domenica 31 agosto 2014

La teoria delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione




Hyman P. Minsky

The Debt Deflation Theory of Great Depressions

20 aprile 1994, Testo preparato per l’Encyclopedia of Business Cycles.
Pubblicazione disponibile qui.



La teoria delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



La teoria delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione ha sia aspetti empirici che aspetti teorici.
L’aspetto empirico immediatamente osservabile è che con il passare del tempo le economie capitaliste mostrano condizioni di inflazione e di debito e deflazione [debt deflations] che possono andare fuori controllo. [1]
In questi processi le reazioni del sistema economico a un movimento dell’economia amplificano il movimento – l’inflazione alimenta l’inflazione, e la deflazione e i debiti alimentano la deflazione e i debiti.
Questi episodi storici costituiscono l’evidenza a sostegno dell’idea che l’economia capitalista non sempre si conformi ai precetti stabiliti da Smith e Walras secondo i quali le economie di mercato sono sistemi che si muovono verso l’equilibrio e che lo mantengono.
In alcune delle crisi verificatesi nella storia, gli interventi del governo diretti a contenere l’inflazione e il debito e la deflazione sono stati errati [inept].
L’errore [ineptness] è la conseguenza che ci si deve aspettare se si impiega come base per l’intervento una teoria economica che non contempla il comportamento non tendente all’equilibrio dei mercati [non-equilibrating behavior of markets].

The Debt Deflation Theory of Great Depressions [2] di Irving Fisher è la classica descrizione di un processo generato dal debito e dalla deflazione, e Maniacs, Panics and Crashes [3] di Charles Kindleberger descrive gli stadi attraverso i quali avvengono processi tendenti verso il disequilibrio che si rinforzano da sé [self sustaining disequilibratng processes]. Financial Crises [4] di Martin Wolfson esamina diverse teorie del ciclo economico basate sulle crisi finanziarie e offre una raccolta di dati sull’emergere di relazioni finanziarie che conducono all’instabilità finanziaria.

La teoria di Fisher basata sul debito e sulla deflazione descriveva le interazioni che si verificano in una condizione di debito e deflazione, non era una teoria di come le azioni dei banchieri, degli uomini d’affari e delle famiglie come possessori e gestori di portafogli avviano il processo.
Fisher enfatizzava il sovra-indebitamento come la condizione iniziale per una depressione causata dal debito e dalla deflazione, senza spiegare come questa condizione iniziale si generi, quale sia una misura di un indebitamento eccessivo e dove sia l’eccesso di debito.

Albert G. Hart, in The Twentieth Century Fund’s, Debts and Recovery, raccoglie l’evidenza del fatto che il sovra-indebitamento agì come un ostacolo a una completa ripresa dalle profondità della grande recessione degli anni 1929-1933. [5]

La teoria di Fisher era espressa in termini pre-keynesiani. Essa assumeva con disinvoltura che la teoria quantitativa della moneta fosse valida. Hyman Minsky ha riformulato la teoria di Fisher, basata sul debito e la deflazione, in un moderno linguaggio post-keynesiano. [6]

L’interpretazione di Minsky non dipende dall’assunzione di uno stretto legame, meccanico, tra l’offerta di moneta e i salari e i prezzi: la moneta è più direttamente legata ai prezzi delle attività che ai prezzi della produzione o dei salari nominali.
Nella sua interpretazione basata sulla instabilità finanziaria della teoria keynesiana, Minsky ha sviluppato una teoria che integra strettamente la struttura delle passività [liabilities structures] con il comportamento del sistema [system behavior].
Questo ha colmato la lacuna nella interpretazione di Fisher delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione: la teoria delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione di Fisher è un caso particolare della ipotesi della instabilità finanziaria [financial instability hypothesis] di Keynes e Minsky.

Come teoria economica, l’ipotesi della instabilità finanziaria è una interpretazione della General Theory of Employment, Interest and Money di Keynes [7,8].
La teoria dell’ipotesi della instabilità finanziaria parte dalla caratterizzazione dell’economia come una economia capitalista con costosi beni capitali [capital assets] e un complesso e sofisticato sistema finanziario.
Seguendo Keynes, il problema economico è identificato come lo “sviluppo del capitale dell’economia” [capital development of the economy] anziché come “l’allocazione di date risorse tra impieghi alternativi” [allocation of given resources among alternative employments] di Knight.
L’attenzione è posta su di una economia capitalista che accumula capitale muovendosi nel tempo reale [an accumulating capitalist economy that moves through real calender time].

Lo sviluppo del capitale di una economia capitalista è accompagnato dagli scambi di denaro nel presente in cambio di denaro nel futuro [exchanges of present money for future money] e dall’ampia accettazione delle passività correnti [contingent liabilities], specialmente da parte del sistema finanziario.
Il denaro nel presente paga per la produzione di beni di investimento, mentre il denaro nel futuro è costituito dai “profitti” che si accumuleranno quando i beni capitali saranno impiegati nella produzione: le passività correnti delle istituzioni finanziarie conducono a una accettazione degli strumenti rappresentanti passività maggiore di quella che si avrebbe altrimenti.
In una economia capitalista le passività, che sono impegni a pagare denaro a date specificate o al verificarsi di determinate condizioni, finanziano il controllo sullo stock di capitale.
Per ogni unità economica le passività presenti nel suo bilancio determinano una serie temporale di impegni di pagamento assunti a date determinate o al verificarsi di determinate condizioni, anche se i beni capitali generano una serie temporale di flussi di cassa in entrata solo congetturati.

Perciò in una economia capitalista il passato, il presente e il futuro sono collegati non solo dalle caratteristiche dei suoi beni capitali e della sua forza lavoro ma anche dalle relazioni finanziarie.
Le relazioni finanziarie principali collegano la creazione e il possesso dei beni capitali con la struttura delle relazioni finanziarie e con i cambiamenti in questa struttura.
La complessità istituzionale si manifesta nei diversi strati di intermediazione tra gli effettivi possessori della ricchezza della società e le unità che controllano e gestiscono la ricchezza della società.

Le aspettative riguardanti i profitti che le imprese possono conseguire determinano sia il flusso dei contratti di finanziamento [financing contracts] delle imprese che il prezzo di mercato dei contratti di finanziamento esistenti.
La realizzazione dei profitti da parte delle imprese determina se gli impegni assunti nei contratti di finanziamento sono soddisfatti oppure no, e se le attività finanziarie danno i risultati indicati nei documenti esaminati nel corso delle negoziazioni [tra le imprese e le istituzioni finanziarie] oppure no.

Nel mondo moderno l’analisi delle relazioni finanziarie e delle loro implicazioni per il comportamento del sistema non può essere ristretta alla struttura delle passività delle imprese e ai flussi di cassa che esse comportano.
Le famiglie possono indebitarsi per acquistare automobili e case, con le carte di credito e possono acquistare attività finanziarie. I governi hanno ampi debiti, sia a breve che a lunga scadenza [floating and funded debts].
A causa dell’internazionalizzazione della finanza la bilancia commerciale di una economia è collegata con la necessità di validare gli impegni di pagamento.

Una caratteristica dominante delle moderne economie capitaliste è la struttura delle passività che può essere validata o non validata dai risultati correnti e dai risultati futuri attesi dell’economia.

Una crescente complessità della struttura finanziaria e un maggiore coinvolgimento dei governi nella veste di rifinanziatori sia delle istituzioni finanziarie che delle normali imprese, entrambe caratteristiche marcate del mondo moderno, possono rendere il comportamento attuale del sistema diverso da quello tipico dei periodi passati.
In particolare, la molto maggiore partecipazione dei governi nazionali nell’assicurare che la finanza non degeneri come nel periodo degli anni 1929-1933 significa che la vulnerabilità verso il basso dei flussi di profitto aggregato è stata molto ridotta.
Tuttavia, gli stessi interventi possono bene indurre un maggior grado di distorsione verso l’alto, cioè inflazionistica, all’economia.

Nonostante la maggiore complessità delle attuali relazioni finanziarie rispetto al passato, la determinante principale del comportamento del sistema rimane il livello dei profitti.
La teoria delle grandi depressioni come effetto del debito e della deflazione così come la più generale ipotesi della instabilità finanziaria incorporano la visione di Kalecki e Levy dei profitti [9], secondo la quale la struttura della domanda aggregata determina i profitti.
Nel modello più semplice, con un comportamento di consumo estremamente semplificato da parte dei percettori di profitti e salari, in ogni periodo i profitti aggregati sono pari agli investimenti aggregati.
In un modello più complicato, ma ancora molto astratto, i profitti aggregati sono pari alla somma degli investimenti aggregati e del disavanzo pubblico.
Dato che le aspettative di profitti dipendono degli investimenti che saranno realizzati nel futuro e i profitti realizzati dipendono dagli investimenti, che le passività siano validate oppure no dipende dagli investimenti.
Gli investimenti hanno luogo oggi perché gli uomini d’affari e i loro banchieri si aspettano che investimenti avranno luogo nel futuro.

L’ipotesi della instabilità finanziaria perciò è una teoria dell’impatto del debito sul comportamento del sistema e del modo in cui il debito è validato.
In contrasto con la teoria quantitativa della moneta ortodossa, l’ipotesi della instabilità finanziaria prende sul serio l’attività bancaria come una attività che mira al conseguimento di profitti.
Le banche ricercano il profitto finanziando le attività e i banchieri, come tutti gli imprenditori in una economia capitalista, sono consapevoli dal fatto che l’innovazione assicura profitti.
Così i banchieri, utilizzando questo termine in modo generale per indicare tutti gli intermediari finanziari, sia che siano mediatori o rivenditori [broker or dealers], sono mercanti del debito che si sforzano di introdurre delle innovazioni nelle attività che acquistano e nelle passività che vendono.
Questa caratteristica innovativa dell’attività bancaria e finanziaria invalida l’assunzione fondamentale della teoria quantitativa della moneta ortodossa che esista qualcosa come una immutabile “moneta” la cui velocità di circolazione sia così sufficientemente vicina all’essere costante che cambiamenti dell’offerta di questa moneta siano legati con una relazione lineare proporzionale a un ben definito livello dei prezzi.

Possono essere individuate tre relazioni tra il reddito e il debito [income-debt relations] per le unità economiche, che sono indicate come coperta, speculativa, e finanza Ponzi.
Le unità con una posizione finanziaria coperta [hedge financing units] sono quelle unità che possono soddisfare tutte le loro obbligazioni contrattuali di pagamento con i loro flussi di cassa: maggiore è il peso del finanziamento con capitale proprio [equity financing] nella struttura finanziaria di una unità e maggiore è la probabilità che sia una unità con una posizione finanziaria coperta.
Le unità con una posizione finanziaria speculativa [speculative financing units] sono quelle unità che possono soddisfare i loro impegni di pagamento sulle loro passività nel conto economico [on income account] anche se non possono rimborsare il capitale preso in prestito con i loro flussi di cassa in entrata.
Queste unità devono rinnovare [roll over] le loro passività: devono emettere nuovo debito per poter rimborsare il debito giunto a scadenza. I governi con debiti a breve termine, le società per azioni con obbligazioni a breve scadenza, e le banche sono tipicamente unità con una posizione finanziaria speculativa.
Per le unità con una posizione finanziaria Ponzi i flussi di cassa derivanti dall’attività non sono sufficienti né per il pagamento del capitale preso in prestito né per il pagamento degli interessi sul debito esistente.
Queste unità possono o vendere le attività che possiedono o indebitarsi. Indebitarsi per pagare gli interessi o vendere le attività per pagare gli interessi e anche i dividendi alle azioni comuni diminuisce il capitale proprio di una unità anche se incrementa le passività e l’impegno già deciso dei futuri redditi.
Una unità con una posizione finanziaria Ponzi riduce il margine di sicurezza che offre ai detentori dei suoi debiti.

Si può mostrare che se la posizione finanziaria coperta domina allora l’economia può ben essere un sistema che tende verso l’equilibrio e che lo conserva e che maggiore è il peso delle posizioni finanziarie speculative e Ponzi e maggiore è la probabilità che l’economia sia un sistema che amplifica le deviazioni [dall’equilibrio].

Il primo teorema della ipotesi della instabilità finanziaria è che l’economia possiede regimi finanziari nei quali è stabile e regimi finanziari nei quali è instabile
Il secondo teorema della ipotesi della instabilità finanziaria è che nel corso dei periodi di prolungata prosperità l’economia passa dalle relazioni finanziarie che la rendono un sistema stabile alle relazioni finanziarie che la rendono un sistema instabile: il debito e la deflazione e il sovra-indebitamento sono le naturali conseguenze del modo in cui le disposizioni nei confronti del rischio sono influenzate da una serie di successi in un mondo nel quale le proprietà evolutive del sistema rendono non chiaro se il mondo continui a comportarsi ora come si comportava nel passato.

L’ipotesi della instabilità finanziaria è un modello di una economia capitalista che non si basa su shock esogeni per la generazione di cicli economici di severità variabili: l’ipotesi afferma che i cicli economici della storia sono il risultato congiunto delle dinamiche interne delle economie capitaliste e del sistema di interventi e regolazioni che sono progettati per mantenere l’attività economica all’interno di confini ragionevoli.
Come tale, l’ipotesi della instabilità finanziaria incorpora la teoria delle grandi deflazioni come effetto del debito e della deflazione come una parte del processo interattivo che caratterizza una moderna economia capitalista.


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[1]           L’esperienza dell’economia statunitense negli anni 1988-1992 può essere interpretata come una condizione di debito e deflazione stroncata sul nascere nella quale il salvataggio dei depositanti delle Savings and Loan e delle banche dapprima da parte dei Deposit Insurance Funds [fondi per l’assicurazione dei depositi] e poi da parte del Federal Treasury [Tesoro Federale] prevenirono il trasferimento delle perdite delle istituzioni finanziarie sui portafogli da esse posseduti ai detentori delle passività di queste istituzioni.
[2]           Fisher, Irving. 1933. “The Debt Deflation Theory of Great Depressions.” Econometrica 1:337-57
[3]           Kindleberger, Charles. 1978. Manias, Panics and Crashes New Tork Basic Books
[4]           Wolfson, Martin H. 1986. Financial Crises. Armonk New York, M.E. Scarpe Inc.
[5]           The Twentieth Century Fund, Debts and Recovery 1937. Albert G. Hart è indicato come “ [sic]
[6]           Hyman P. Minsky. 1982. “Debt Deflation Processes in Today’s Institutional Environment”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review, Number 143 (December 1982)
[7]           Keynes, John Maynard. 1936. The General Theory of Employment, Interest and Money. New York: Harcourt Brace.
[8]           L’ipotesi della instabilità finanziaria si basa anche sulla visione della moneta e della finanza come credito esposta da Joseph Schumpeter in The Theory of Economic Development, specialmente nel capitolo 3.
Schumpeter, Joseph A, 1934 The Theory of Economic Development. Cambridge, Mass.Harvard University Press
[9]           Kalecki, Michal. 1965. Theory of Economic Dynamics. London: Allen and Unwin
Levy S. Jay and David A. Profits and the Future of American Society. New York, Harper and Row.
Minsky, Hyman P. 1986. Op. cit.


[FINE]


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