mercoledì 30 gennaio 2013

Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia - Andreatta




Beniamino Andreatta

Il divorzio tra Tesoro e Bankitalia e la lite delle comari

Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1991.
Pubblicazione disponibile qui .



Il colpo di Stato riuscito.                                                                    Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia nelle parole dei congiurati - Andreatta



Con l'asta dei BoT del luglio 1981 iniziava, dieci anni fa, un nuovo regime di politica monetaria.
Si inaugurava, infatti, il cosiddetto "divorzio" fra Tesoro e Banca d'Italia: una "separazione dei beni" che esimeva la seconda dal garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti dal primo.
Oggi la "separatezza" fra i poteri esecutivo, legislativo e monetario è chiamata a test ancora più impegnativi, con gli impegni prossimi venturi in tema di unione monetaria e di vincoli al finanziamento e alla misura stessa del deficit di bilancio.
Il Sole-24 Ore ha voluto ricordare, con gli scritti dei protagonisti e dei testimoni privilegiati del "divorzio" del 1981, uno spartiacque della politica economica degli anni 80. Con l'augurio che questo decennio veda ulteriori progressi nella chiarezza dei ruoli e delle responsabilità.

Ero al ministero del Tesoro da poco più di tre mesi, di cui due quasi integralmente occupati a rimettere in movimento il meccanismo delle nomine bancarie - nomine da ministro della Repubblica, senza condiscendenze alle pressioni dei partiti della maggioranza - quando dovetti valutare, con senso di urgenza, che la crisi del secondo shock petrolifero imponeva di essere affrontata con decisioni politiche mai tentate prima di allora.
La propensione al risparmio finanziario degli italiani si stava proprio in quei mesi abbassando paurosamente e il valore dei cespiti reali - case e azioni- aumentava a un tasso del cento per cento all'anno.
La soluzione classica sarebbe stata quella di una stretta del credito, accompagnata da una stretta fiscale, che, come nel 1975, avesse creato una recessione con una caduta di alcuni punti del prodotto interno lordo; ma l'esperienza stessa degli anni '70 indicava due ordini di difficoltà:
a) la Banca d'Italia aveva perduto il controllo dell'offerta di moneta, fino a quando essa non fosse stata liberata dall'obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro;
b) il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dell' accordo tra Confindustria e sindacati confederali proprio nei primi mesi del 1975, aveva talmente irrigidito la struttura dei prezzi, che, in presenza di un raddoppio del prezzo dell' energia, anche una forte stretta da sola era impotente a impedire che un nuovo equilibrio potesse essere raggiunto senza un'inflazione tale da riallineare prezzi e salari ai costi dell'energia.
L'imperativo era di cambiare il regime della politica economica e lo dovevo fare in una compagine ministeriale in cui non avevo alleati, ma colleghi ossessionati dall' ideologia della crescita a ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole. 
La nostra stessa presenza nello Sme era allora messa in pericolo (c'è da ricordare che il partito socialista si era astenuto quando il Parlamento votò nel 1978 sull' adesione all' accordo di cambio e che i ministri socialisti avevano di fatto un potere di veto sulla politica economica).
I miei consulenti legali mi diedero un parere favorevole sulla mia esclusiva competenza, come ministro del Tesoro, di ridefinire i termini delle disposizioni date alla Banca d'Italia circa le modalità dei suoi interventi sul mercato e il 12 febbraio 1981 scrissi la lettera che avrebbe portato nel luglio dello stesso anno al "divorzio".
Il termine intendeva sottolineare una discontinuità, un mutamento appunto di regime della politica economica; un'analoga operazione che negli Stati Uniti pose termine nel 1951 alla politica di denaro facile, che aveva permesso il finanziamento della Seconda guerra mondiale, veniva ricordata come l' agreement tra Tesoro e Fed.
Nei limiti stretti delle mie competenze era invece mia intenzione sottolineare la novità, la rottura con il passato, quando poteva apparire "sedizioso" un comportamento della Banca che rifiutasse il finanziamento del fabbisogno pubblico per non creare base monetaria in eccesso.
Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, né lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come "congiura aperta" tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso - soprattutto sul mercato dei cambi - abolire per ritornare alle più confortevoli abitudini del passato.
Per rafforzare l'autonomia della Banca d'Italia altre due questioni venivano affrontate in quella lettera:
1) costituzione di un consorzio di collocamento tra banche commerciali, nelle mie intenzioni destinato soprattutto per il debito pubblico a più lunga scadenza;
2) una nuova regolamentazione dello scoperto del conto corrente di Tesoreria.

I tempi non erano maturi per affrontare questi aspetti e la Banca d'Italia preferì procedere solo sul nuovo regolamento della sua presenza nelle aste.
Facendo queste proposte era mia intenzione drammatizzare la separazione tra Banca e Tesoro per operare una disinflazione meno cruenta in termini di perdita di occupazione e di produzione, sostenuta dalla maggiore credibilità dell'istituto di emissione una volta che esso fosse liberato dalla funzione di banchiere del Tesoro.
Accarezzai anche l'ipotesi di un rebasement della lira che avrebbe potuto essere sostituita da uno scudo italiano, con parità uno a uno con l'Ecu, e con l'impegno unilaterale di mantenere nel tempo questa parità e approfondii l' argomento in numerose conversazioni con Ortoli, allora vicepresidente della Commissione di Bruxelles.
Il filo conduttore era lo stesso che ispirò il divorzio, quello, cioè, di facilitare la politica di stabilizzazione favorendo il formarsi di aspettative favorevoli da parte degli operatori che avrebbero agevolato la trasmissione sui prezzi della politica monetaria, minimizzando gli effetti negativi sui volumi.
Senza presunzioni eccessive, questa lettera ha segnato davvero una svolta e il divorzio, assieme all'adesione allo Sme (di cui era un'inevitabile conseguenza), ha dominato la vita economica degli anni '80, permettendo un processo di disinflazione relativamente indolore, senza che i problemi della ristrutturazione industriale venissero ulteriormente complicati da una pesante recessione da stabilizzazione.
Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l'escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale.
Da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta più difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato.
Il bilancio di competenza del 1982 è la dimostrazione di questa nuova situazione: riuscii in pratica ad azzerare i fondi globali, cosa che non era successa prima né successe dopo.
Il saldo netto da finanziare del bilancio preventivo e il fabbisogno del consuntivo furono del 10% inferiore agli analoghi aggregati dell' anno precedente, anche se poi la Tesoreria, caricata nel recente passato, provocò un volume eccezionalmente elevato di indebitamento.
Bisognava continuare a stringere le spese di competenza e nella preparazione del bilancio 1983 si chiese al Parlamento una delega amplissima per affrontare con decreti delegati i nodi che il Parlamento stesso si dimostrava riluttante a sciogliere.
Queste deleghe furono nell' autunno rifiutate e, nel mezzo del turbamento che ne seguì sui mercati finanziari, il collega Formica propose di rimborsare una quota soltanto del debito del Tesoro con una specie di concordato extragiudiziale.
Risposi a rime baciate per sdrammatizzare il panico che ne sarebbe potuto seguire; e subito fu l'affare delle comari.
Pochi mesi più tardi, in analoghe circostanze, Jacques Delors riuscì a sbarcare cinque ministri che avevano sostenuto - privatamente - la convenienza per la Francia di uscire dallo Sme.
La stampa e i politici di casa nostra sembravano invece ignorare il baratro che avevamo sfiorato e ipocritamente si scandalizzarono per la forma delle mie risposte.
Il divorzio aveva fatto la sua prima vittima ed era il suo autore; ma aveva dimostrato di funzionare.
Negli anni successivi non divenne certo popolare nei palazzi della politica, ma continuò ad assicurare legami fra la politica italiana e quella dell' Europa.


[FINE]


1 commento:

  1. "Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l'escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale".
    Da incorniciare.

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