Michael Burda
L'errore di aver dimenticato Hume
Pubblicato il 18
maggio 2012 da lavoce.info qui.
L’errore di aver dimenticato Hitler
Il grande filosofo ed economista
scozzese David Hume aveva compreso fin troppo bene come i confini nazionali e
le statistiche della bilancia dei pagamenti influenzano e anzi determinano i
flussi del commercio internazionale.
L'UNIONE E IL
MECCANISMO DI HUME
Laddove esistono confini, gli uffici
doganali e le burocrazie statali monitorano continuamente il flusso di beni e
attività tra paesi e i surplus o i deficit sono visti dai politici come un motivo
di orgoglio o di vergogna.
Hume criticava il mercantilismo, ma
era ottimista sul fatto che la struttura del commercio si sarebbe alla fine
aggiustata.
Nel 1752 scriveva: “Se una nazione
conquista un vantaggio commerciale su un'altra, è molto difficile che
quest'ultima recuperi il terreno perduto (...) Ma questi vantaggi sono
compensati, in qualche misura, dal basso costo del lavoro nelle nazioni che non
hanno un vasto commercio e che non sono ricche di oro e argento.
I produttori perciò trasferiscono le
loro sedi, lasciando i paesi e le province che hanno già arricchito, e andando
verso altri luoghi, dove sono richiamati dalla modicità dei prezzi dei beni per
vivere e del lavoro, finché anche questi nuovi luoghi non si arricchiscono e i
produttori sono di nuovo costretti all'esilio per gli stessi motivi.
E, in generale, possiamo osservare
che l'alto costo di ogni cosa, dovuto all'abbondanza di denaro, è uno
svantaggio che accompagna ogni commercio consolidato, e stabilisce dei limiti
ad esso in ogni paese, consentendo agli stati più poveri di battere sul prezzo
i più ricchi in tutti i mercati stranieri”.
In linea di principio, il celebrato
meccanismo di Hume dovrebbe funzionare all'interno dell'area euro: i paesi che
esportano meno di quanto importano dovrebbero perdere euro a favore dei paesi
in surplus, a meno che non siano compensati da flussi in entrata di capitali
privati.
L'uscita di euro porta a una scarsità
di moneta e di credito, a minori prestiti per consumo e investimenti, a un
rallentamento delle attività e alla caduta dei prezzi.
Deficit cronici comportano più alti
tassi di interesse e il declino del merito del credito sia per i debitori
sovrani che privati.
Ma assorbimento interno e prezzi dei
beni non commerciabili in calo, alla fine, riportano i salari in linea con la
produttività e ristabiliscono la competitività.
Nello stesso modo, i paesi con
surplus cronici dovrebbero accumulare euro e le banche nazionali dovrebbero
espandere il credito, portando così a una domanda e a un'inflazione maggiori
rispetto ai paesi in deficit.
Le intuizioni di Hume sono rilevanti
oggi come lo erano 250 anni fa.
La recessione e la concomitante riduzione dei prezzi e salari nei paesi
periferici dell'Eurozona sono dolorose, ma sono condizioni necessarie per recuperare
la capacità di esportare e tornare così alla crescita e a finanze pubbliche sostenibili: una rigida politica fiscale è necessaria
per accelerare il processo.
Irlanda, Spagna e Portogallo hanno già fatto progressi in questo senso.
I livelli dei prezzi relativi devono
però scendere ancora nei paesi in deficit perché si possano riequilibrare gli
squilibri e possano tornare i capitali privati.
È vera anche l'altra faccia della
medaglia: Germania, Olanda e Finlandia devono accettare una buona dose di crescita
dei salari e dei redditi nominali, e anche di più alta inflazione.
Con un pizzico di fortuna, è possibile che l'accettino.
Ma il meccanismo di Hume opera con
lentezza, soprattutto perché i prezzi hanno bisogno di tempo per aggiustarsi e
sono guidati da aspettative difficili da modificare.
Ma opera con lentezza anche perché i
difetti nella costruzione dell'Eurozona ostacolano il meccanismo di Hume.
I deficit delle partite correnti non sono un male di per sé, in particolare se aiutano a
superare difficoltà di consumo temporanee dovute a un anno particolarmente
difficile oppure finanziano le importazioni di beni capitali per rispondere a
opportunità produttive.
Tuttavia, dall'inizio della crisi
finanziaria, i paesi dell'area euro con deficit cronici hanno sperimentato
anche significativi deflussi di capitali e deficit di bilancia dei pagamenti.
Ai tempi del sistema di Bretton
Woods, prima del 1971, il Fondo monetario internazionale avrebbe estinto questi
fuochi attraverso piani di stabilizzazione fiscale: Gran Bretagna e Italia ne
sono stati due esempi memorabili.
Squilibri cronici di bilancia dei
pagamenti non erano tollerati perché nessuno si aspettava che un paese sovrano
finanziasse in modo permanente i deficit degli altri.
I LIMITI DI
UN SISTEMA
Nell’Eurozona non c’è nessuna
autorità che regoli gli squilibri fra i diversi paesi sovrani:
- il trattato di Maastricht non
prevede esplicitamente interventi come quelli del FMI;
- il Patto di Stabilità e crescita,
progettato per prevenire gli squilibri causati dai governi, ha chiaramente
fallito il suo compito;
- mentre i flussi di capitale privato
in questi paesi si sono prosciugati e si sono anzi trasformati in una fuga di
capitali, la BCE ha involontariamente finanziato i deficit nelle bilance dei
pagamenti derivanti da questo fenomeno, attraverso il cosiddetto sistema di
Target 2. 1
Queste entrate contabili nei bilanci
delle banche centrali nazionali sono diventate oggetto di animate discussioni
in Germania. 2
Monetizzando in modo passivo gli
squilibri intra-europei, la Bce ha “messo Hume in attesa”, rimandando il necessario aggiustamento dei prezzi relativi
fra regioni.
Inizialmente sottovalutato dalla
maggioranza degli economisti, il problema è ormai troppo grande per essere
ignorato.
I surplus della Bundesbank verso la BCE
ammontano a più di 700 miliardi di euro, circa il 30 per cento del PIL tedesco.
La Germania è ormai diventata
ostaggio dell’Unione monetaria, perché un’uscita unilaterale implicherebbe una
nuova banca centrale con equity negativa.
In un mondo senza frontiere nazionali
e senza banche centrali nazionali, non possono esserci deficit nelle bilance
dei pagamenti – i deficit di conto corrente sono sempre finanziati da capitale
privato.
Finché i membri dell’unione monetaria
li accettano, cambiamenti di proprietà,
anche di rilevante entità, degli asset nazionali all'interno dell'Unione
dovrebbero essere perfettamente accettabili e lasciati ai proprietari dei
flussi di capitale.
Compito dei governi dovrebbe essere
quello di evitare che gli errori delle banche private e degli investitori
ricadano sui contribuenti.
E la BCE dovrebbe astenersi
dall'immettere liquidità direttamente su un particolare mercato.
Tuttavia, finché i “nazionalisti
economici” continuano a prestarvi attenzione, i deficit e i surplus delle
bilance dei pagamenti nazionali continueranno ad avere un ruolo nella
formulazione delle politiche.
Nel caso di una rottura dell’euro, le
entrate contabili derivate da Target2 diventerebbero espliciti attivi e passivi
nazionali, aprendo la strada a ulteriori recriminazioni e a un deterioramento
delle relazioni economiche e anche politiche.
Alla fine, i fondatori dell’euro
hanno commesso un grave errore ignorando il non irrilevante dettaglio che Hume
avrebbe certamente colto.
Decidendo di non abolire
definitivamente le banche centrali nazionali, la porta sul retro è rimasta
socchiusa permettendo agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema
finanziario e del meccanismo di Hume.
Questa svista, assieme all’incapacità
di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato
scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione
Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.
1 Buiter
et al 2011.
2 Sinn
2012, Dullien and Schieritz 2012, Tornell and Westermann 2011.
[FINE]
Il corsivo è mio.
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