Heiner Flassbeck
Avis de tempête sur l'Union monétaire européenne
Le Monde, 5 marzo 2010.
Pubblicazione disponibile qui.
L’Unione monetaria europea è incompatibile con il dumping salariale tedesco
[ Traduzione di Giorgio D.M. ]
Nella marea di prese di posizione e di commenti pubblicati
dalla stampa europea in queste ultime settimane sulla Grecia, ben pochi sono stati
quelli che si sono occupati degli stretti legami tra la zona euro e la crisi.
La maggior parte dei commentatori trattano dei problemi
interni della Grecia e degli altri paesi meridionali dell'Unione monetaria
europea come se essi fossero totalmente indipendenti dal commercio
internazionale, sia tra i paesi dell’Unione che con il resto del mondo.
Pochi hanno fatto notare gli enormi squilibri commerciali interni
all’Unione monetaria europea e il fatto che essi generano una situazione fiscale
insostenibile.
Nessuno ha tentato una valutazione equilibrata dei problemi interni
all'Unione né ha identificato le loro cause.
Non c'è alcun dubbio che i deficit di bilancio siano un
grosso problema.
Tuttavia è un fatto che sono gli squilibri internazionali quelli
che potrebbero condurre ad una dissoluzione dell’Unione monetaria europea, se
non si prendono rapidamente misure correttive draconiane.
Eppure, nessuna forte azione politica sarà possibile fintanto
che queste evidenze resteranno dei tabù perché gli stati politicamente forti dell'Unione
monetaria europea non vogliono mettere in discussione la teoria tradizionale
sulla flessibilità del mercato del lavoro.
La Grecia non è che la punta dell'iceberg.
Nel 2007, il disavanzo delle sue partite correnti aveva già raggiunto
quasi il 15% del suo PIL, per poi diminuire lievemente con il calo delle importazioni
dovuto alla recessione.
Cos'è andato male?
Tra il 2000 e il 2010, le esportazioni nette della Grecia
hanno ristagnato mentre la sua domanda interna è aumentata al rispettabile
tasso annuale del 2,3%, secondo le stime della Commissione Europea.
I redditi da lavoro reali annuali per addetto sono aumentati dell’1,9%,
un po' meno della produttività.
Il costo unitario del lavoro, la più importante misura della
competitività in una unione monetaria, è aumentato del 2,8% all'anno, raggiungendo
un livello pari a 130 nel 2010 (base 100 nel 2000).
Nello stesso tempo, la maggiore economia dell'Unione
monetaria europea, la Germania, accumulava un enorme avanzo delle sue partite
correnti, arrivando all'8% del suo PIL nel 2007.
Cos'è andato bene?
Tra il 2000 e il 2010, le esportazioni nette della Germania
sono esplose mentre la sua domanda interna stagnava, con un insignificante
tasso di crescita dello 0,2% all'anno.
Un crescita quasi nulla dei redditi da lavoro - solo lo 0,4% all'anno,
molto al di sotto degli incrementi di produttività - spiega il rallentamento
della domanda interna, la compressione salariale non ha condotto alla prevista
creazione di posti di lavoro.
In questi ultimi dieci anni il costo unitario del lavoro in
Germania non è cresciuto che solo marginalmente, raggiungendo un livello pari a
105 nel 2010.
Questo significa semplicemente che un bene o un servizio che
era prodotto allo stesso costo da tutti i membri dell’Unione monetaria europea nel
2000, e che poteva dunque essere venduto allo stesso prezzo, oggi costa il 25%
in più se è prodotto in Grecia di quanto costa se è prodotto in Germania.
La differenza con la Germania è dello stesso ordine di grandezza
per la Spagna, il Portogallo e l'Italia.
Ed è del 13% anche per la Francia, sebbene la Francia sia l'unico
paese nel quale il costo unitario del lavoro è cresciuto seguendo rigorosamente
l'obiettivo di un tasso di inflazione vicino al 2% stabilito dalla Banca Centrale
Europea.
Come il presidente e il capo degli economisti della Banca Centrale
Europea, alcuni funzionari ritengono che questa differenza non sia
significativa perché la Germania soffriva di uno svantaggio assoluto prima
della creazione dell’Unione monetaria europea, a causa del costo della
riunificazione tedesca.
La logica tuttavia li smentisce.
Se il risultato della compressione dei salari da parte della
Germania fosse stato solo l’eliminazione di uno svantaggio assoluto, essa non
si ritroverebbe ora con un vantaggio assoluto.
Eppure, è proprio questo quello che sta avvenendo alla Germania.
La Germania è l'unico grande paese europeo che ha potuto
stabilizzare la sua quota di mercato mondiale negli ultimi dieci anni, quando
tutti gli altri, compresa la Francia, l'hanno vista diminuire fortemente.
Questo conduce all'ultima linea della difesa tedesca, secondo
la quale il dumping salariale tedesco sarebbe stato giustificato da una elevata
disoccupazione, e continuerebbe ad esserlo.
Altro errore: la disoccupazione in Germania è diminuita ma
resta al livello prevalente in Francia e in altri Paesi perché la debolezza
della domanda interna compensa il dinamismo della domanda estera.
Inoltre, i paesi che desiderano esercitare una pressione
verso il basso sui salari per ragioni interne non dovrebbero entrare in una
unione monetaria se non vogliono o non possono convincere gli altri paesi membri
a fare altrettanto.
Ancora peggio, la Germania è entrata in una Unione monetaria che
ha l’obiettivo di un tasso di inflazione vicino al 2%, non di un tasso di
inflazione massimo del 2%.
Di fatto, l'inflazione e il costo unitario del lavoro, che
sono fortemente correlati, hanno avuto un andamento in Germania molto al di
sotto di questa norma del 2%.
Questo ha costituito, da parte del governo tedesco, una
chiara violazione dell'obiettivo comune riguardante l’inflazione fissato dall’Unione
monetaria europea, ed ha esercitato in questo modo un’enorme pressione sulle
contrattazioni salariali che si sono concluse con un aumento del costo della
mano d'opera vicino allo zero.
I leader europei hanno torto nel credere che ci sarà
un'uscita dalla crisi greca, spagnola, portoghese o una qualsiasi altra soluzione
nazionale all'interno dell’Unione monetaria europea.
Se la Germania continua a stringere la cinghia, e tutto porta
a credere che lo farà, questi paesi e la Francia saranno costretti ad abbassare
i loro salari in termini assoluti.
Questo provocherà la deflazione e la depressione in tutta l’Europa,
che non potrà rinascere dalle sue ceneri fintanto che la sopravvalutazione
delle valute nazionali non potrà essere corretta con una svalutazione.
La crisi europea non è una tragedia greca.
Se l'Europa non può accordarsi per una azione comune,
prendendo delle decisioni chiare sull’evoluzione dei salari su di un orizzonte
temporale di molti anni, o persino decenni, con lo scopo di riequilibrare il
suo commercio, allora tutti i paesi dell'Europa del Sud, inclusa la Francia, devono
considerare l’uscita dall'Unione monetaria.
L’economia di nessun paese al mondo può sopravvivere se tutte
le sue imprese hanno uno svantaggio assoluto nei confronti dei principali concorrenti
internazionali.
[FINE]
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