la signora Thatcher a bordo di una automobile tedesca. “Cos’è quella auto straniera?”, chiese lei, guardandola con ira. “E’ una Volkswagen” rispose lui, servizievole come sempre. “Non parcheggiare mai più qualcosa di simile qui.”
Il punto è che la confidenza con la quale Ridley espone il suo punto di vista sulla minaccia tedesca deve qualcosa alla consapevolezza che non è molto diverso da quello del Primo Ministro, che all’inizio si oppose alla riunificazione della Germania, anche se in pubblico è necessario che non sia così indelicata da proporre paragoni tra Kohl e Hitler.
Un’altra cosa che il Primo Ministro e Ridley hanno in comune, e che non condividono con molti colleghi del Governo, è che entrambi hanno più di sessanta anni.
La domanda successiva a Ridley quindi è: “Il suo punto di vista non è influenzato dal fatto che lei ricorda la seconda guerra mondiale?” Potrei giurare di aver visto uno spasmo di emozione sul volto di Ridley. Ad ogni modo egli risponde alla domanda voltando la testa per guardare fuori dalla finestra.
“E’ davvero irritante. Ogni tanto qualcuno lo dice. E’ davvero una cosa brutta. Solo due mesi fa sono stato a Auschwitz, in Polonia. La prossima settimana sarò in Cecoslovacchia. Chieda a loro cosa ne pensano della seconda guerra mondiale. E’ utile ricordare.” […]
Ma, un attimo, quanto è importante per noi, oggi, quello che la Germania fece all’Europa dell’est durante la guerra?
Ridley ricorre a quel genere di argomenti che deve aver assimilato insieme al fumo inspirato quando era Ministro degli esteri.
“Noi abbiamo sempre mantenuto l’equilibrio delle potenze in Europa. E’ sempre stato il ruolo della Gran Bretagna quello di mantenere queste diverse potenze in equilibrio, e mai questo è stato più necessario di quanto lo sia ora con la Germania così arrogante.”
“Ma supponga che non otteniamo questo equilibrio delle potenze: l’economia della Germania governerebbe l’Europa?”
“Non so dell’economia tedesca. E’ il popolo tedesco. Stanno già governando gran parte della Comunità Europea. Intendo che i tedeschi pagano metà dei paesi della Comunità. L’Irlanda riceve il 6 per cento del suo prodotto interno lordo in questo modo. Quando mai l’Irlanda si opporrà ai tedeschi?”
La cosa strana a proposito dell’ostilità di Ridley per la Bundesbank è che se egli fosse stato Ministro del Tesoro – una carica alla quale ha ammesso di aver aspirato un tempo ma ora non più – sarebbe stato pari ai tedeschi nella loro avversione spietata nei confronti dell’inflazione. Ma, come Ridley evidenzia “non penso che sia importante.
Il punto è che quando si deve decidere “Applichiamo una stretta più forte all’economia o la lasciamo crescere un po’?” questa è essenzialmente una questione di responsabilità politica.
Il modo in cui lo propongo di solito è questo: può immaginarmi andare a Jarrow nel 1930 e dire “guardate ragazzi, ci sono le elezioni politiche che si avvicinano, io so che per metà voi siete disoccupati e che state soffrendo la fame, e che potreste sfamarvi alla trattoria in fondo alla strada. Ma non possiamo parlare di queste cose, perché sono responsabilità di Herr Pöhl e della Bundesbank. E’ un suo errore: è lui che controlla queste cose; se volete protestare, fareste meglio a rivolgervi a Herr Pöhl”?
Ci potrebbe essere più disciplina finanziaria in una Gran Bretagna governata sotto l’influenza di persone come Herr Pöhl, concorda Ridley.
Ma, egli aggiunge, guardandomi improvvisamente attraverso le lenti bifocali dei suoi occhiali, “Ci potrebbe anche essere una rivoluzione sanguinosa.
Non puoi cambiare in meglio il popolo inglese dicendogli “Herr Pöhl dice che voi non potete farlo”.
Il popolo direbbe “Tu sai cosa puoi farci con il tuo sanguinario Herr Pöhl”.
Intendo dire che non si capisce il popolo inglese se non si capisce questo punto. Il popolo può essere reso ardito, può essere mobilitato. Ma essere comandato da un tedesco – provocherebbe una rivolta generale in questo paese, e giustamente, penso.”
[…]


[FINE]


1 Margaret Thatcher

 

venerdì 5 aprile 2013

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Finanza e stabilità. I limiti del capitalismo

http://goo.gl/KgIoZ



Hyman P. Minsky

Finance and Stability. The Limits of Capitalism

Working Paper No.93. Maggio1993.
Presentato alla conferenza “The Structure of Capitalism and the Firm in Contemporary Society” tenutasi a Milano nei giorni dal 18 al 20 marzo 1993.
Pubblicazione disponibile qui .



Finanza e stabilità. I limiti del capitalismo

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]

 
Nei giorni dal 4 al 6 marzo 1993 ho partecipato a una conferenza dal titolo “Finanziare la prosperità nel XXI Secolo”, presso il Jerome Levy Institute del Bard College.
Il 4 marzo era il sessantesimo anniversario dell’insediamento di Franklin Delano Roosevelt nella carica di Presidente degli Stati Uniti e il 6 marzo era il sessantesimo anniversario della chiusura delle banche [bank holiday] negli Stati Uniti.

I problemi che Roosevelt affrontò sessanta anni fa e i problemi che il Presidente Clinton si trova a dover affrontare oggi appaiono simili. Roosevelt ereditò un capitalismo fallito e un nuovo modello di capitalismo fu stabilito durante il suo mandato (1933-1937). Il nuovo modello dell’era di Roosevelt ha servito bene gli Stati Uniti, e il mondo, per quasi mezzo secolo.

Negli ultimi dodici anni circa [pressappoco dal 1980] il modello degli anni 1933-1937 ha mostrato tutta la sua età. Sebbene non sia andato in pezzi così completamente come aveva fatto il più vecchio modello liberista [laissez-faire model] nel periodo 1929-1933, è abbastanza chiaro che il nostro attuale modello di capitalismo deve essere per lo meno profondamente revisionato, se non sostituito da uno nuovo. Che egli se ne renda conto o no, il compito storico del Presidente Clinton è quello di ideare e mettere in opera un nuovo modello di capitalismo.

La descrizione usuale della chiusura delle banche avvenuta nel 1933 è “Roosevelt chiuse le banche”. Questo non è vero. Prima del 4 marzo 1933 le banche erano già state chiuse in quasi trenta Stati dagli stessi Governatori di quegli Stati. Sabato 4 marzo, mentre si stava insediando, Roosevelt venne informato che le banche di New York non avrebbero riaperto Lunedì 6 marzo. La chiusura delle banche fu un attacco preventivo – venne imposta a Roosevelt. Questo atto trasferì la responsabilità della soluzione del problema delle banche e delle altre istituzioni finanziarie illiquide e insolventi dalla comunità finanziaria al Governo Federale. 1

La chiusura delle banche avvenne all’apice della grande depressione dell’economia statunitense iniziata nell’ottobre del 1929 e durata sino al marzo del 1933 – più di quaranta mesi di declino continuo.
Il declino non fu soltanto lungo, esso fu anche profondo. La produzione cadde di circa il 33%, i prezzi scesero di circa il 33%, e gli indici dei prezzi azionari (il Dow Jones o lo Standard and Poors) crollarono di circa l’85%. Nell’inverno 1932-1933 la disoccupazione era pari ad almeno il 25% della forza lavoro; e questo in un paese nel quale un terzo della forza lavoro era impiegata nel settore dell’agricoltura.

Sessanta anni fa il capitalismo era un sistema economico fallito negli Stati Uniti e dovunque nel mondo. 2 Oggi, come l’invito a questa conferenza nota, “l’intero mondo è capitalista”. Dobbiamo dunque affrontare le seguenti questioni:
1)       “Quali difetti hanno reso il capitalismo un sistema fallito nel 1933?”,
2)       “Quali fattori hanno trasformato un sistema fallito in uno di successo?”, e
3)      “Il capitalismo che ha fallito e il capitalismo che ha avuto successo sono lo stesso sistema economico?”.

Anche mentre celebriamo la “vittoria” del capitalismo siamo consapevoli dei problemi e delle crisi attuali di quello che una volta fu il capitalismo di grande successo del periodo post bellico. Mentre i capitalismi degli Stati Uniti e dell’Europa Occidentale sono stati davvero società di successo nel corso dei primi venticinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, i loro risultati negli ultimi quindici anni sono molto al di sotto della norma raggiunta precedentemente. Il Giappone, che sembrava essere scampato a molti dei problemi nei quali sono stati immersi gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale negli ultimi dieci anni, oggi sembra subire lo stesso destino. Aggiungiamo due domande alla nostra lista:
4)       “Quali fattori hanno attenuato il successo del capitalismo post bellico?”,
5)       “Perché gli stati sociali [welfare states] del mondo post bellico sono oggi in crisi?”.

Una delle ragioni per le quali il capitalismo ha vinto e la versione sovietica del socialismo ha perso è stata che la versione del socialismo di Lenin e Stalin consentiva per esso una sola forma, quella di un modello di comando lineare altamente centralizzato, mentre, come l’invito a questa conferenza riconosce, il capitalismo si presenta in molte forme. 3
I capitalismi che ebbero successo a partire dagli anni ’50 e sino agli anni ’70 non erano gli stessi capitalismi che avevano fallito negli anni ’30.
In generale, un sistema che possiamo caratterizzare come un capitalismo nel quale lo Stato ha un ruolo marginale, vincolato dal sistema aureo e non governato [small government gold standard constrained laissez-faire capitalism] fu sostituito da un capitalismo nel quale lo Stato ha un ruolo rilevante, flessibile grazie al contributo della banca centrale e governato attivamente [big government flexible central bank interventionist capitalism].
Come Kalecki e Jerome Levy evidenziarono, il disavanzo finanziario dello Stato [government deficit] è l’equivalente degli investimenti privati dal punto di vista del mantenimento dei profitti delle imprese.
Il capitalismo introdotto negli anni ’30 e dopo la seconda guerra mondiale, caratterizzato da un ruolo rilevante dello Stato, era, ed è tuttora, protetto da una grave caduta dei profitti aggregati, come quella che si verificò nella grande depressione degli anni 1929-1933.

La crisi che Roosevelt affrontò fu caratterizzata in modo gravissimo da tassi di disoccupazione elevati, fallimenti di imprese industriali, commerciali e agricole, e dalla distruzione virtuale del sistema finanziario.
Il governo Roosevelt, per cercare di compensare la debolezza della domanda di lavoro da parte del settore privato, fece ricorso a tutta una varietà di strumenti governativi per l’impiego, finanziati in modo inadeguato, fino alla scoperta del potere degli appalti pubblici per la produzione militare di stimolare l’occupazione anche nel settore civile.

La ricostruzione del sistema finanziario fu un compito estremamente impegnativo che richiese molta meditazione e molte trattative. Soltanto nel 1936 il nuovo sistema finanziario venne messo in opera. Il sistema finanziario introdotto nel 1936 negli Stati Uniti si basava su due principi: la suddivisione in parti chiaramente distinte e la trasparenza [compartmentalization and transparency].
Il sistema finanziario fu ricostruito con istituzioni finanziarie specializzate in campi di attività definiti come l’edilizia, l’agricoltura, il commercio con l’estero, con la separazione tra le banche commerciali e le banche di investimento e con l’assicurazione dei depositi.
Una banca di investimento governativa, la Reconstruction Finance Corporation, iniettò capitali pubblici in imprese nei settori dei trasporti, industriale e finanziario, attraverso l’acquisizione di azioni privilegiate di nuova emissione. 4
Le attività delle imprese le cui azioni venivano acquistate e vendute dal settore pubblico, e i mercati sui quali si compravano e vendevano le azioni, furono resi trasparenti.
Inoltre la Federal Riserve fu riorganizzata in un modo abbastanza radicale.

Le istituzioni finanziarie dell’era successiva al 1936 differivano profondamente da quelle che erano andate in pezzi nel periodo tra il 1929 e il 1933.
Tuttavia, questo sistema, una volta introdotto, incominciò ad evolvere rispondendo agli sforzi compiuti dalle varie istituzioni per massimizzare i profitti: ogni sistema istituzionale che stabilisce dei limiti al comportamento degli agenti economici provoca delle azioni che mirano a evadere o a eludere i limiti imposti.
Inoltre i cambiamenti tecnologici hanno effetti estremamente differenziati sui diversi attori del sistema finanziario.
Quindi, anche se il sistema introdotto da Rooseevelt rimase in piedi, le caratteristiche delle attività e delle istituzioni finanziarie si modificarono. In particolare, le famiglie, le imprese, il governo e anche le istituzioni finanziarie appresero il modo in cui il sistema funzionava e adattarono il proprio comportamento in modo tale da sfruttare nel modo migliore il cambiamento del sistema finanziario.
Questi cambiamenti condussero a un maggior uso dell’indebitamento rispetto all’autofinanziamento e anche al ricorso al debito per l’acquisizione di attività esistenti.
Pertanto il sistema finanziario, una volta robusto, divenne sempre più fragile. Dato che la fragilità implica che ci possano essere grandi risposte a stimoli piccoli, una struttura fragile è una struttura instabile.

Mentre non si presentarono minacce di una crisi finanziaria nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1968, le ripercussioni sul mercato delle cambiali [commercial paper market] dell’inadempienza della Penn Central Railroad sulle sue obbligazioni, ricordò bruscamente all’altrimenti compiaciuto Consiglio dei Governatori della Federal Reserve il fatto che esso aveva la responsabilità di mantenere la stabilità del sistema finanziario.
Dal 1968 in poi la Federal Reserve è stato spesso costretta ad intervenire per neutralizzare quelle che le apparvero come delle incipienti crisi finanziarie.

I capitalismi che fallirono e i capitalismi che ebbero successo differivano per dettagli che risultarono determinanti per i loro esiti.
I capitalismi degli anni ’50 e ’60, caratterizzati da un ruolo rilevante dello Stato, ebbero successo nel moderare i cicli economici perché il ruolo rilevante svolto dallo Stato fu capace di sostenere i profitti delle imprese quando gli investimenti privati diminuivano.
Un risultato significativo del sostenimento dei profitti fu che l’assenza di lunghe recessioni rafforzò i sindacati dei lavoratori. La presenza di sindacati dei lavoratori forti, l’assenza di periodi di disoccupazione grave, e la legislazione sociale che caratterizzarono questa era condussero a tutti quei miglioramenti che si ebbero nella distribuzione del reddito a favore della base della società.

Il Presidente Kennedy colse la qualità caratteristica dell’esperienza di questi anni in un aforisma: “una marea che si alza solleva tutte le barche”. Questo aforisma fu convalidato dall’esperienza degli anni ’50 e ’60, così come venne negato dall’esperienza degli anni ’80, quando tutti quelli alla base della società videro peggiorare o rimanere stagnanti le loro condizioni anche se il reddito aggregato probabilmente aumentò. Appare chiaro che i capitalismi possono funzionare in diversi modi e che i sistemi di preferenza e le condizioni tecniche della produzione non conducono a una “legge della distribuzione”.

Se i capitalismi avranno successo nel XXI Secolo è probabile che essi saranno abbastanza differenti dai modelli che ci sono familiari.
Ora che il nuovo modello di capitalismo di Roosevelt ha dimostrato che l’aforisma di Kennedy può essere vero, gli obiettivi che una economia di successo deve raggiungere includono una distribuzione dei frutti della prosperità più ampia di quella che è stata raggiunta, in un lunghissimo arco di tempo, dal vecchio modello di capitalismo.
Reagan e Thatcher hanno tentato di rovesciare il capitalismo che avevano ereditato, nel quale lo Stato ha un ruolo rilevante e l’economia è governata attivamente [big government interventionist capitalism].
I cambiamenti più sostanziali introdotti nell’economia degli Stati Uniti negli anni di Reagan furono: 1) la distruzione del sistema della riscossione delle imposte [revenue system], 2) l’emergere di una economia strutturalmente dipendente dal finanziamento in deficit da parte del Governo di un bilancio principalmente indirizzato verso la spesa militare e il sostegno dei consumi, 3) la caduta dei salari reali di una larga parte della forza lavoro, e 4) una marea crescente di lavoratori disoccupati e sottooccupati.

Dopo un periodo di falsa prosperità, largamente basata su 1) un disavanzo finanziario improduttivo del governo, 2) una enorme espansione del settore dei servizi finanziari, e 3) schemi di finanziamento alla Ponzi che lasciarono il paese con un eccesso di offerta di edifici per uffici e imprese altamente indebitate, gli anni di Reagan e Bush videro l’economia degli Stati Uniti ristagnare.
Inoltre, per l’uso che ne fece il governo, la spesa pubblica fu ancora più inefficiente nel creare risorse, rispetto al periodo precedente a quando Reagan e Bush entrarono in carica, perché la grande espansione del deficit del governo lasciò il bilanciò con una enorme voce “interessi sul debito”.

L’esperienza del periodo di Reagan e Bush è un secondo fallimento del modello liberista. Essa ha dimostrato che il modello liberista non può raggiungere i risultati normali stabiliti negli anni ’50 e ’60, nell’era nella quale il capitalismo raggiunse la sua migliore pratica.
Clinton, con la sua ancora nuova amministrazione, sta procedendo a tentoni verso l’invenzione di un “nuovo” nuovo capitalismo. Questo nuovo modello accetta il principio fondamentale del capitalismo di Roosevelt, cioè che un capitalismo efficace richiede un ampio settore pubblico, ma sposta la spesa pubblica dal finanziamento della difesa e dei consumi al finanziamento della creazione di risorse e della prestazione efficiente di quei servizi per i quali non è efficace, per il ripagamento dei costi, un meccanismo che preveda la remunerazione del servizio sulla base del suo utilizzo.
Questo conduce a un’altra domanda:
6)      “Possiamo riconoscere i tratti fondamentali di un nuovo capitalismo che potrebbe svilupparsi negli Stati Uniti”?

Ho sollevato sei questioni abbastanza sovrapposte. Ne ho affrontate alcune nella mia esposizione dei problemi. Non ho affrontato le questioni di quali difetti resero il capitalismo un fallimento nel 1933 e del se questi difetti sono il risultato di caratteristiche essenziali del capitalismo. Affronterò anche la questione di quali fattori trasformarono un sistema fallito in un sistema di successo, almeno transitoriamente.

Un difetto impressionante del capitalismo – che venne identificato da Marx e da Keynes – è la sua incapacità di mantenere una condizione vicina al pieno impiego per periodi di tempo prolungati.
Keynes riconobbe che il capitalismo non è semplicemente una economia di mercato: il capitalismo è anche un sistema finanziario.
Un aspetto fondamentale del capitalismo dei tempi di Keynes e dei nostri tempi è che ci sono due insiemi di prezzi.
Un insieme consiste dei prezzi della produzione corrente e l’altro insieme consiste dei prezzi delle attività, sia dei beni capitali [capital assets - edifici, impianti, macchine utensili, etc.] impiegati dalle imprese nella produzione che degli strumenti finanziari che le imprese emettono per poter disporre del capitale fisso e del capitale circolante dei quali hanno necessità. 5
I prezzi della produzione corrente determinano i profitti ed è questo il meccanismo con il quale sono coperti i costi di produzione. In astratto questi prezzi sono strettamente legati ai salari nominali. I prezzi dei beni capitali e degli strumenti finanziari invece sono i prezzi attuali di flussi futuri di redditi. Dato che questi due insiemi di prezzi riflettono quello che avviene in due differenti insiemi di mercati essi varieranno in modo indipendente l’uno dall’altro.

Gli strumenti finanziari emessi dalle imprese sono posseduti dalle famiglie e da istituzioni finanziarie come le banche. 6
Da quando la società per azioni [corporation] è divenuta la forma dominante di organizzazione di impresa, le passività delle imprese includono le azioni oltre a varie forme di debiti. Le azioni e alcuni dei debiti di alcune società sono liberamente scambiate su mercati pubblici: il valore di mercato di questi strumenti dipende da informazioni che sono disponibili al pubblico.
In linea di principio il secondo livello dei prezzi delle economie capitaliste è un indice dei prezzi di mercato dei beni capitali esistenti ma in pratica è un indice dei prezzi di mercato delle azioni e dei debiti. Lo sviluppo delle società holding, tipiche del capitalismo delle società per azioni [corporate capitalism] indica che intere linee di attività economica sono vendute e acquistate.
Il modello del secondo livello dei prezzi deve incorporare il modo in cui questi componenti sono valutati.

Le riforme del sistema finanziario durante l’era Roosevelt resero la trasparenza il principio predominante, che guidava la diffusione delle informazioni disponibili sulle attività delle società per azioni e sui mercati dove le azioni venivano scambiate.
Gli altri debiti delle società per azioni non dipendono da informazioni disponibili al pubblico ma piuttosto da trattative e scoperte: questi debiti sono quelli nei confronti delle banche e quelli collocati privatamente presso altre istituzioni finanziarie. Debiti di questo tipo, che non possono essere scambiati sul mercato, possono essere distribuiti tra le istituzioni, come le banche, che sono esperte nell’impiego delle informazioni riservate.

Grazie alle riforme del mercato dei titoli dell’era Roosevelt, la legge si portò in pari con la natura del capitalismo moderno, che è un capitalismo di società per azioni [corporate capitalism].

Durante i più di 40 mesi della grande depressione, il livello dei prezzi della produzione corrente scese del 33% mentre il livello dei prezzi delle azioni sul mercato azionario cadde dell’85%.
Nel 1933 acquistare dei beni capitali di nuova produzione sarebbe costato il 67% di quanto costava nel 1929 ma acquistare una impresa sul mercato azionario sarebbe costato solo il 15% del prezzo del 1929.
Rapporti simili si ebbero per gli edifici commerciali come i grattacieli per uffici.
Se il rapporto tra i prezzi dei vecchi e dei nuovi beni capitali era maggiore di 1 a 1 prima del 1929 [cioè acquistare beni capitali di nuova produzione costava meno che acquistare una impresa che possedesse gli stessi beni capitali, o gli stessi beni capitali ma di seconda mano], nel 1933 il rapporto tra il prezzo dei vecchi e quello dei nuovi beni capitali era di 1 a 4.
Nel 1933 nessuno avrebbe ordinato la realizzazione di un nuovo investimento quando il mercato di seconda mano degli investimenti, il mercato dei beni capitali, era pieno di affari.

Nella teoria economica standard i prezzi sono i termini sulla base dei quali i beni e i servizi alternativi sono disponibili. Sulla base della teoria, per come è costruita, solo i prezzi relativi sono importanti.
Tuttavia in una economia capitalista i prezzi di vendita della produzione devono consentire ai produttori di coprire i costi del lavoro e dei materiali e di conseguire dei profitti. I profitti consentono alle imprese di pagare gli interessi sui prestiti contratti e di rimborsarli, e di disporre dei fondi necessari per la distribuzione dei dividendi e per l’autofinanziamento.
Poiché i debiti sono quasi sempre denominati in moneta, per i produttori sono importanti i prezzi nominali.
Nei mercati sui quali le attività, finanziarie e reali, sono scambiate i prezzi sono i prezzi monetari attuali dei futuri flussi monetari. Il valore di mercato di una impresa è la capitalizzazione dei suoi profitti nominali e perciò è espresso in termini nominali.
In una economia capitalista che progredisce gli investimenti sono una parte della produzione corrente. Quando gli investimenti sono completati essi entrano a far parte dello stock dei beni capitali: l’impresa che investe paga l’impresa che ha realizzato l’investimento per il bene capitale prodotto. Questo pagamento è compiuto con fondi propri (i profitti non distribuiti), con fondi raccolti con l’emissione di azioni e con fondi raccolti attraverso l’indebitamento, sia prendendo in prestito dalle banche che vendendo obbligazioni.
Nel momento in cui viene acquistato, il valore di un determinato investimento realizzato cambia passando dall’essere determinato dal suo prezzo di vendita all’essere determinato dal valore attuale dei redditi futuri che il suo impiego nell’attività o comunque il suo utilizzo ci si aspetta che possa generare. 7

Nessuno impiegherebbe le risorse attuali per produrre nuovi beni da aggiungere allo stock esistente dei beni capitali se il valore attuale dei beni capitali, come è determinato dai mercati che trasformano i futuri profitti attesi delle imprese nel valore di mercato delle passività, capitale proprio e di debito, delle imprese stesse non fosse pari o maggiore del prezzo che le aziende che producono questi beni capitali devono praticare per coprire i costi della produzione e per guadagnare quei profitti che gli consentano di essere imprese sostenibili.

In una moderna e ricca economia capitalista le società per azioni sono le proprietarie immediate e le vere operatrici dello stock dei beni capitali dell’economia nei settori diversi da quello delle famiglie e dell’agricoltura, e sono le principali acquirenti dei beni capitali: le società per azioni sono anche le principali percettrici immediate dei redditi da capitale o profitti lordi.

Una economia capitalista può essere vista come un insieme di stati patrimoniali e di conti economici strettamente connessi  [a capitalist economy can be viewed as set of interrelated balance sheets and income statements]. Ci sono due estremi in questa formalizzazione: le imprese, che possiedono lo stock dei beni capitali dell’economia, e le famiglie, che possiedono le passività degli altri attori economici come attività.
Le istituzioni finanziarie stanno tra le imprese e le famiglie.
Oggi le passività (capitale di rischio e di debito) delle imprese sono possedute in modo ampio dagli intermediari finanziari di un tipo o di un altro e le attività delle famiglie sono ampiamente le passività degli intermediari finanziari.

Questi intermediari finanziari – banche, istituzioni che raccolgono il risparmio, compagnie di assicurazione, fondi comuni e fondi pensione, per nominare gli intermediari finanziari più rilevanti – sono istituzioni che mirano alla massimizzazione del profitto. In una moderna economia capitalista il comportamento massimizzante non è ristretto alle famiglie e alle imprese che possiedono i beni capitali, perché l’intera schiera degli intermediari finanziari opera con l’obiettivo di conseguire dei profitti. Ogni intermediario finanziario rivolto al conseguimento di profitti ha una sua propria agenda: non sono istituzioni di carità.

Di queste istituzioni finanziarie che operano con l’obiettivo di ottenere dei profitti, ciascuna con la propria agenda, un gruppo gioca un ruolo eccezionalmente delicato nelle economie capitaliste. Questo gruppo consiste dei banchieri di investimento o merchant banker che sia come broker – coloro che fanno incontrare venditori ed acquirenti – sia come dealer – coloro che acquistano passività finanziarie per proprio conto – agiscono come levatrici per la nascita delle società per azioni e per il finanziamento della continuazione della loro attività.

Essenzialmente, questi operatori possiedono una superiore conoscenza dei loro clienti che hanno necessità di finanziamenti (hanno necessità di fondi) e dei loro clienti che hanno necessità di impieghi per il loro denaro. Questi operatori utilizzano questa loro conoscenza personale delle condizioni alle quali i fondi sono domandati e delle condizioni alle quali i fondi sono offerti piegandola a proprio vantaggio, anche quando essi svolgono la funzione sociale di selezionare gli investimenti che l’economia compie.

Questi intermediari finanziari sono di una importanza critica nel determinare i valori attribuiti ai beni capitali posseduti dalle imprese. In un bilancio, la differenza tra la somma dei valori inseriti per le attività finanziarie e per i beni capitali dal lato delle attività e il valore dei debiti dal lato delle passività è il valore di libro dei diritti dei proprietari nella impresa. Dividendo il valore di libro del capitale dei proprietari per il numero delle azioni emesse si ottiene il valore di libro di una azione.
Tuttavia in una grande economia c’è un mercato ristretto per le azioni delle principali società e il valore di questo mercato può essere minore, uguale o maggiore del loro valore di libro.
Una considerazione principale nelle decisioni di investimento è che la valutazione che il mercato dà dei beni capitali deve essere maggiore del prezzo al quale questi stessi beni capitali ma di nuova produzione possono essere acquistati, con un margine di sicurezza che consenta l’assunzione del rischio del progetto.

Una conseguenza dell’introduzione di questi strati di organizzazioni rivolte al conseguimento di profitti nei mercati che determinano il valore degli strumenti finanziari è che il valore degli strumenti finanziari, e perciò il valore attribuito ai beni capitali, può variare, e varia, indipendentemente dal prezzo di acquisto dei beni capitali di nuova produzione.
Inoltre la disponibilità di fondi propri per il finanziamento degli investimenti [cioè per l’acquisizione di nuovi beni capitali] dipende dall’eccesso dei flussi finanziari provenienti dall’attività sull’ammontare dei flussi finanziari necessari per il servizio delle passività emesse in passato per il finanziamento di simili acquisizioni di beni capitali.

Poiché la capitalizzazione dipende dall’attuale visione del futuro e dal valore delle attività sicure possedute, il rapporto tra il prezzo di mercato del capitale delle imprese e il prezzo di mercato dell’acquisizione ex-novo dei beni capitali può variare.
Proprio la strutturazione dell’argomentazione nei termini di una domanda per la produzione dei beni capitali che dipende da un lato dalla capitalizzazione dei profitti futuri e dall’altro dalla determinazione dei prezzi di offerta dei beni capitali sulla base dei costi del lavoro necessario per produrli assicura che le relazioni tra offerta e domanda non sarebberp, per dirlo con il gergo degli economisti, omogenee di grado zero né rispetto alla moneta né rispetto al salario nominale. Il risultato non sarebbe neppure indipendente da quanto le posizioni di potere di mercato sono capitalizzate nel livello dei prezzi dei beni capitali.

Così: 1) la tecnica capitalista di valutazione della produzione e di valutazione dei beni capitali, 2) la determinazione di mercato delle strutture delle passività, e 3) la possibilità di notevoli incrementi e decrementi del prezzo di mercato dei beni capitali e degli strumenti finanziari conducono a un sistematico incremento e decremento dei prezzi delle attività in relazione al livello dei prezzi della produzione corrente. Questo influenza l’ammontare degli investimenti finanziati, che a sua volta influenza il flusso dei profitti correnti. 8

Una volta che i profitti correnti siano caduti abbastanza, o che il costo del servizio dei debiti sia aumentato abbastanza, così che i flussi di cassa derivanti dall’attività svolta, o dalle attività finanziarie per le istituzioni fortemente indebitate, siano insufficienti per affrontare gli impegni sulle passività allora la pressione della necessità di confermare la capacità di far fronte ai debiti (e di far fronte al ritiro dei fondi da parte delle istituzioni che li hanno avuti in deposito) conduce a una proliferazione dei tentativi di consolidare le posizioni vendendo posizioni.
Il risultato può essere un drastico crollo dei valori delle attività.
C’è la possibilità di una spirale discendente nella quale gli investimenti cessano e i profitti evaporano: il risultato finale del sovraindebitamento può essere una depressione economica grave o gravissima.
Sebbene l’ovvio difetto del capitalismo consista nella sua incapacità di mantenere un livello di occupazione vicino al pieno impiego, il suo difetto più profondo consiste nel modo con il quale il sistema finanziario agisce sui prezzi e sulla domanda dei prodotti e delle attività, così che periodicamente i debiti e il servizio dei debiti aumentano in rapporto ai redditi, in modo tale che le condizioni che conducono alle crisi finanziarie sono generate all’interno del sistema.
Queste crisi, se non sono contenute combinando gli interventi della banca centrale, che agendo come prestatore di ultima istanza [lender of last resort] sostiene i prezzi delle attività, con quelli dello Stato, che con il suo disavanzo finanziario sostiene i profitti delle imprese, conducono dapprima a un collasso degli investimenti e poi a una depressione di lunga durata accompagnata da un elevato livello di disoccupazione [mass unemployment]. 9
Questo difetto finanziario non può essere eliminato dal capitalismo di mercato basato sulle società per azioni [corporate form of market capitalism], nel quale esistono delle passività che costituiscono degli impegni predeterminati dei flussi dei profitti nominali lordi delle società per azioni.
Riforme che limitavano la possibilità di contrarre eccessivi debiti per determinati scopi furono parte del nuovo modello di capitalismo degli anni ’30.
Molti aspetti di queste limitazioni furono attenuati negli anni ’80, in particolare vennero attenuati vincoli di importanza cruciale sulle attività che le Savings and Loan Associations potevano includere nei loro portafogli.
Il risultato fu una serie di crisi delle istituzioni finanziarie e un crescente indebitamento delle società per azioni. Una grave depressione non si verificò nei primi anni ’90 perché il Governo garantì il rimborso dei debiti delle istituzioni finanziarie che divennero insolventi e l’enorme deficit dello Stato sostenne i profitti delle imprese. 10

Il nuovo modello di capitalismo che emerse dalla grande depressione e dalla seconda guerra mondiale aveva un settore pubblico molto più ampio di quello proprio del modello fallito degli anni ’20.
Le banche centrali non erano più vincolate dal sistema aureo: ora ci si aspettava che utilizzassero le loro capacità di influenzare il comportamento delle banche per sostenere il reddito e l’occupazione e per contenere un eventuale spinta verso una accelerazione dell’inflazione o una profonda deflazione.
La possibilità per un paese di far fluttuare la sua valuta fu molto maggiore e venne riconosciuta la responsabilità dei governi e anche della cooperazione internazionale per il mantenimento della domanda aggregata.

Per gran parte del periodo nel quale il nuovo modello interventista funzionò bene, il sistema internazionale fu governato unicamente dall’impegno degli Stati Uniti nel mantenere la loro economia nazionale a un livello abbastanza vicino al pieno impiego e dalla volontà degli Stati Uniti di mantenere un deficit commerciale.

Il capitalismo fallì nel 1929 a causa del difetto insito nella natura del capitalismo, che è caratterizzata da un sistema dei prezzi duale.
Il capitalismo fu ricostruito negli anni ’30 e dopo la seconda guerra mondiale con un settore pubblico molto più ampio, che negli Stati Uniti si dedicò principalmente al sostegno dei consumi e della spesa militare.
Tuttavia gli investimenti del settore privato rimasero la maggiore determinante dell’incremento della capacità produttiva e il valore degli investimenti privati si poté ancora basare sul fatto che il livello dei prezzi dei beni capitali [sul mercato delle attività] rimase maggiore del livello dei prezzi di vendita dei beni capitali [sul mercato della produzione corrente].
Rimase il difetto per il quale il sovraindebitamento può condurre a un drastico declino nella capacità di garantire il rimborso dei debiti e perciò a un drastico crollo del valore dei beni capitali posseduti dalle imprese.

La storia recente degli Stati Uniti è la storia di una spinta verso una deflazione da debiti [debt deflation] che venne contenuta combinando gli interventi della banca centrale con i massicci disavanzi finanziari dello Stato.
La depressione contenuta dei primi anni ’90 alla fine condusse a un drastica diminuzione dei tassi di interesse a breve termine che, con un ritardo, fu seguita da una caduta dei tassi di interesse a più lungo termine. 11
Questa riduzione dei tassi di interesse condusse a un aumento del valore attuale dei flussi di reddito: i valori delle attività aumentarono e come risultato la turbolenza dei mercati finanziari degli Stati Uniti venne ridotta.

Il capitalismo che fallì nel periodo 1929-1933 era un sistema caratterizzato da un ridotto settore pubblico, da una banca centrale vincolata e da una economia sostanzialmente non governata [laissez-faire economy].
Il capitalismo che diede buona prova di sé dopo la seconda guerra mondiale era caratterizzato da un ampio settore pubblico e da una economia governata attivamente [interventionist economy] con banche centrali meno vincolate che nel periodo tra le due guerre mondiali.

Il modello di capitalismo successivo alla seconda guerra mondiale ebbe così successo nei primi venti anni e più dopo la fine della guerra che alcuni hanno incominciato a chiamare quel periodo la Età dorata [Golden Age].
Se a dire il vero non fu una utopica Età dorata, e ciascuno di noi può criticare dei dettagli dell’economia degli anni ’50 e ’60, essa può però benissimo essere assunta come la pratica migliore [practical best].
Su di una scala assoluta i più recenti venti anni e più dopo la fine della seconda guerra mondiale non furono pessimi, ma soffrono nel confronto. Tuttavia un chiaro percorso di deterioramento è visibile nel corso di questi anni, in parte a causa di politiche come quelle esemplificate da Reagan e Thatcher, in parte a causa del modo in cui un successo prolungato conduce ad una accettazione degli impegni a pagare [cioè a una più facile contrazione dei debiti] che erode i margini di sicurezza che rendono resistenti [resilient] le imprese e il sistema finanziario in un sistema capitalista.
L’episodio dei titoli spazzatura [junk bond]  e gli eccessi nella costruzione di edifici commerciali sono incorporati [built into] nel modo in cui gli uomini d’affari e i banchieri interagiscono in una economia capitalista.
Solo le economie capitaliste nelle quali le istituzioni di sorveglianza hanno poteri di controllo più stringenti e più sofisticati di quelli di cui dispongono le istituzioni corrispondenti negli Stati Uniti possono impedire quegli eccessi finanziari che portano le economie finanziariamente complesse sull’orlo del collasso.

“Perché gli stati sociali delle economie capitaliste successive alla seconda guerra mondiale sono oggi in crisi?” è la quinta domanda.
Posso rispondere per gli Stati Uniti. Il sistema della Social Security, che è la base dello stato sociale negli Stati Uniti, non è mai stato aggiornato per tenere conto dell’enorme incremento dell’aspettativa di vita avvenuto negli ultimi sessanta anni. Se l’aspettativa di vita oggi fosse la stessa che era sessanta anni fa non ci sarebbe alcuna crisi della parte dello stato sociale degli Stati Uniti relativa alla sicurezza sociale.
La soluzione di questo problema è abbastanza semplice: incrementare l’età alla quale le persone vanno in pensione. Tuttavia questo incrementerebbe la forza lavoro. Quindi c’è la necessità di incrementare il numero dei posti di lavoro disponibili.
Un altro problema dello stato sociale negli Stati Uniti ha a che fare con quello che è chiamato “welfare” negli Stati Uniti.
Questo sistema, Aid to Families with Dependent Children (AFDC, Aiuto alle famiglie con bambini a carico), fornisce aiuti in denaro e in natura (sussidi per le cure mediche, l’abitazione e l’alimentazione) alle famiglie con bambini, se il reddito derivante dal lavoro o dal patrimonio non è sufficiente per mantenere i bambini.
In pratica una significativa parte della popolazione che beneficia del “welfare” sembra intrappolata in una condizione di dipendenza: donne che esse stesse erano figlie illegittime e beneficiarie del programma di assistenza da bambine, hanno figli assistiti dallo stesso programma. Questo problema del “welfare” è sempre più considerato come un disastro dal punto di vista del benessere dei destinatari del programma. Tuttavia l’alternativa a questo programma è un lavoro per la madre e il prendersi cura dei bambini per i figli.
La riforma del “welfare” conduce a un problema simile a quello al quale conduce la riforma della Social Security. L’entrata tra le forze di lavoro delle persone che oggi sono pensionate o che godono di un programma di assistenza provoca l’aumento della domanda di posti di lavoro.
I problemi dello stato sociale negli Stati Uniti derivano dall’incapacità di raggiungere e mantenere nel tempo uno stretto pieno impiego senza innescare l’inflazione.
Oggi viviamo in un mondo nel quale meno del 3% della forza lavoro degli Stati Uniti è impegnata nel settore dell’agricoltura e nel quale una percentuale sempre decrescente dei lavoratori può produrre tutti quei beni industriali standard che l’economia domanda.
C’è la necessità di sostenere più lavoratori nella produzione di beni e servizi utili dal punto di vista sociale, di prodotti diversi dai quelli industriali e per il quali i costi di produzione possono non essere recuperabili con un eventuale contributo erogato in cambio dei servizi resi sulla base di un accordo.
Negli Stati Uniti la spesa militare sia per le armi che per il personale ha impiegato lavoratori i cui costi non sono stati coperti con un accordo che prevedesse un contributo in cambio dei servizi resi: i fondi necessari per queste spese sono stati raccolti con le imposte e con l’indebitamento dello Stato.
C’è la necessità di sostituite l’uso delle risorse disponibili a fini militari con altre modalità di impiego che per il loro finanziamento non dipendano da contributi dati in cambio del servizio reso.
C’è un aspetto della crisi dello stato sociale negli Stati Uniti che ha una natura diversa rispetto alla crisi degli stati sociali in Europa.
Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti introdussero un sistema di “assicurazione” sanitaria legato al posto di lavoro e un sistema di integrazione della Social Security legato al posto di lavoro nella forma di pensioni che erano passività per le società per azioni.
Le società per azioni si assunsero anche la responsabilità per le cure mediche a favore dei loro dipendenti andati in pensione. Questi sistemi pensionistici integrativi non furono finanziati fino agli anni ’70 e ancora oggi molti sono solo parzialmente finanziati.
Queste pensioni tipicamente maturavano dopo pochi anni di servizio e fino a poco tempo fa non potevano essere conservate nel caso di un nuovo lavoro.
Negli ultimi anni un grande numero delle maggiori società per azioni degli Stati Uniti sono andate incontro a gravi difficoltà finanziarie. Alcune hanno dichiarato bancarotta ed altre hanno ridotto drammaticamente la loro attività. Le imprese hanno adottato misure drastiche per ridurre non solo i loro lavoratori diretti  ma anche i loro lavoratori indiretti. La sicurezza dell’impiego non è mai stata negli Stati Uniti così grande come nel sistema giapponese, ma certamente era molto maggiore in passato di quanto è oggi.
La nuovamente rivelata vulnerabilità delle società per azioni significa che i sistemi pensionistici e sanitari privati del periodo successivo alla guerra non sono più praticabili. L’amministrazione Clinton sta affrontando i problemi del nostro sistema sanitario. Sinora non sono stati affrontati in modo serio i problemi dei sistemi pensionistici privati che integrano la Social Security. 

L’amministrazione Clinton costituisce un ripudio delle politiche economiche e sociali degli anni di Reagan e Bush. Essa accetta che alcune funzioni del governo che sono eredità del passato debbano essere ridotte, se non eliminate. C’è anche il riconoscimento del fatto che programmi come il “welfare”, la Social Security e il servizio sanitario richiedono una riformulazione.
Un grande problema tuttora non affrontato è quello di decidere come gli Stati Uniti amministreranno la politica industriale che sinora è stata condotta per mezzo del bilancio della spesa militare.

Gli Stati Uniti hanno ancora una risorsa unica nella ampia e profonda distribuzione delle università che si dedicano alla ricerca. Molte di queste università statali hanno un forte interesse nella ricerca applicata, normalmente in campi strettamente connessi con l’economia dello stato. Il rafforzamento della capacità di creare e di innovare di queste università e la trasformazione dell’attività di sviluppo di nuove armi compiuta dal ministero della difesa in una agenzia civile che si dedichi a progetti avanzati sono le frontiere che la amministrazione Clinton dovrà presidiare mentre precisa sempre di più quale politica industriale intende perseguire.

E’ probabile che il risultato finale della amministrazione Clinton sarà un nuovo modello di capitalismo, definito a partire dal modello che venne costruito negli anni ’30 e ’40. Questo nuovo modello non ripudierà né tenterà di smantellare il vecchio modello, l’obiettivo che si era invece posto Reagan. Questo nuovo modello di capitalismo riconoscerà esplicitamente che il raggiungimento di una economia caratterizzata dal pieno impiego dovrà avvenire attraverso organizzazioni che non sono le tipiche società per azioni né le amministrazioni pubbliche come le abbiamo conosciute negli Stati Uniti.
Inizialmente le società per azioni erano organizzazioni private autorizzate da una legge speciale a svolgere una funzione pubblica. Possiamo aspettarci che il nuovo modello di capitalismo creerà società che impiegheranno sia fondi privati che pubblici per realizzare programmi che abbiano uno scopo sociale. Possiamo vedere accenni di questo nelle idee che circolano a proposito del sistema sanitario, dello sviluppo tecnologico e delle banche per il progresso delle comunità. Non è un problema di individuare i vincenti in un qualche tipo di competizione tecnologica ma piuttosto si tratta di definire quell’insieme di bisogni che possono essere soddisfatti con le tecnologie esistenti ma che richiedono delle organizzazioni speciali  che impiegando queste tecnologie possano soddisfarli.

Ci potranno benissimo essere delle sperimentazioni nel campo dell’imposizione fiscale. L’imposta progressiva sul reddito è stata compromessa da Reagan. L’argomento che il reddito non deve essere assoggettato a imposizione fiscale ma che piuttosto il consumo è una più equa base per l’imposizione fiscale sta conseguendo un certo successo.
C’è da dubitare tuttavia che sussista il coraggio politico per riconoscere che la logica dell’imposta sul consumo richiede che il valore di mercato della locazione delle abitazioni occupate dai proprietari deve entrare a far parte della base imponibile.
Comunque un sistema di imposizione fiscale basato sui consumi per essere completo e logico dovrebbe nello stesso tempo reintrodurre una significativa progressività e eliminare la confusione relativa ai programmi pensionistici.
Come è stato accennato precedentemente, le pensioni sono un problema politico a causa del sistema statunitense caratterizzato da un sistema di sicurezza sociale statale integrato da piani pensionistici privati, che sono sostenuti dal settore pubblico attraverso il modo con il quale sono determinati i redditi imponibili delle società e delle famiglie.

L’amministrazione Clinton sta cercando, attraverso una serie di esperimenti, di scoprire il profilo di un nuovo modello di capitalismo: io non ritengo che si tratti di un tentativo cosciente, al momento. Ma man mano che uno dei tanti bisogni non soddisfatti conduce a un altro, emergerà un nuovo modello che sarà una collaborazione tra le istituzioni pubbliche e quelle private nello sviluppo delle risorse più esplicita di qualunque altra abbiamo avuto sinora negli Stati Uniti


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Note:
1 La House of Morgan svolse un ruolo centrale nella risoluzione della crisi del 1907. Il Governo, attraverso la Reconstruction Finance Corporation, sostenne il ruolo centrale nella risoluzione della crisi del 1933.
2 Dobbiamo ricordare che Hitler divenne Cancelliere il 20 gennaio 1933. Sebbene Roosevelt fosse stato eletto nel novembre del 1932, Hoover rimase in carica fino al mezzogiorno del 4 marzo 1933.
3 Un tempo lo slogan della ditta di sottoaceti e ketchup Heinz era “57 varietà”. Quando negli Stati Uniti voglio evidenziare le varietà del capitalismo spesso dico che ci sono tante varietà di capitalismo quante le sono le varietà di sottoaceti della ditta Heinz”.
4 Il conferimento di capitale pubblico avvenne con l’acquisto da parte del RFC di speciali azioni privilegiate emesse dalle società. Il RFC non esitò a esercitare il suo potere e a rimuovere gli amministratori che giudicò inadatti. Man mano che la ripresa prese piede, e le banche, le ferrovie e le imprese ordinarie che erano state rifinanziate dal RFC conseguirono dei profitti, esse acquistarono o ritirarono le azioni privilegiate emesse. Si veda Jessie Jones “50 Billion Dollars”.
5 Si vedano Hyman P. Minsky, “John Maynard Keynes”, Columbia University Press, 1975, e “Stabilizing an Unstable Economy” Yale University Press, 1986.
6 In una moderna economia, i debiti delle famiglie e dello Stato esistono e sono posseduti dalle istituzioni finanziarie e direttamente dalle famiglie. Queste altre passività complicano i flussi di cassa e creano circuiti che possono sia smorzare che amplificare l’effetto della struttura dei debiti sull’andamento dell’economia.
7 C’è normalmente un guadagno in conto capitale in questo spostamento della valutazione delle attività dal prezzo di acquisto dei beni di investimento al valore attuale dei guadagni futuri.
8 La relazione tra il livello dei prezzi dei beni capitali e il livello dei prezzi della produzione corrente, insieme ad altri fattori, determina il volume della domanda aggregata e la domanda eccessiva o insufficiente di forza lavoro ai salari correnti. La domanda di forza lavoro eccessiva o insufficiente condizionerà l’andamento dei salari e così il livello dei prezzi della produzione degli investimenti.
9 Da questo punto di vista l’intervento da parte di una autorità che assicuri i depositi per garantire che i depositi effettuati presso “istituzioni protette” siano rimborsati senza perdite è un compito della Banca Centrale.
10 Questa garanzia del rimborso dei debiti è stata chiamata salvataggio [bail out].
11 S. Jay and David Levy “How to Restore Long-Term Prosperity in the United States and Overcome the Contained Depression of the 1990’s”, The Jerome Levy Economics Institute, Annandale-on-Hudson, New York 12504



[FINE]



Il titolo di questo saggio di Minsky avrebbe dovuto probabilmente essere "Finanza e instabilità. I limiti del capitalismo" così come il titolo di uno dei suoi più importanti libri è "Stabilizzare una economia instabile". :-)