Paul De Grauwe & Yuemei Ji
Fiscal
implications of the ECB’s bond-buying programme
VoxEU.org, 14 June 2013.
Pubblicazione
disponibile qui.
Banche centrali e debito pubblico
[
Traduzione di Giorgio D.M. * ]
La relazione tra la politica monetaria e la politica fiscale è sottoposta
all’esame della Corte Costituzionale tedesca che dovrà esprimersi sul programma
OMT di acquisto di titoli di Stato annunciato dalla Banca Centrale Europea
(BCE). Questo articolo sostiene che la massima parte delle analisi sono
profondamente viziate dalla errata applicazione alle banche centrali dei
principi sulla inadempienza che si applicano alle imprese private. L’acquisto
di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea trasforma i titoli di
Stato in base monetaria e il rischio di inadempienza degli Stati in un rischio
di inflazione. La vera questione è: fino a che punto la base monetaria può
essere incrementata senza provocare un aumento dell’inflazione? Questo limite
dipende dalla situazione economica ed è molto più elevato nella attuale
condizione di trappola della liquidità.
C’è molta confusione a proposito
delle conseguenze fiscali del programma di acquisto di titoli di Stato - le OMT,
o Outright Monetary Transactions [Transazioni monetarie dirette] - che la Banca
Centrale Europea ha annunciato lo scorso anno.
Questa confusione nasce principalmente perché si applicano alle banche
centrali i principi che regolano la solvibilità [solvency] delle imprese private (comprese le banche).
Il livello della confusione è tale che il presidente della Bundesbank si
è rivolto alla Corte Costituzionale tedesca sostenendo che il programma OMT
della Banca Centrale Europea comporterebbe la possibilità che i cittadini
tedeschi debbano dover pagare delle tasse per coprire le potenziali perdite
alle quali la Banca Centrale Europea potrebbe andare incontro.
In questo articolo noi sosteniamo che
i timori che i contribuenti tedeschi possano essere chiamati a coprire le
perdite subite dalla BCE sono fuori luogo.
Questi timori sono basati su di una
incomprensione dei problemi di solvibilità che le banche centrali affrontano.
In realtà, proprio i contribuenti
tedeschi sono i principali beneficiari di questo programma di acquisto di
titoli di Stato.
Solvibilità delle banche centrali e solvibilità delle imprese private: la
principale differenza
Le imprese private sono considerate
solvibili quando il loro capitale proprio è positivo, cioè quando il valore
delle loro attività è maggiore del valore dei loro debiti.
La solvibilità di una impresa privata
può essere espressa anche nei termini del massimo ammontare di perdite che
l’impresa può assorbire in un qualsiasi istante temporale.
Così, un’impresa privata è
considerata solvibile quando le sue perdite non sono maggiori del valore del
suo capitale proprio.
Poiché in un mercato efficiente il
capitale proprio è [valutato dal mercato come] pari al valore presente dei
profitti futuri, giungiamo al vincolo di solvibilità che impone che le perdite
attuali non possono eccedere il valore attuale dei profitti futuri attesi.
I problemi sorgono quando questi
vincoli di solvibilità sono applicati alle banche centrali.
Questa errata applicazione dei principi che valgono per i privati ha
condotto alcuni a concludere che le perdite che la BCE (o una qualsiasi altra
banca centrale) può sopportare non devono eccedere il valore presente dei profitti
futuri attesi derivanti dal signoraggio (si veda Corsetti & Delada, 2013).
In modo simile, talvolta si conclude che una banca centrale ha bisogno di
un capitale proprio positivo per rimanere solvibile (Stella, 1997; Bindseil et
al., 2004).
Questi vincoli di solvibilità non devono
essere applicati alla banca centrale; le banche centrali non possono diventare
inadempienti.
Una banca centrale può emettere
qualsiasi ammontare di moneta sia necessario per consentirle di “ripagare i
suoi creditori”, cioè i possessori della moneta. 1
Questo “ripagamento” consisterebbe
semplicemente nella conversione della vecchia moneta in nuova moneta.
Al contrario di ciò che avviene per le
imprese private, le passività della banca centrale non costituiscono un diritto
sulle attività della banca centrale.
Questo avveniva durante il gold standard
quando la banca centrale prometteva di convertire le sue passività in oro a un
prezzo prefissato. In modo simile, in un sistema di cambi fissi, la banca
centrale promette di convertire le sue passività in valuta estera a un prezzo prefissato.
La Banca Centrale Europea e altre
banche centrali moderne che operano in un sistema di cambi flessibili non fanno
promesse di questo tipo.
Il valore delle attività della banca
centrale non ha di conseguenza alcuna
importanza per la sua solvibilità.
L’unica promessa fatta da una banca
centrale in un regime di cambi flessibili è che la moneta sarà convertibile in
un insieme di beni e servizi a un prezzo (più o meno) fisso. In altre parole,
la banca centrale promette la stabilità dei prezzi.
Questo è tutto.
Il signoraggio non è un limite
Dunque non ha alcun senso affermare
che il limite alle perdite che una banca centrale può sopportare sia in un
qualsiasi istante temporale dato dal valore presente dei profitti futuri
(signoraggio).
Non esiste un tale limite.
La banca centrale può sopportare
qualsiasi perdita purché essa non metta in pericolo la sua promessa di
mantenere la stabilità dei prezzi.
Non è corretto neppure affermare che
la banca centrale debba mantenere un capitale proprio positivo per “rimanere
solvibile”.
Una banca centrale non ha alcuna
necessità di un capitale proprio.
L’affermazione che talvolta viene
fatta che una banca centrale con capitale proprio negativo debba essere
ricapitalizzata dal Tesoro è perciò priva di senso.
Per essere chiari:
La banca centrale (che non può diventare inadempiente) non ha alcuna
necessità di un sostegno fiscale da parte dello Stato (che può diventare
inadempiente).
L’unico sostegno che la banca centrale deve ricevere dallo Stato consiste
nel fatto che lo Stato deve assicurare alla banca centrale il potere
monopolistico di emettere la moneta nel territorio sul quale lo Stato ha
giurisdizione.
Con questo potere assicuratole dallo
Stato, la banca centrale è libera da qualsiasi vincolo di solvibilità.
Applichiamo ora questi primi principi
alla questione di come un programma di acquisto di titoli di Stato da parte
della banca centrale possa avere delle conseguenze fiscali.
Discutiamo inizialmente la situazione
della banca centrale che si confronta con un solo Stato. Discuteremo poi il
problema della banca centrale che, in una unione monetaria, si confronta con più
Stati.
La banca centrale di una nazione indipendente
Considereremo il caso di una banca
centrale che acquista titoli di Stato sul mercato secondario. 2
Acquistando titoli di Stato, la banca
centrale trasforma la natura del debito del settore pubblico.
Quando la banca centrale acquista il
debito del suo Stato, il debito viene trasformato:
Il debito pubblico, gravato da un tasso di interesse e da un rischio di
inadempienza, diviene una passività monetaria della banca centrale (cioè base
monetaria), priva di rischio di insolvenza ma soggetta al rischio di
inflazione.
Per comprendere le conseguenze fiscali
di questa trasformazione è importante considerare insieme, consolidare, la banca
centrale e lo Stato (dopotutto essi sono parti diverse dello stesso settore
pubblico).
Dopo la trasformazione operata con
l’acquisto da parte della banca centrale, il debito pubblico posseduto dalla
banca centrale si cancella.
E’ ora una attività di una parte del
settore pubblico (la banca centrale) e una passività di un’altra parte del
settore pubblico (lo Stato). Esso perciò scompare.
La banca centrale può ancora
registrarlo nei suoi bilanci ma il debito pubblico che ha acquistato non ha più
alcun valore economico.
Infatti la banca centrale potrebbe
porre termine a questa finzione ed eliminare il debito pubblico in suo possesso
dal suo bilancio e di conseguenza lo Stato potrebbe cancellarlo dall’ammontare
del suo debito.
Il debito pubblico posseduto dalla
banca centrale è divenuto privo di valore perché è stato sostituito da un nuovo
tipo di debito, cioè dalla moneta, che è sottoposta a un rischio di inflazione
anziché a un rischio di inadempienza.
Questo è il motivo per il quale non
ha alcun senso dire che le banche centrali sopportano delle perdite quando il
prezzo di mercato dei titoli di Stato diminuisce.
Se c’è una perdita per la banca
centrale essa è compensata da un uguale profitto per lo Stato (il valore di
mercato del suo debito diminuisce nella stessa misura).
Non c’è alcuna perdita per il settore
pubblico.
Il debito pubblico posseduto dal settore pubblico è differente
Arriviamo a una conclusione
importante:
Una volta che la banca centrale ha acquistato i titoli di Stato, una
diminuzione del valore di mercato di questi titoli non ha conseguenze fiscali.
La perdita subita da una parte del
settore pubblico (la banca centrale) è compensata da un pari guadagno conseguito
da un’altra parte del settore pubblico (il governo), non rimane nulla che i
contribuenti debbano pagare.
Questo può essere visto anche
considerando i flussi degli interessi relativi ai titoli di Stato posseduti
dalla banca centrale.
Per esempio, supponiamo che la banca
centrale abbia acquistato titoli di Stato per un miliardo di euro e che questi
paghino una cedola annuale del 4%. La banca centrale che possiede questi titoli
nel suo bilancio riceve quindi ogni anno 40 milioni di euro dallo Stato [4% x
1.000 = 40] in pagamento degli interessi.
La regola per la tenuta dei registri
contabili prevede che questi interessi siano registrati come profitti della
banca centrale.
Alla fine dell’anno però la stessa
banca centrale dovrà girare allo Stato i suoi profitti.
Supponendo che il costo marginale
della gestione di questo portafoglio di titoli sia nullo [cioè che la banca
centrale non sostenga dei costi addizionali per la gestione di questi titoli di
Stato], la banca centrale girerà 40 milioni di euro allo Stato.
Questa è la mano sinistra che paga la
destra, per così dire.
Questa regola per la tenuta dei
registri contabili ha condotto a considerare come signoraggio il reddito
derivante dall’incasso degli interessi. Ma non lo è. Non c’è alcun profitto per
il settore pubblico considerato nel suo complesso.
Il profitto della banca centrale è
esattamente compensato da una perdita dello Stato. [E il profitto della banca
centrale è poi girato allo Stato]. Entrambi potrebbero abolire questa
convenzione contabile perché non c’è alcuna sostanza economica dietro a queste
perdite e a questi profitti.
E’ vero in senso letterale che la banca centrale potrebbe mettere i
titoli di Stato nel tritacarte; non si perderebbe nulla.
Nel nostro esempio, la banca centrale
smetterebbe di ricevere 40 milioni di euro all’anno dallo Stato, e smetterebbe
di pagare 40 milioni di euro all’anno allo Stato.
Cosa succede se lo Stato diviene
inadempiente sui titoli che ha emesso?
L’inadempienza dello Stato provoca delle perdite per i privati che
possiedono i suoi titoli.
Ma non ha alcuna conseguenza per quanto riguarda i titoli di Stato
posseduti dalla banca centrale.
Dopo l’inadempienza [default] dello
Stato, i titoli posseduti dalla banca centrale valgono zero, ma essi erano già
privi di valore prima di essa. E’ la mano destra che prende indietro dalla mano
sinistra.
Si pensi a questo in termini dei
flussi degli interessi.
Dopo l’inadempienza dello Stato, la
banca centrale smette di ricevere il pagamento degli interessi dallo Stato, ma
nello stesso tempo essa smette di riversare questi stessi interessi allo Stato.
Nulla è avvenuto nel settore
pubblico. Quindi le perdite che la banca centrale accumula come conseguenza
dell’inadempienza dello Stato non hanno conseguenze fiscali.
La stabilità dei prezzi e l’inadempienza del settore pubblico
C’è un problema quando si giunge a considerare
la stabilità dei prezzi e il suo legame con una inadempienza dello Stato.
Se la banca centrale mantiene le sue
passività (la base monetaria) sotto controllo, l’inadempienza dello Stato di
per sé non conduce a una più alta inflazione.
Una inflazione più elevata si
verificherà solo se lo Stato dovesse costringere la banca centrale a emettere
una quantità maggiore delle sue passività monetarie, cioè a finanziare i
deficit di bilancio correnti che, dopo che lo Stato si sarà reso inadempiente,
non potranno più essere finanziati con l’emissione di titoli di Stato.
Si sostiene talvolta che se la banca
centrale non possiede attività (a causa dell’inadempienza dello Stato) allora
essa non ha più alcuno strumento per ridurre la quantità della moneta.
Cosa che potrebbe essere talvolta
necessaria per ridurre le spinte inflazionistiche.
Questa posizione fa acqua da tutte le
parti.
Ci sono due modi con i quali la banca
centrale può ridurre la quantità della moneta, pur non possedendo attività.
In primo luogo, la banca centrale può essa stessa emettere titoli che
paghino un interesse e venderli sul mercato.
Questo ha l’effetto di ridurre la
liquidità (la base monetaria).
In secondo luogo, la banca centrale può innalzare la riserva minima obbligatoria
che le banche devono detenere.
In questo modo si ha il risultato di
“disattivare” la quantità di liquidità esistente, ottenendo lo stesso effetto
di una riduzione della base monetaria.
La banca centrale di una unione monetaria
Le cose sono più complicate in una
unione monetaria che non sia anche una unione fiscale.
In questo caso le conseguenze fiscali
di un acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale sono più
complicate.
Il punto cruciale è l’esistenza di
“n” Stati.
Nella zona euro, n = 17 (e presto
sarà pari a 18 con la Lettonia).
Se potessimo consolidare la Banca Centrale Europea e i 17 Stati in un
unico settore pubblico, l’analisi procederebbe senza modifiche come nei
paragrafi precedenti.
Ma non possiamo; la zona euro non è una unione fiscale.
Di conseguenza, un programma di
acquisto di titoli di Stato comporterà dei trasferimenti tra le nazioni che
partecipano all’unione monetaria.
Per chiarire le idee su questo
problema, assumiamo che la BCE acquisti titoli di Stato spagnoli per un
miliardo di euro con una cedola del 4%.
Le conseguenze fiscali sono ora le
seguenti:
La BCE riceve ogni anno interessi per 40 milioni di euro dallo Stato
spagnolo.
La BCE restituisce ogni anno questi 40 milioni di euro alle banche
centrali nazionali della zona euro.
La distribuzione avviene pro quota
secondo le quote azionarie che ciascuna banca centrale possiede del capitale
della BCE (si veda ECB 2012).
Le banche centrali nazionali trasferiscono quello che incassano ai
rispettivi Stati.
Nel nostro esempio, la BCE restituirà
l’11,9% dei 40 milioni di euro al Banco de España.
Il resto andrà alle altre banche
centrali della zona euro.
La quota maggiore andrà alla Bundesbank
tedesca, che con la sua quota pari al 27,1% riceverà 10,8 milioni di euro.
Così, in una unione monetaria (e in
assenza di una unione fiscale) un programma di acquisto di titoli di Stato
conduce a trasferimenti fiscali tra i diversi paesi - ma non a quelli che il pubblico si immagina
comunemente, specialmente in Germania.
Un programma di acquisto di titoli di Stato da parte della BCE conduce a
un trasferimento annuale di capitali dalle nazioni i cui titoli di Stato sono
acquistati verso le nazioni i cui titoli di Stato non sono acquistati.
Si deve notare che la Banca Centrale
Europea può implementare un programma di acquisto di titoli di Stato che eviti [questo
tipo di] trasferimenti fiscali tra i diversi Stati acquistando i titoli dei
diversi Stati nella stessa proporzione della partecipazione delle rispettive
banche centrali nazionali al capitale della BCE.
Un programma di questo tipo è stato
in realtà proposto qualche volta.
Ma questo non eliminerebbe del tutto
i trasferimenti perché i tassi di interesse sui titoli di Stato emessi non sono
gli stessi per tutti i paesi.
Infatti, gli Stati che pagano i tassi
di interesse più elevati, anche in questo programma di acquisto di titoli di
Stato bilanciato, sarebbero dei pagatori netti di interessi agli Stati che
pagano i tassi di interesse più bassi
Così, anche un programma di acquisto
di titoli di Stato bilanciato tenendo conto delle quote di proprietà del
capitale della Banca Centrale Europea possedute da parte delle Banche Centrali
Nazionali comporterebbe dei trasferimenti fiscali dagli Stati più deboli
(debitori) agli Stati più forti (creditori).
Cosa succede se uno Stato diventa inadempiente?
Si sente spesso dire nei paesi
creditori [come la Germania] che questi paesi sarebbero danneggiati se uno
degli Stati i cui titoli sono nel bilancio della BCE dovesse diventare
inadempiente.
Questa è una conclusione errata.
Tornando al nostro esempio di un
acquisto da parte della BCE di titoli di Stato spagnoli per un miliardo di
euro, consideriamo una inadempienza della Spagna su questi titoli.
Lo Stato spagnolo smette di pagare 40 milioni di euro di interessi alla
BCE
La BCE smette di trasferire questi interessi alle banche centrali della
zona euro pro quota
I contribuenti tedeschi, ad esempio, non ricevono più la loro manna
annuale di 10,8 milioni di euro
In nessun modo si può concludere che
i contribuenti tedeschi, o i contribuenti di un qualsiasi altro paese della
zona euro, pagherebbero il conto di una inadempienza della Spagna - tranne che
nel senso stretto che essi non potrebbero più contare su un flusso annuale di
interessi.
C’è certamente la possibilità di una tassa dovuta all’inflazione.
Abbiamo osservato in precedenza che, con
un programma di acquisto di titoli di Stato, il debito che paga un interesse è
trasformato in una passività della Banca Centrale Europea (la base monetaria)
Questo solo fatto potrebbe condurre
all’inflazione, e così a una tassa dovuta all’inflazione alla quale sarebbero
sottoposti tutti i possessori di euro.
Questo conduce al problema di quanto
ampio possa essere il programma di acquisto di titoli di Stato della BCE senza
generare dell’inflazione aggiuntiva.
Dalla tassazione esplicita alla tassa dovuta all’inflazione
Ogni operazione di mercato aperto che
comporti l’acquisto di titoli di Stato crea il potenziale di una maggiore
inflazione perché incrementa la base monetaria.
La questione chiave che dobbiamo
porci è come l’incremento della base monetaria si trasmetta alla quantità della
moneta. Dopotutto è la quantità della moneta e non la base monetaria di per sé
che determina l’inflazione.
Nella Figura 1 mostriamo l’evoluzione
della base monetaria [money base] e della quantità della moneta [money stock]
(M3) nella zona euro a partire dal 2004.
Si nota una impressionante differenza
tra il periodo precedente la crisi bancaria dell’ottobre del 2008 e il periodo successivo.
Prima della crisi globale, i due aggregati monetari si muovevano
all’unisono, suggerendo che il moltiplicatore della moneta (il rapporto tra la
quantità della moneta e la base monetaria) fosse costante.
Un incremento della base monetaria
dell’1% condusse a un incremento della quantità della moneta di circa l’1%.
Le cose sono profondamente diverse
durante il periodo della crisi.
Figura 1. Base monetaria (Money base) e quantità
della moneta (money stock, M3) nella zona euro (Dicembre 2007 = 100)
Fonte: European Central Bank,
Statistical Warehouse.
Nel periodo tra l’ottobre del 2008 e
l’aprile del 2013, la relazione tra la base monetaria e la quantità della
moneta si è spezzata.
La base monetaria è aumentata di più
del 50%; la quantità della moneta è aumentata solo del 7%.
Questo suggerisce che il
moltiplicatore della moneta è diminuito drammaticamente.
Questa diminuzione drammatica del
moltiplicatore della moneta è completamente dovuta alla trappola della
liquidità (Krugman, 2010).
Le banche, che accumulano riserve
grazie alle iniezioni di liquidità della BCE, tesoreggiano queste riserve.
Il grado di avversione al rischio
delle banche è tale che esse non usano le loro riserve di liquidità per
espandere il credito bancario.
Di conseguenza la quantità della
moneta (M3) non aumenta.
Anche la Figura 2 è istruttiva.
Essa mostra il tasso in inflazione
annuale medio e il tassi di crescita
annuali medi della base monetaria e della quantità della moneta prima e dopo la
crisi bancaria del 2008.
Prima del 2008 entrambi gli aggregati monetari crescevano praticamente
allo stesso tasso; il tasso di inflazione annuale era il 2,3%.
Dal 2008 i tassi di crescita degli aggregati monetari divergono
drammaticamente.
La base monetaria cresce a un tasso
annuale dell’11% mentre il tasso di crescita della quantità della moneta crolla
a meno del 2% e l’inflazione cade al di sotto del 2%
La nostra interpretazione è che la forte crescita della base monetaria ha
aiutato a ridurre le spinte verso la deflazione nell’economia, piuttosto che
essere una fonte di inflazione. 3
Figura 2. Inflazione,
tassi di crescita (medi annuali) della base monetaria (MB) e dell’M3
Fonte:
European Central Bank, Statistical Warehouse.
Conclusioni
L’analisi svolta suggerisce le
seguenti conclusioni:
I limiti a un programma di acquisto dei titoli di Stato dipendono dalla
natura della situazione economica e finanziaria, cioè dall’esistenza di una
trappola della liquidità.
Nei tempi normali, quando un
incremento della base monetaria conduce a un proporzionale incremento della
quantità della moneta, il limite a un programma di acquisto dei titoli di Stato
è stretto
Se l’obiettivo per l’incremento della
quantità della moneta è il 4,5% (come nel caso della zona euro dove si ritiene che
un obiettivo del 4,5% conduca a un tasso di inflazione massimo del 2%) questo
significa anche che la base monetaria non deve aumentare più del 4,5% all’anno.
Ma allora in condizioni normali non
c’è che una piccolissima necessità di un programma di acquisto dei titoli di
Stato
La situazione è cambiata drammaticamente sin dall’inizio della crisi
delle banche.
Durante il periodo di crisi i limiti
alla base monetaria che può essere creata senza innescare pressioni
inflazionistiche è molto più elevato per l’esistenza di una trappola della
liquidità.
Quanto sia più elevato dipende dal
moltiplicatore della moneta.
Nell’articolo che abbiamo scritto (De
Grauwe & Ji 2013) stimiamo il valore del moltiplicatore durante il periodo
di crisi e concludiamo che esso sia collassato a zero.
Non c’è di conseguenza alcun limite
all’ampiezza del programma di acquisto di titoli di Stato, cioè la BCE può
acquistare qualsiasi ammontare di titoli di Stato senza mettere in pericolo la
stabilità dei prezzi, finché la crisi dura.
__________
Riferimenti
Bindseil U.,
Manzanares A., & Weller, A. (2004). "The Role of Central Bank Capital
Revisited", Working Paper Series, no. 392, European Central Bank,
September.
Buiter, W.
(2008). "Can Central Banks Go Broke?", CEPR Policy Insight 24, 16
May.
Corsetti, G., & Dedola, L. (2013).
"Is the euro a foreign currency to member states?", VoxEU.org,
5 June.
De Grauwe, P.,&
Ji, Y. (2013). "Fiscal Implications of the ECB’s Bond
Buying Program (OMT)", University of Leuven,
mimeo.
European
Central Bank (2012). "Capital subscription", ECB.int, 27 December.
Friedman, M. &
Schwartz, A. (1961). A Monetary History of the US, Princeton University
Press, Princeton.
Krugman, P.
(2010). "Debt Deleveraging and the Liquidity Trap", VoxEU.org, 18
November.
Pringle, R.
(2003). "Why central banks need capital", Central Banking Journal,
August.
Stella, P.
(1997). "Do Central Banks Need Capital?", IMF Working Paper, no 83,
International Monetary Fund, Washington,
DC.
Note
1 Assumiamo qui che la banca centrale non possieda
passività in valuta estera. Se le possedesse la banca centrale potrebbe essere
spinta verso l’inadempienza su queste passività in valuta estera perché essa
può emettere solo passività nella valuta nazionale (Buiter, 2008).
2 Dunque non discutiamo del finanziamento monetario
diretto dei deficit di bilancio dello Stato.
3 Si vedano Friedman e Schwartz (1961) per un’analisi
della Grande Depressione negli Stati Uniti. Questi autori sostennero che la
Federal Reserve degli Stati Uniti fallì allora nell’incrementare la base
monetaria in modo sufficiente per contrastare le spinte verso la deflazione. La
quantità della moneta negli Stati Uniti di conseguenza di fatto diminuì,
rinforzando la deflazione.
[FINE]
* Il testo tra
parentesi quadrate è aggiunto.
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