giovedì 17 gennaio 2013

Fattori che regolano lo sviluppo della produttività del lavoro



Petrus J. Verdoorn

Fattori che regolano la produttività del lavoro

L’industria, Numero 1, 1949, pp.45-53.


Fattori che regolano la produttività del lavoro

[ A cura di Giorgio D.M. * ]


L’autore di questo articolo, nato in Olanda nel 1911, ha studiato economia all’Università di Amsterdam e ha preso il titolo dottorale alla Scuola di Economia di Rotterdam. Egli fa parte stabilmente dell’Ufficio Centrale di pianificazione dell’Olanda diretto dal prof. Tinbergen. [...]

1.
Una delle difficoltà nell’elaborare i piani a lungo termine è la stima del futuro livello della produttività del lavoro. Finché non si conosce l’ordine di grandezza di questo livello, non si conosce la relazione che esiste tra le stime della produzione e quelle dell’occupazione.
Poiché quando si cerca di superare questa manchevolezza non si può contare pienamente né sull’assunzione di un tasso annuale costante di accrescimento della produttività, né sull’uso della funzione della produzione, si suggerisce di adottare un terzo metodo di indagine.

2.
I materiali statistici che sono disponibili per i periodi antecedenti alle guerre (1870-1914 e 1914-1930) per i vari paesi, mettono in luce l’esistenza di una relazione di lungo periodo abbastanza costante tra gli incrementi della produttività del lavoro e il volume della produzione industriale.
Dall’analisi delle serie storiche per l’industria nel suo complesso (Tabella I) e per i singoli settori industriali, esaminando in ciascun caso due anni differenti, si è avuto come risultato che il valore medio della elasticità della produttività in relazione al prodotto è circa di 0,45 (i limiti estremi trovati in concreto sono 0,41 e 0,57).
Ciò significa che in lungo periodo un cambiamento nel volume della produzione - diciamo del 10% - tende ad essere accompagnato da un aumento medio della produttività del 4,5%.



3.
Infatti anche a priori ci si sarebbe potuti aspettare di trovare una certa correlazione fra produttività del lavoro e produzione, dato che una maggiore suddivisione del lavoro avviene solo con l’aumento del volume della produzione; perciò l’espansione della produzione crea la possibilità di una ulteriore razionalizzazione con gli stessi effetti della meccanizzazione.
In sostanza, questa interdipendenza di carattere puramente teorico non implica di per sé che l’elasticità debba essere costante, essendo il valore di essa in realtà anche influenzato da vari fattori economici; sennonché si può dimostrare (vedi Appendice) che, sotto le ipotesi adoperate abitualmente nell’analisi strumentale di lungo periodo, l’elasticità assume una forma matematica che tende a renderla - entro limiti ragionevoli - piuttosto indipendente dalle variazioni di tali fattori economici.
D’altra parte si riscontra che, quando si tiene conto delle condizioni economiche dei vari paesi e dei diversi periodi di tempo, i valori dell’elasticità calcolati teoricamente risultano dello stesso ordine di grandezza di quelli trovati empiricamente.

4.
L’ipotesi della costanza dell’elasticità, pur non costituendo in realtà uno strumento adatto per stabilire previsioni, può tuttavia servire bene come uno dei criteri per dare un giudizio, in base alla esperienza del passato, della realizzabilità dei piani a lungo termine.
   a) Se in un piano si hanno a disposizione i dati sui fabbisogni di mano d’opera e i dati sulla produzione, e il valore dell’elasticità risulta compreso fra i limiti che si sono trovati empiricamente, allora si può affermare che il piano in esame, visto soltanto sotto l’aspetto della produttività, è tecnicamente eseguibile, ed economicamente plausibile.
   b) Se invece si hanno a disposizione soltanto i dati sulla produzione, si possono prevedere i fabbisogni di mano d’opera in base ai valori storici dell’elasticità, e la fondatezza del piano può essere giudicata sulla base della disponibilità di mano d’opera.
   c) D’altro canto, nei casi nei quali non esista un piano, il valore dell’elasticità della produttività dà una sommaria idea della misura dell’incremento della produzione industriale da conseguire per assorbire una data disponibilità di mano d’opera industriale.

5.
Infine questo metodo permette di eseguire calcoli separati per singoli settori industriali. Se le elasticità storiche si calcolano per settori anziché per il complesso dell’industria, si tiene conto automaticamente delle differenze di possibilità tecniche e di condizioni economiche (come ad esempio le differenze nella forma della curva di produzione, nel valore della elasticità della offerta di lavoro), eventualmente esistenti fra industria e industria.

6.
Fino ad ora [agosto 1948] solo il piano Monnet e il piano Saraceno hanno fornito insieme i dati relativi al lavoro e quelli relativi alla produzione. Nella Tabella II si offre un confronto tra i valori dell’elasticità calcolati sulla base di questi due piani, ed alcuni valori storici.
In tale tabella è evidente che in linea di massima esiste una corrispondenza piuttosto stretta tra le tre serie di valori; considerevoli divergenze, tuttavia, si trovano nel caso dei tessili e della metallurgia, ma qui una più minuta suddivisione dei dati dei piani sarebbe necessaria in conseguenza della eterogeneità dei sistemi tecnici di produzione impiegati nelle stesse principali branche dei due settori industriali (rayon in confronto al cotone, altiforni in confronto ai laminatoi).
La mancanza di dati precisi sugli investimenti non permette d’altronde di stabilire in quale misura, oltre a questo, la differenza nella politica degli investimenti possa avere influito sulle divergenze riscontrate in detti due settori come pure altre più piccole divergenze.



7.
Come linea generale di condotta da seguirsi se in futuro saranno disponibili altri piani, va suggerito di prendere come punto di partenza per la loro analisi l’anno 1938 o il 1937 piuttosto che il 1947 o il 1948. Questi ultimi sono ancora influenzati molto dalle conseguenze della guerra. Quanto al periodo finale, nel caso che il 1952/53 o il 1960 siano gli anni terminali del piano, si può considerare che le caratteristiche salienti del periodo della ricostruzione saranno a quella data scomparse.
Nel confrontare il 1938 con il 1952/53 si può contare di essere di fronte a condizioni strutturali normali tenendo però conto dei mutamenti di carattere duraturo dovuti al periodo di guerra.
Se in tal modo si troverà che esista una stretta corrispondenza in ogni singola industria nei tre paesi tra l’espansione della produzione e i fabbisogni di capitale e di lavoro, sarà possibile ottenere un insieme di valori normali per le differenti industrie.
Nel caso che le divergenze siano molto rilevanti, si suggerisce una trattazione di carattere più generale. Tenendo conto di altre variabili (sviluppo delle tecniche di produzione, margine di capacità produttiva nel 1938, relazione fra fabbisogno totale di mano d’opera e di capitale, etc.) si può tentare di trovare dei legami meno rigidi tra i fabbisogni di capitale e quelli di mano d’opera delle industrie in esame; a questo scopo in Appendice si espone un metodo che, quantunque non direttamente applicabile per usi pratici, serve a stabilire dei punti di partenza per una ricerca secondo questo indirizzo.
Dipenderà dalla qualità e quantità del materiale statistico disponibile la scelta del metodo concreto più efficace e più pratico. Tuttavia senza riguardo al metodo che potrà essere prescelto, sembra chiaro che procedendo in tal modo, si possono ottenere criteri concreti e quantitativi per giudicare la compatibilità del settore lavoro rispetto agli altri aspetti del piano.


Appendice
1.
Condizioni per uno stabile rapporto fra la produttività del lavoro e il volume della produzione.
Se indichiamo:









la elasticità della produttività del lavoro rispetto al volume della produzione può indicarsi:








Assumendo una funzione della produzione del tipo di Cobb Douglas 1 :



(b = capitale) e differenziando rispetto al tempo:




si ottiene:




da cui:





Se α e β vengono assunti come costanti, la costanza di K dipende evidentemente dalla costanza dell’elasticità del capitale rispetto al lavoro, cioè dalla costanza del rapporto:

 

2.
La costanza dell’elasticità del capitale rispetto al lavoro può essere provata usando un sistema di equazioni simili a quello sviluppato da Tinbergen 2.
Per i nostri scopi saranno sufficienti le seguenti equazioni:

3.I
Sistema di equazioni









Ipotesi e definizioni
Nella (2) Domanda di lavoro: Il salario medio v eguaglia la produttività marginale del lavoro.
Nella (3) Offerta di lavoro: questa equazione può anche essere scritta così:




nella quale:
a è il numero di addetti all’industria;
p è la popolazione attiva complessiva;
l è il salario medio nella produzione non industriale;
ρ è l’elasticità dell’offerta. In questa formula è essenzialmente una elasticità di concorrenza: infatti la percentuale dell’offerta di lavoro nell’industria è determinata dal rapporto tra i salari medi nell’industria e quella degli altri rami della produzione. Nella (3) si è supposto che quest’ultimo salario medio crescesse con un incremento annuale costante: eλ. D’altronde, anche secondo Tinbergen, nella (3) il fattore eλt può essere considerato come indicante le crescenti richieste dei sindacati cioè l’incremento normale dei salari. 
Se per il valore iniziale (t=0) di a, b e p, si assume il numero 1, la costante nella (3) dovrebbe essere α .
Nella (4) γ è la propensione media all’investimento.
Nella (5) come incremento annuale si è assunto eπ.

3.II - a’/a
Dalla (3) e dalla (5) si ha:






Dalla (6), dalla (2) e dalla (1) si ha:

Differenziando la (7) rispetto al tempo si ha:








Questa equazione (II) ci dà già un rapporto




Essa tuttavia considera soltanto le equazioni (1), (2) e (3) del sistema 3-I, e trascura perciò la dipendenza di b dalle altre variabili del sistema, come dato dalla (4).

3.III - b’/b
Dalla (4) discende:





Siccome noi possiamo scegliere liberamente l’istante per il quale è t=0, noi prendiamo t=0 per l’anno per il quale deve essere calcolata l’elasticità. In tal caso tuttavia, noi siamo vincolati dai valori iniziali per le grandezze considerate, come assunte nel paragrafo 3.I; così ad esempio:



Discende perciò dalla (1) che:




e dalla (8) che:




Dividendo la (II) per b’0/b0 troviamo che:

 





3.IV - K
Sostituendo la (III) nella (I) noi troviamo:















In definitiva è perciò:






La natura stabilizzatrice della (IV) può facilmente individuarsi, se con una coppia di grafici si indicano i valori di K come dipendente da l per differenti combinazioni di π e λ (essendo presi come dati α, β e γ). Appare allora che modificazioni piuttosto notevoli sono necessarie perché K possa superare certi valori limite, ad esempio ±0,15 se viene preso come punto iniziale 0,45. Ad analoghe conclusioni si giungerebbe se si studiassero variazioni per α, β e γ per valori fissi di π e λ.

Note:
1 La funzione di Cobb Douglas è stata scelta per rappresentare la relazione fra produzione e lavoro e capitale perché essa è usata da molto tempo come strumento teoretico. Tuttavia può essere provato che anche basandosi su postulati più generali circa la natura della funzione della produzione, si ottengono formule identiche a quelle sopra descritte.
2 “Weltwirtschaftliches Archiv”, Maggio 1942, pag. 530.


[FINE]

 
* Ho rivisto l’Appendice correggendo diversi errori di stampa ed aggiungendo i passaggi mancanti nei calcoli. In particolare ho modificato la definizione della variabile a nel primo paragrafo (1.) che non può essere la produttività del lavoro ma deve essere il numero degli addetti dell’industria, come è poi nella funzione di Cobb Douglas e nel paragrafo 3.I. Altrimenti x/a non sarebbe la produttività del lavoro ma il numero degli addetti e K non sarebbe l’elasticità della produttività rispetto al volume della produzione ma l’elasticità del numero degli addetti rispetto al volume della produzione.  


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