venerdì 22 agosto 2014

L’Unione monetaria europea è incompatibile con il dumping salariale tedesco




Heiner Flassbeck

Avis de tempête sur l'Union monétaire européenne

Le Monde, 5 marzo 2010.
Pubblicazione disponibile qui



L’Unione monetaria europea è incompatibile con il dumping salariale tedesco  

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



Nella marea di prese di posizione e di commenti pubblicati dalla stampa europea in queste ultime settimane sulla Grecia, ben pochi sono stati quelli che si sono occupati degli stretti legami tra la zona euro e la crisi.
La maggior parte dei commentatori trattano dei problemi interni della Grecia e degli altri paesi meridionali dell'Unione monetaria europea come se essi fossero totalmente indipendenti dal commercio internazionale, sia tra i paesi dell’Unione che con il resto del mondo.
Pochi hanno fatto notare gli enormi squilibri commerciali interni all’Unione monetaria europea e il fatto che essi generano una situazione fiscale insostenibile.
Nessuno ha tentato una valutazione equilibrata dei problemi interni all'Unione né ha identificato le loro cause.
Non c'è alcun dubbio che i deficit di bilancio siano un grosso problema.
Tuttavia è un fatto che sono gli squilibri internazionali quelli che potrebbero condurre ad una dissoluzione dell’Unione monetaria europea, se non si prendono rapidamente misure correttive draconiane.

Eppure, nessuna forte azione politica sarà possibile fintanto che queste evidenze resteranno dei tabù perché gli stati politicamente forti dell'Unione monetaria europea non vogliono mettere in discussione la teoria tradizionale sulla flessibilità del mercato del lavoro.

La Grecia non è che la punta dell'iceberg.
Nel 2007, il disavanzo delle sue partite correnti aveva già raggiunto quasi il 15% del suo PIL, per poi diminuire lievemente con il calo delle importazioni dovuto alla recessione.

Cos'è andato male?
Tra il 2000 e il 2010, le esportazioni nette della Grecia hanno ristagnato mentre la sua domanda interna è aumentata al rispettabile tasso annuale del 2,3%, secondo le stime della Commissione Europea.
I redditi da lavoro reali annuali per addetto sono aumentati dell’1,9%, un po' meno della produttività.
Il costo unitario del lavoro, la più importante misura della competitività in una unione monetaria, è aumentato del 2,8% all'anno, raggiungendo un livello pari a 130 nel 2010 (base 100 nel 2000).
Nello stesso tempo, la maggiore economia dell'Unione monetaria europea, la Germania, accumulava un enorme avanzo delle sue partite correnti, arrivando all'8% del suo PIL nel 2007.

Cos'è andato bene?
Tra il 2000 e il 2010, le esportazioni nette della Germania sono esplose mentre la sua domanda interna stagnava, con un insignificante tasso di crescita dello 0,2% all'anno.
Un crescita quasi nulla dei redditi da lavoro - solo lo 0,4% all'anno, molto al di sotto degli incrementi di produttività - spiega il rallentamento della domanda interna, la compressione salariale non ha condotto alla prevista creazione di posti di lavoro.
In questi ultimi dieci anni il costo unitario del lavoro in Germania non è cresciuto che solo marginalmente, raggiungendo un livello pari a 105 nel 2010.

Questo significa semplicemente che un bene o un servizio che era prodotto allo stesso costo da tutti i membri dell’Unione monetaria europea nel 2000, e che poteva dunque essere venduto allo stesso prezzo, oggi costa il 25% in più se è prodotto in Grecia di quanto costa se è prodotto in Germania.
La differenza con la Germania è dello stesso ordine di grandezza per la Spagna, il Portogallo e l'Italia.
Ed è del 13% anche per la Francia, sebbene la Francia sia l'unico paese nel quale il costo unitario del lavoro è cresciuto seguendo rigorosamente l'obiettivo di un tasso di inflazione vicino al 2% stabilito dalla Banca Centrale Europea.

Come il presidente e il capo degli economisti della Banca Centrale Europea, alcuni funzionari ritengono che questa differenza non sia significativa perché la Germania soffriva di uno svantaggio assoluto prima della creazione dell’Unione monetaria europea, a causa del costo della riunificazione tedesca.
La logica tuttavia li smentisce.
Se il risultato della compressione dei salari da parte della Germania fosse stato solo l’eliminazione di uno svantaggio assoluto, essa non si ritroverebbe ora con un vantaggio assoluto.
Eppure, è proprio questo quello che sta avvenendo alla Germania.
La Germania è l'unico grande paese europeo che ha potuto stabilizzare la sua quota di mercato mondiale negli ultimi dieci anni, quando tutti gli altri, compresa la Francia, l'hanno vista diminuire fortemente.

Questo conduce all'ultima linea della difesa tedesca, secondo la quale il dumping salariale tedesco sarebbe stato giustificato da una elevata disoccupazione, e continuerebbe ad esserlo.
Altro errore: la disoccupazione in Germania è diminuita ma resta al livello prevalente in Francia e in altri Paesi perché la debolezza della domanda interna compensa il dinamismo della domanda estera.

Inoltre, i paesi che desiderano esercitare una pressione verso il basso sui salari per ragioni interne non dovrebbero entrare in una unione monetaria se non vogliono o non possono convincere gli altri paesi membri a fare altrettanto.

Ancora peggio, la Germania è entrata in una Unione monetaria che ha l’obiettivo di un tasso di inflazione vicino al 2%, non di un tasso di inflazione massimo del 2%.
Di fatto, l'inflazione e il costo unitario del lavoro, che sono fortemente correlati, hanno avuto un andamento in Germania molto al di sotto di questa norma del 2%.
Questo ha costituito, da parte del governo tedesco, una chiara violazione dell'obiettivo comune riguardante l’inflazione fissato dall’Unione monetaria europea, ed ha esercitato in questo modo un’enorme pressione sulle contrattazioni salariali che si sono concluse con un aumento del costo della mano d'opera vicino allo zero.

I leader europei hanno torto nel credere che ci sarà un'uscita dalla crisi greca, spagnola, portoghese o una qualsiasi altra soluzione nazionale all'interno dell’Unione monetaria europea.
Se la Germania continua a stringere la cinghia, e tutto porta a credere che lo farà, questi paesi e la Francia saranno costretti ad abbassare i loro salari in termini assoluti.
Questo provocherà la deflazione e la depressione in tutta l’Europa, che non potrà rinascere dalle sue ceneri fintanto che la sopravvalutazione delle valute nazionali non potrà essere corretta con una svalutazione.

La crisi europea non è una tragedia greca.

Se l'Europa non può accordarsi per una azione comune, prendendo delle decisioni chiare sull’evoluzione dei salari su di un orizzonte temporale di molti anni, o persino decenni, con lo scopo di riequilibrare il suo commercio, allora tutti i paesi dell'Europa del Sud, inclusa la Francia, devono considerare l’uscita dall'Unione monetaria.

L’economia di nessun paese al mondo può sopravvivere se tutte le sue imprese hanno uno svantaggio assoluto nei confronti dei principali concorrenti internazionali.



[FINE]


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