lunedì 20 ottobre 2014

Altre strade per l’Europa


  
Il 6 dicembre 1978, dopo la conclusione del vertice di Bruxelles del giorno prima, si era certi che l’Italia non avrebbe aderito al Sistema Monetario Europeo.
Sotto al titolo della prima pagina: “Tre assenti e non è più Sme. Italia, Gran Bretagna e Irlanda dicono no al nuovo Sistema monetario”, Il Sole 24 Ore pubblicò questo editoriale.
Nella stessa pagina si esprimevano contro l’adesione allo Sme: Luciano Barca, deputato comunista; Luigi Spaventa, deputato della Sinistra indipendente; e Mario Monti, con un lungo articolo.
Pericolo scampato, ma solo per qualche giorno.




Alfredo Recanatesi

Altre strade per l’Europa

Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 1978.



Altre strade per l'Europa 




Il disegno di un’Europa che potesse unificarsi attraverso la finestra dei vincoli valutari anziché attraverso la porta dell’armonizzazione economica, è nuovamente caduto.
Ancora una volta si è dimostrato che sistemi economici eterogenei non possono superare questa eterogeneità attraverso una stabilizzazione dei cambi tra le loro monete che dell’armonizzazione economica può essere semmai il coronamento formale, non certo il fondamento.

In quanto riteniamo che il fallimento del vertice di Bruxelles vada fatto risalire alle oggettive difficoltà che ciascun governo ha di premiare la causa europea rispetto ai più immediati e stringenti problemi nazionali, crediamo che ogni drammatizzazione sarebbe fuori luogo.
In fin dei conti a Bruxelles ha prevalso il realismo, laddove nel 1972 prevalse l’utopia.
Nessuno può compiacersi di questa realtà, ma nessuno avrebbe dovuto illudersi di poterla facilmente scavalcare ritenendo possibile che le oggettive esigenze di un Paese come la Germania, la cui posizione strutturalmente eccedentaria è frutto di una peculiare e indiscussa scelta politica, potessero essere accordate con quelle di un’Italia, la quale ha problemi che possono essere risolti solo in un quadro di congiuntura internazionale espansiva.

Trascurare questa elementare realtà è stato l’errore compiuto, per un motivo o per l’altro, da tutte le delegazioni: da quella tedesca, la quale ha cercato nello Sme solo uno strumento per poter ripartire sugli altri partner il rovescio della medaglia della sua posizione eccedentaria; e quella francese, che nel nuovo accordo vedeva e vede solo un supporto alla politica economica che il governo Barre intende attuare; a quella italiana, la quale anziché impostare la trattativa sul quadro di politica economica comunitaria che costituisce ad un tempo un progresso sulla via dell’armonizzzazione e la necessaria premessa alla soluzione dei suoi specifici problemi, si è addentrata nella trattativa sui particolari tecnici, come la fascia di oscillazione, e su discutibili contropartite, come le agevolazioni comunitarie per gli investimenti nel Mezzogiorno, esponendosi alla sortita di Giscard, certo teatrale, ma non per questo meno fondata.

Fin dall’inizio il nuovo Sme era apparso come un punto di incontro franco-tedesco; è logico che con questa forma prenda vita il 1° gennaio prossimo perdendo una caratterizzazione politica che altro non avrebbe significato se non un allineamento forzato e - continuiamo a ritenere - negativo su quel punto di incontro.

La delegazione italiana di errori ne ha commessi molti, ma l’esito negativo del vertice non può essere imputato ad essa.
Nessuno può accusarla per non aver aderito ad un accordo col quale, in cambio di qualche contentino, avrebbe dovuto mettersi da parte nel fare concorrenza alla produzione tedesca, posto che la Germania non intende rinunciare al suo grado di stabilità monetaria interna (invidiabile, forse, ma decisamente atipico) e posto che in nessun caso l’Italia può collocare nel suo orizzonte un contenimento dell’inflazione alla dimensione tedesca.

Al governo però si pone un problema: quello di ricondurre sul piano interno le motivazioni di una politica economica che con troppa enfasi aveva impostato sull’adesione allo Sme.
Il fatto che non abbia aderito non costituisce alcuna contraddizione di quella politica economica, ma è imminente il rischio che possa essere colto come pretesto per rafforzare le critiche e, soprattutto, le contravvenzioni alla logica di quella politica.

Sarà quindi opportuno che sollecitamente e fermamente quella politica venga confermata in quanto unica via per risolvere i nostri problemi.
La necessità di controllare rigorosamente l’inflazione ha solide motivazioni autonome per essere perseguita anche al di fuori di un’ottica di integrazione valutaria europea, così come l’esigenza di evitare svalutazioni della lira non viene meno con il fallimento del rendez-vous con le altre monete comunitarie.
E’ una linea questa, il cui orientamento sull’Europa oggi appare più come una coincidenza che come una motivazione; tanto meglio se, lungo la strada della sua attuazione, potremo incontrare altri membri della comunità che nel frattempo abbiano compiuto qualche passo verso di noi.


[FINE]


N.B.        Il grassetto è mio.


4 commenti:

  1. Di seguito una testimonianza di Giorgio La Malfa che probabilmente oggi ritratterebbe:
    http://archiviostorico.corriere.it/2002/gennaio/03/Malfa_mio_padre_costrinse_Andreotti_co_0_0201032890.shtml

    Quanto agli effetti dell'entrata nello SME ed al ruolo della Banca Centrale ti segnalo :
    Federico Caffè "La dignità del Lavoro, pagg. 145-146 (lezione di politica economica tenuta alla Cgil di ariccia nel 1980)

    La banca centrale è un organismo che conserva un insieme di poteri, un insieme di attività, di direttive, di autonomie piuttosto notevoli, ed è suo compito procedere a certe forme di azione che fa, dal suo punto di vista, nell’interesse della collettività. Però ci sono delle attività estremamente discrezionali da parte della Banca Centrale le quali, a mio avviso, in un capitalismo intelligente andrebbero sorvegliate, vale a dire non sottratte al controllo del Parlamento.
    Faccio un esempio: voi sapete che esiste un rapporto tra lira e dollaro che si chiama tasso di cambio, sapete che esiste una quotazione del dollaro ed esiste una quotazione della lira. Ora la Banca Centrale in certe circostanze, per mantenere la quotazione della lira a un certo livello […] la doveva comprare e per comprarla doveva dare dei dollari attingendoli dalle riserve valutarie. Questo per cifre ingentissime, per milioni e milioni di dollari, mentre poi nel bilancio pubblico non si trovano dei fondi, non so, per fare delle case popolari per risanare una certa zona, per rimboscare una certa zona. C’è questa tradizione, una tradizione secolare per cui si ha questa autonomia di comportamento della Banca Centrale; è possibile mantenere un certo cambio senza rendere conto al Parlamento.[…]
    Noi adesso entriamo in un accordo monetario europeo che implica alla nostra lira di doversi mantenere in un certo tunnel, chiamiamolo così senza entrare in particolari più tecnici, oppure scendere svalutando. Ora per evitare il provvedimento della svalutazione, per fare in modo che la lira si mantenga in questo tunnel, la Banca d’Italia potrebbe nel momento che la lira è offerta molto, è debole, comprarla, utilizzando questi 6 miliardi di riserve che ha, ma sarebbe la maniera più stupida di utilizzarli…per un momento di questo genere è molto più utile uscire fuori dal serpente monetario, svalutando la lira e poi eventualmente rientrarci.

    Sorvolo sul Governatore che si comportò in modo ancor più stupido (bruciò le riserve valutarie e poi comunque uscì dallo sme) di quello paventato da Caffè:





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    1. Grazie. :)

      Sul comportamento di Ciampi mi pare che abbia scritto chiaramente Augusto Graziani, ad esempio in alcuni degli articoli raccolti nel libro "I conti senza l'oste".

      Quanto a La Malfa jr., francamente, dubito che suo padre possa aver avuto un tale potere di interdizione.

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  2. Scoprire che nulla è nascosto è sempre piacevole, basta informarsi, leggere, capire quel che serve capire e unire i punti vien da se.

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