Petrus J. Verdoorn
Fattori che regolano la produttività del lavoro
L’industria, Numero
1, 1949, pp.45-53.
Fattori che regolano la produttività del lavoro
[
A cura di Giorgio D.M. * ]
L’autore di questo
articolo, nato in Olanda nel 1911, ha studiato economia all’Università di
Amsterdam e ha preso il titolo dottorale alla Scuola di Economia di Rotterdam.
Egli fa parte stabilmente dell’Ufficio Centrale di pianificazione dell’Olanda
diretto dal prof. Tinbergen. [...]
1.
Una delle difficoltà nell’elaborare i
piani a lungo termine è la stima del futuro livello della produttività del
lavoro. Finché non si conosce l’ordine di grandezza di questo livello, non si
conosce la relazione che esiste tra le stime della produzione e quelle
dell’occupazione.
Poiché quando si cerca di superare
questa manchevolezza non si può contare pienamente né sull’assunzione di un
tasso annuale costante di accrescimento della produttività, né sull’uso della
funzione della produzione, si suggerisce di adottare un terzo metodo di
indagine.
2.
I materiali statistici che sono
disponibili per i periodi antecedenti alle guerre (1870-1914 e 1914-1930) per i
vari paesi, mettono in luce l’esistenza di una relazione di lungo periodo
abbastanza costante tra gli incrementi della produttività del lavoro e il volume
della produzione industriale.
Dall’analisi delle serie storiche per
l’industria nel suo complesso (Tabella I) e per i singoli settori industriali,
esaminando in ciascun caso due anni differenti, si è avuto come risultato che
il valore medio della elasticità della produttività in relazione al prodotto è
circa di 0,45 (i limiti estremi trovati in concreto sono 0,41 e 0,57).
Ciò significa che in lungo periodo un
cambiamento nel volume della produzione - diciamo del 10% - tende ad essere
accompagnato da un aumento medio della produttività del 4,5%.
3.
Infatti anche a priori ci si sarebbe
potuti aspettare di trovare una certa correlazione fra produttività del lavoro
e produzione, dato che una maggiore suddivisione del lavoro avviene solo con
l’aumento del volume della produzione; perciò l’espansione della produzione
crea la possibilità di una ulteriore razionalizzazione con gli stessi effetti
della meccanizzazione.
In sostanza, questa interdipendenza
di carattere puramente teorico non implica di per sé che l’elasticità debba
essere costante, essendo il valore di essa in realtà anche influenzato da vari
fattori economici; sennonché si può dimostrare (vedi Appendice) che, sotto le
ipotesi adoperate abitualmente nell’analisi strumentale di lungo periodo,
l’elasticità assume una forma matematica che tende a renderla - entro limiti
ragionevoli - piuttosto indipendente dalle variazioni di tali fattori
economici.
D’altra parte si riscontra che,
quando si tiene conto delle condizioni economiche dei vari paesi e dei diversi
periodi di tempo, i valori dell’elasticità calcolati teoricamente risultano
dello stesso ordine di grandezza di quelli trovati empiricamente.
4.
L’ipotesi della costanza
dell’elasticità, pur non costituendo in realtà uno strumento adatto per
stabilire previsioni, può tuttavia servire bene come uno dei criteri per dare
un giudizio, in base alla esperienza del passato, della realizzabilità dei
piani a lungo termine.
a) Se in un piano si hanno a disposizione i dati sui fabbisogni di mano
d’opera e i dati sulla produzione, e il valore dell’elasticità risulta compreso
fra i limiti che si sono trovati empiricamente, allora si può affermare che il
piano in esame, visto soltanto sotto l’aspetto della produttività, è
tecnicamente eseguibile, ed economicamente plausibile.
b) Se invece si hanno a disposizione soltanto i dati sulla produzione,
si possono prevedere i fabbisogni di mano d’opera in base ai valori storici
dell’elasticità, e la fondatezza del piano può essere giudicata sulla base
della disponibilità di mano d’opera.
c) D’altro canto, nei casi nei quali non esista un piano, il valore
dell’elasticità della produttività dà una sommaria idea della misura
dell’incremento della produzione industriale da conseguire per assorbire una
data disponibilità di mano d’opera industriale.
5.
Infine questo metodo permette di
eseguire calcoli separati per singoli settori industriali. Se le elasticità
storiche si calcolano per settori anziché per il complesso dell’industria, si
tiene conto automaticamente delle differenze di possibilità tecniche e di
condizioni economiche (come ad esempio le differenze nella forma della curva di
produzione, nel valore della elasticità della offerta di lavoro), eventualmente
esistenti fra industria e industria.
6.
Fino ad ora [agosto 1948] solo il
piano Monnet e il piano Saraceno hanno fornito insieme i dati relativi al
lavoro e quelli relativi alla produzione. Nella Tabella II si offre un
confronto tra i valori dell’elasticità calcolati sulla base di questi due
piani, ed alcuni valori storici.
In tale tabella è evidente che in
linea di massima esiste una corrispondenza piuttosto stretta tra le tre serie
di valori; considerevoli divergenze, tuttavia, si trovano nel caso dei tessili
e della metallurgia, ma qui una più minuta suddivisione dei dati dei piani
sarebbe necessaria in conseguenza della eterogeneità dei sistemi tecnici di
produzione impiegati nelle stesse principali branche dei due settori
industriali (rayon in confronto al cotone, altiforni in confronto ai laminatoi).
La mancanza di dati precisi sugli
investimenti non permette d’altronde di stabilire in quale misura, oltre a
questo, la differenza nella politica degli investimenti possa avere influito
sulle divergenze riscontrate in detti due settori come pure altre più piccole
divergenze.
7.
Come linea generale di condotta da
seguirsi se in futuro saranno disponibili altri piani, va suggerito di prendere
come punto di partenza per la loro analisi l’anno 1938 o il 1937 piuttosto che
il 1947 o il 1948. Questi ultimi sono ancora influenzati molto dalle
conseguenze della guerra. Quanto al periodo finale, nel caso che il 1952/53 o
il 1960 siano gli anni terminali del piano, si può considerare che le
caratteristiche salienti del periodo della ricostruzione saranno a quella data
scomparse.
Nel confrontare il 1938 con il
1952/53 si può contare di essere di fronte a condizioni strutturali normali
tenendo però conto dei mutamenti di carattere duraturo dovuti al periodo di
guerra.
Se in tal modo si troverà che esista
una stretta corrispondenza in ogni singola industria nei tre paesi tra
l’espansione della produzione e i fabbisogni di capitale e di lavoro, sarà
possibile ottenere un insieme di valori normali per le differenti industrie.
Nel caso che le divergenze siano
molto rilevanti, si suggerisce una trattazione di carattere più generale.
Tenendo conto di altre variabili (sviluppo delle tecniche di produzione,
margine di capacità produttiva nel 1938, relazione fra fabbisogno totale di
mano d’opera e di capitale, etc.) si può tentare di trovare dei legami meno
rigidi tra i fabbisogni di capitale e quelli di mano d’opera delle industrie in
esame; a questo scopo in Appendice si espone un metodo che, quantunque non
direttamente applicabile per usi pratici, serve a stabilire dei punti di
partenza per una ricerca secondo questo indirizzo.
Dipenderà dalla qualità e quantità
del materiale statistico disponibile la scelta del metodo concreto più efficace
e più pratico. Tuttavia senza riguardo al metodo che potrà essere prescelto,
sembra chiaro che procedendo in tal modo, si possono ottenere criteri concreti
e quantitativi per giudicare la compatibilità del settore lavoro rispetto agli
altri aspetti del piano.
Appendice
1.
Condizioni per uno stabile rapporto
fra la produttività del lavoro e il volume della produzione.
Se indichiamo:
la elasticità della produttività del
lavoro rispetto al volume della produzione può indicarsi:
Assumendo una funzione della
produzione del tipo di Cobb Douglas 1 :
(b = capitale) e differenziando rispetto al tempo:
si ottiene:
da cui:
Se α e β vengono assunti come costanti, la costanza di K dipende evidentemente dalla costanza dell’elasticità del
capitale rispetto al lavoro, cioè dalla costanza del rapporto:
2.
La costanza dell’elasticità del
capitale rispetto al lavoro può essere provata usando un sistema di equazioni
simili a quello sviluppato da Tinbergen 2.
Per i nostri scopi saranno
sufficienti le seguenti equazioni:
3.I
Sistema di equazioni
Ipotesi e definizioni
Nella (2) Domanda di lavoro: Il salario medio v eguaglia la produttività marginale del lavoro.
Nella (3) Offerta di lavoro: questa equazione può anche essere scritta così:
nella quale:
a è il numero di addetti all’industria;
p è la popolazione attiva complessiva;
l è il salario medio nella produzione non industriale;
ρ’ è l’elasticità dell’offerta. In questa formula è essenzialmente una
elasticità di concorrenza: infatti la percentuale dell’offerta di lavoro
nell’industria è determinata dal rapporto tra i salari medi nell’industria e
quella degli altri rami della produzione. Nella (3) si è supposto che
quest’ultimo salario medio crescesse con un incremento annuale costante: eλ. D’altronde, anche secondo
Tinbergen, nella (3) il fattore eλt
può essere considerato come indicante le crescenti richieste dei sindacati cioè
l’incremento normale dei salari.
Se per il valore iniziale (t=0) di a, b e p, si assume il numero 1, la costante nella (3) dovrebbe essere α .
Se per il valore iniziale (t=0) di a, b e p, si assume il numero 1, la costante nella (3) dovrebbe essere α .
Nella (4) γ è la propensione media
all’investimento.
Nella (5) come incremento annuale si
è assunto eπ.
3.II - a’/a
Dalla (3) e dalla (5) si ha:
Dalla (6), dalla (2) e dalla (1) si
ha:
Differenziando la (7) rispetto al
tempo si ha:
Questa equazione (II) ci dà già un
rapporto
Essa tuttavia considera soltanto le
equazioni (1), (2) e (3) del sistema 3-I, e trascura perciò la dipendenza di b
dalle altre variabili del sistema, come dato dalla (4).
3.III - b’/b
Dalla (4) discende:
Siccome noi possiamo scegliere liberamente l’istante per il quale è t=0, noi prendiamo t=0 per l’anno per il quale deve essere calcolata l’elasticità. In tal caso tuttavia, noi siamo vincolati dai valori iniziali per le grandezze considerate, come assunte nel paragrafo 3.I; così ad esempio:
Discende perciò dalla (1) che:
e dalla (8) che:
Dividendo la (II) per b’0/b0
troviamo che:
3.IV - K
Sostituendo la (III) nella (I) noi
troviamo:
In definitiva è perciò:
La natura stabilizzatrice della (IV)
può facilmente individuarsi, se con una coppia di grafici si indicano i valori
di K come dipendente da l per differenti combinazioni di π e λ (essendo presi come dati α, β e γ). Appare
allora che modificazioni piuttosto notevoli sono necessarie perché K possa superare certi valori limite, ad
esempio ±0,15 se viene preso come punto iniziale 0,45. Ad analoghe conclusioni
si giungerebbe se si studiassero variazioni per α, β e γ per valori fissi di π
e λ.
Note:
1 La funzione di Cobb Douglas è stata scelta per
rappresentare la relazione fra produzione e lavoro e capitale perché essa è
usata da molto tempo come strumento teoretico. Tuttavia può essere provato che
anche basandosi su postulati più generali circa la natura della funzione della
produzione, si ottengono formule identiche a quelle sopra descritte.
2 “Weltwirtschaftliches Archiv”, Maggio 1942, pag. 530.
[FINE]
* Ho rivisto
l’Appendice correggendo diversi errori di stampa ed aggiungendo i
passaggi mancanti nei calcoli. In particolare ho modificato la definizione della
variabile a nel primo paragrafo
(1.) che non può essere la produttività del lavoro ma deve essere il numero
degli addetti dell’industria, come è poi nella funzione di Cobb Douglas e nel paragrafo 3.I. Altrimenti x/a non sarebbe la
produttività del lavoro ma il numero degli addetti e K non sarebbe
l’elasticità della produttività rispetto al volume della produzione ma l’elasticità
del numero degli addetti rispetto al volume della produzione.
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