Jörg Bibow
The Euro Has Yet to Produce Any Real Winner
Pubblicato il 9
agosto 2013 da e-International Relations qui.
Oltre l'Europa tedesca: trasferimenti fiscali o rottura dell'euro.
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
E’ quasi un luogo comune oggi che la
Germania sia la vincitrice della crisi dell’euro.
Reisenbichler e Morgan hanno
recentemente sostenuto che lo sia in un articolo pubblicato da Foreign Affairs,
anche se cautamente hanno aggiunto che i vantaggi che ipotizzano che la
Germania abbia conseguito potrebbero non durare. [i]
La miserabile verità, tuttavia, è che
l’euro non ha ancora prodotto alcun vero vincitore, mentre gli apparenti
vantaggi che la Germania avrebbe conseguito, in particolare grazie alla crisi
dell’euro, sono una grande illusione che presto svanirà.
Alla fine solo una ri-progettazione
sostanziale delle istituzioni e delle politiche della zona euro potrebbe aprire
la prospettiva di una unione di veri vincitori grazie all’euro.
Fuorviata da idee e credenze mal
concepite - e contro i suoi stessi interessi nazionali - la Germania sta
bloccando in modo deciso una tale evoluzione.
Le effettive politiche perseguite e
le riforme strutturali intraprese a partire dal 2009 sotto i diktat della
Germania hanno reso l’Europa progressivamente più vulnerabile, e ne hanno fatto
sempre più una minaccia per la stabilità mondiale.
Tuttora l’euro rimane fermamente diretto verso una rottura finale -
un evento che vedrebbe la Germania tra i maggiori perdenti.
Si considera la Germania come la
vincitrice della crisi dell’euro sulla base dell’evidenza dell’attuale basso
tasso di disoccupazione, del bilancio pubblico in pareggio e dei bassi costi
dell’indebitamento pubblico tedeschi.
Il contrasto con la situazione che
prevale in tutte le altre parti della zona euro è così forte che la Germania
attualmente beneficia di un flusso in ingresso di immigrati qualificati, che
danno un ulteriore sostegno alla sua economia e al suo mercato immobiliare.
Eppure lo stato dell’economia tedesca
è molto lontano dall’essere eccezionale e il fatto che l’attuale migliore
prestazione della Germania in termini relativi sia stata conseguita ampiamente
a spese dei suoi partner della zona euro dovrebbe provocare allarme anziché soggezione.
L’aspettativa di vita dell’euro è
sempre dipesa dalla convergenza all’interno dell’unione monetaria.
Invece, divergenze persistenti e il
corrispondente accumularsi di squilibri interni alla zona euro hanno non solo
creato la crisi attuale, ma anche l’illusione che la Germania - la sua
apparente vincitrice - debba avere compiuto tutte le scelte giuste e che debba
oggi essere il modello indiscusso che gli altri paesi devono seguire.
Ma considerare la Germania come l’esempio
per i paesi della zona euro costituisce una interpretazione gravemente errata
degli eventi.
Non solo l’attuale prestazione della
Germania deve essere esaminata in una prospettiva più ampia ma l’economia della
Germania con l’euro ha avuto un tasso di crescita medio pari a poco più
dell’uno per cento all’anno; una prestazione che difficilmente si può
considerare impressionante.
Si deve anche comprendere che la
Germania non può essere il modello che gli altri paesi devono seguire,
precisamente perché l’efficacia del modello tedesco dipende dal fatto che gli
altri paesi si comportino in modo diverso.
L’essenza del modello di crescita
tedesco basato sulle esportazioni [export-led growth model] è che esso
presuppone l’esistenza di paesi desiderosi di importare dalla Germania.
Il problema è che le autorità
tedesche sono profondamente incapaci di comprendere adeguatamente il modello
economico della Germania e le fonti del suo successo nelle condizioni storiche
specifiche.
Profondamente radicato nel sistema delle
convinzioni politiche ed economiche e nella “cultura della stabilità” della
Germania, c’è il mantra della Bundesbank che la stabilità dei prezzi causa la
crescita economica.
Il mantenimento della stabilità dei
prezzi ha davvero funzionato bene sia per la Germania che per la Bundesbank
prima dell’euro, quando i partner commerciali erano bloccati in un sistema di
tassi di cambio nominali stabili.
Perché in quelle condizioni il
mantenimento dell’inflazione tedesca al di sotto dell’inflazione dei principali
partner commerciali ha fatto esplodere la competitività della Germania e ha
oliato la sua macchina per le esportazioni.
Con la Bundesbank che manteneva sotto
controllo la politica fiscale e i sindacati, il modello ha funzionato bene nel
regime di Bretton Woods, quando le valute mondiali erano agganciate al dollaro.
Il modello è stato poi riavviato su
scala europea negli anni Ottanta, con il Sistema Monetario Europeo [European
Monetary System].
Una tardiva rivalutazione del marco
tedesco poteva allora temporaneamente ristabilire l’equilibrio nel commercio internazionale,
ma solo come punto di partenza per un nuovo ciclo di crescente competitività
tedesca ottenuta grazie alla stabilità relativa dei prezzi, con la Germania che
si affidava per la sua stessa crescita alla spesa eccessiva dei suoi partner
commerciali. [ii]
L’unione monetaria europea ha
costituito un impegno comune a mantenere l’inflazione al di sotto del due per
cento in ciascun paese, un elemento che ha cambiato il gioco.
Tuttavia, le autorità tedesche non
hanno colto la verità essenziale contenuta nel fatto che esportare il modello
tedesco all’intera Europa attraverso l’Unione Economica e Monetaria fondata sul
trattato di Maastricht avrebbe minato il funzionamento di questo modello per
gli stessi tedeschi.
Un modello la cui efficacia dipende
dal fatto che gli altri paesi si comportino diversamente non può funzionare se
si costringono tutti gli altri paesi a comportarsi come la Germania.
La stabilità e la coesione della zona
euro richiedono che gli andamenti dei costi del lavoro unitari nazionali siano
allineati con l’obiettivo comune [di un’inflazione] del due per cento.
Se però tutti gli altri paesi osservassero
la norma della storica stabilità tedesca essi getterebbero una chiave inglese
nel tradizionale motore tedesco per le esportazioni.
D’altra parte, divergenze persistenti
degli andamenti dei costi del lavoro unitari nazionali causerebbero il
disallineamento delle posizioni di competitività tra i paesi della zona euro -
senza che, con l’euro, il riallineamento dei tassi di cambio sia più un’opzione
per ristabilire l’equilibrio.
Quando negli anni Novanta il suo
motore per le esportazioni fallì nel guidare l’economia nel modo usuale, la
Germania si lanciò nella repressione salariale per “ristabilire” la sua
competitività.
La disoccupazione di massa,
attribuita generalmente alla riunificazione tedesca, sembrò offrire una scusa
perfetta.
Le “riforme Hartz” degli anni Duemila
furono semplicemente l’ultimo passo di un percorso che ha visto i costi unitari
del lavoro tedeschi allontanarsi sistematicamente verso il basso dalla norma
concordata per la stabilità [della zona euro], preparando il terreno per
l’attuale crisi dell’euro.
La persistente repressione dei salari,
unita all’austerità fiscale incondizionata, adottate nel nome della stabilità e
della crescita, hanno guadagnato alla Germania il titolo di “malato
dell’euro” negli anni Duemila.
Ancora peggio, mentre la Germania si
ammalava, e diventava sempre più malata, questo ha minato la politica monetaria
“unica” della Banca Centrale Europea.
Perché in una unione monetaria affinché
la stessa politica si adatti a tutti [“one size must fit all”, “una misura deve
andare bene per tutti”] è necessario che tutti siano pressappoco nelle stesse
condizioni.
Regolata per adattarsi alla media
della zona euro, la politica monetaria divenne troppo restrittiva per la
Germania ma troppo accomodante per altri paesi membri della zona euro,
alimentando bolle immobiliari nella periferia della zona euro
Mentre i prezzi degli immobili
scendevano in Germania, le fragilità finanziarie e le bolle che si accumulavano
altrove creavano quell’eccesso di spesa del quale la Germania aveva bisogno per
accendere il suo motore per le esportazioni, silenziosamente oliato con
graduali ma cumulativi guadagni di competitività.
Prima della crisi, i crescenti
squilibri esterni della Germania avevano la loro controparte principalmente in
Europa.
Questo rendeva la Germania molto
vulnerabile alla spesa eccessiva dei suoi partner europei, sia in termini
commerciali che finanziari.
Perché anche la finanza tedesca ha
favorito l’esplosione del credito nei paesi della zona euro colpiti dalla
crisi, attraverso rifinanziamenti concessi in modo liberale alle banche
spagnole e irlandesi ad esempio.
Un rifugio vulnerabile
I flussi dei prestiti privati, prima
esuberanti, sono terminati con la crisi dell’euro.
I prestiti ufficiali e il bilancio
della BCE sono accorsi per il salvataggio, fino a un certo punto, ma solo per
caricare ancora maggiori debiti sulle spalle di paesi già in difficoltà.
Alla fine, la Germania può soddisfare
il suo apparente desiderio di avanzi commerciali permanenti solo per mezzo di
trasferimenti fiscali.
E’ un’ironia che il mercantilismo
tedesco abbia reso l’unione fiscale inevitabile - quando un’unione fiscale è
ciò che il paese teme di più.
La Germania però continua a negarlo,
e sinora la crisi dell’euro le ha dato due importanti vantaggi: tassi di
interesse ultra bassi, grazie al fatto che è considerata un rifugio, e un tasso
di cambio dell’euro che è molto più debole di quello che sarebbe richiesto dal
saldo estero dell’economia tedesca.
Ma che la Germania possa aver vinto
la crisi dell’euro è un’illusione.
Le attività estere della Germania
comprendono enormi esposizioni verso i suoi partner della zona euro, compresi i
famigerati saldi TARGET2.
Una rottura dell’euro infliggerebbe
enormi perdite di ricchezza alla Germania insieme all’apprezzarsi di un nuovo
marco tedesco che paralizzerebbe il motore per le esportazioni tedesco. [iv].
Con così tanto da guadagnare
dall’evitare la calamità rappresentata dalla fine dell’euro, quale tipo di campanello
di allarme servirà per far uscire la leadership tedesca dalla trappola
intellettuale che si è costruita?
Proprio come la deflazione salariale
e un’austerità fiscale senza senso hanno reso la Germania malata negli anni
Duemila, oggi assistiamo a una cieca ripetizione di quell’esperienza in tutta
l’unione monetaria.
Il fatto che la Germania si sia
affidata come un parassita alla domanda estera ha causato l’attuale e
ampiamente irrisolta crisi dell’euro.
L’attuale condizione dell’economia
mondiale non sembra adatta a tollerare un simile tentativo da parte di una
Europa germanizzata.
L’unione monetaria europea deve
incominciare a gestire - piuttosto che soffocare sistematicamente - la domanda
interna.
Gli Stati Uniti, non il mercantilismo
tedesco, costituiscono il modello giusto per l’Europa.
Le istituzioni e le politiche devono
essere riformate di conseguenza.
__________
Jörg
Bibow è professore di economia presso lo Skidmore College (Saratoga
Springs, New York),
ricercatore associato presso il Levy Economics Institute of Bard College (Annandale-on-Hudson,
New York),
e membro del Bretton
Woods Committee (Washington,
DC). I suoi principali interessi di
ricerca sono la finanza internazionale e l’integrazione europea. Ha pubblicato
ampiamente su questi temi .
__________
RIFERIMENTI
Reisenbichler and Morgan (2013). “How German won the Euro Crisis”, Foreign Affairs, June 20.
[ii]
Bibow (2013). “On the Franco-German euro contradiction and ultimate euro battleground“, Contributions to Political Economy 32: 127-49. Levy Economics Institute, Working Paper no. 762, April.
[iii]
Bibow (2012). “The Euroland crisis and Germany’s euro trilemma“, International Review of Applied Economics Online. Levy Economics Institute, Working Paper no. 721, May.
[iv]
Bibow (2013). “Germany and the Euroland crisis: The making of a vulnerable haven“, Levy Economics Institute, Working Paper no. 767, June.
[FINE]
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