sabato 18 ottobre 2014

La moneta non è soltanto per iniziati




Guido Carli

Come vivere col serpente

La Repubblica, 15 dicembre 1978.



La moneta non è soltanto per iniziati



Il dibattito pubblico sulla partecipazione dell’Italia al sistema monetario europeo è stato inquinato dall’intreccio di argomentazioni economiche e di argomentazioni politiche e i disputanti volta a volta hanno attribuito peso maggiore alle une e alle altre secondo obiettivi di natura politica.

Ma la vocazione antica al Sant’Uffizio e alla scomunica per i dissenzienti è riapparsa; chi esprimeva perplessità ragionevoli sul sistema monetario europeo veniva catalogato fra i nemici dell’Europa; nell’assunto inaccettabile che essere in Europa equivale a dir sempre sì.

In simili occasioni i contendenti mirano ad acquisire al sostegno delle proprie tesi il parere dell’organo tecnico: nel caso in specie, la Banca d’Italia.
Costituisce motivo di soddisfazione il constatare la imparzialità con la quale la Banca ha seguitato ad assolvere l’ufficio di suprema magistratura dell’economia.
Essa ha proseguito nel rivolgersi all’opinione, alle forze politiche, alle forze sociali senza temere di riuscire molesta ai destinatari e qualche volta provocando a se stessa l’amarezza di risposte insofferenti.

Esprimere un giudizio sulle conseguenze di carattere economico riesce arduo nell’assenza d’informazioni compiute.
Si dispone del testo della risoluzione del Consiglio europeo del 5 dicembre, ma non dei pareri espressi dal Comitato monetario e dal Comitato dei Governatori. Le stesse informazioni deducibili dai resoconti parlamentari non arricchiscono apprezzabilmente l’informazione che l’opinione possiede.

Nonostante il difetto d’informazione oserei esprimere il convincimento che la delegazione presieduta dall’onorevole Andreotti ha conseguito risultati soddisfacenti nelle definizione della risoluzione concernente la istituzione di un sistema monetario europeo.
Ovviamente un accordo internazionale istituisce vincoli ed è sempre possibile immaginare di allentare quelli applicabili a se medesimi e stringere quelli applicabili agli altri.

Il giudizio andrebbe riferito ai seguenti quesiti:
a)       il sistema istituisce incentivi sufficienti affinché i paesi con moneta forte e i paesi con moneta debole conducano simmetricamente politiche convergenti verso un tasso d’inflazione uniforme?;
b)       la modulazione dei margini di oscillazione ammessa dal sistema è compatibile con tassi di inflazione divergenti e tale da facilitare la modifica delle parità senza creare condizioni di facili guadagni per la speculazione?

La disputa sulla simmetria del processo di aggiustamento, sulla uguaglianza delle responsabilità incombenti sui debitori e sui creditori ha origini antiche.
In un ambiente d’inflazione generalizzata tendo a credere che gli obblighi più incalzanti dovrebbero incombere sui debitori.
In ogni caso mi sembra difficile immaginare automatismi capaci di graduare da soli le responsabilità degli squilibri da parte di debitori e da parte di creditori.
Gli indicatori di divergenza possono rivelarsi trappole entro le quali possono restare incastrati volta a volta gli uni o gli altri.
Il progresso verso l’unificazione monetaria richiede che tutti accettino limitazioni della sovranità.
Se questa volontà non esiste, nessun automatismo è in condizioni di supplire.

Quanto alla possibilità di rispecchiare negli aggiustamenti del tasso di cambio le divergenze dell’inflazione in essere all’interno dei singoli paesi, mi sembra che il testo della risoluzione di Bruxelles contenga disposizioni esplicite.
Mi riferisco a quelle indicate nei paragrafi 3.2 e 3.6: in entrambi i casi il sistema fa leva sulla concertazione; ma non è forse ciò l’essenza stessa di un accordo monetario che mira ed una coordinazione più stretta imponendo limiti alla sovranità di ciascuno?
Se preoccupa l’accettazione di questi limiti, ciò significa che preoccupa l’accettazione stessa del sistema.

Il principio che le politiche del cambio fra le monete comunitarie e quelle appartenenti a paesi terzi e cioè il dollaro degli Stati Uniti debbano essere coordinate e accolto dai paragrafi 3.5 e 5.2 dell’accordo di Bruxelles.
Un paese come il nostro non può ammettere che il cambio tra le monete comunitarie e il dollaro sia lasciato alla mercé di afflussi di fondi nascenti da decisioni assunte da detentori di fondi in dollari posti fuori degli stessi Stati Uniti dai quali derivi una spinta all’insù del canestro contenente le monete europee: la cosiddetta unità di conto europea (chiamata scudo, con giuoco di parole).

In conclusione, mi sembra che la risoluzione approvata dal Consiglio europeo non escluda la possibilità di coesistenza nello stesso sistema di paesi con tassi di inflazione differenziati.
Ovviamente un simile sistema ha significato in quanto le divergenze fra essi vengano ristrette.
Non può essere assunto come elemento durevole il loro persistere.
Mi sembra altresì che sotto il profilo dell’interesse diretto dell’Italia sarebbe stato preferibile un sistema di cambi basato su tassi effettivi senza per l’immediato obblighi positivi di intervento, collocando l’accettazione di questi ultimi in un periodo nel quale i differenziali inflazionistici si siano attenuati.

L’accordo di Bruxelles prevede che le disposizioni concernenti l’identificazione delle divergenze e quindi delle responsabilità di aggiustamento costituiscano oggetto di revisione dopo sei mesi e non esclude che la partecipazione nel meccanismo di cambio possa avvenire ad una data successiva all’entrata in esecuzione dell’accordo.
Alla luce di queste constatazioni mi sembra che il nostro ingresso immediato dovrebbe esser giudicato non imprudente e che l’evento non dovrebbe esser valutato catastrofico alla condizione però che l’attesa fosse impiegata per consolidare gli impegni alla stabilità in tutti i campi ed in special modo in quelli della negoziazione salariale; a questo fine sarebbe utile che il Ministro del Lavoro facesse conoscere le proprie valutazioni concernenti le piattaforme rivendicative in corso di esame presso le categorie.

Federalisti europei eminenti sostennero che alla unificazione delle monete si giunge dalla politica; oggi si tende ad invertire il corso, giungendo alla politica dalla unificazione delle monete.
Qualunque scelta si compia, conduce alla priorità della politica; lo stesso dibattito in corso lo conferma; infatti, concerne la disponibilità degli Stati ad accettare limitazioni della sovranità, indipendentemente dagli accorgimenti tecnici accolti.
Le dispute intorno alla attenuazione delle asimmetrie insite nell’unità di conto europea per la diversa ponderazione delle monete, alla opportunità di fissare la soglia di divergenza ad un livello inferiore rispetto ai margini bilaterali, al trattamento delle situazioni di creditore o debitore involontario che ne derivino, sono modi attraverso i quali inconsapevolmente gli esperti si sostituiscono ai politici, offrendo strumenti con i quali le loro azioni ed omissioni possono essere attribuite a fattori estranei alla volontà di chi le compie.

Le decisioni di ultima istanza sono politiche: esse concernono l’accettazione di un regime di cambi stabili nell’ambito dell’area comunitaria che produce la conseguenza che ogni paese comunica agli altri impulsi inflazionistici o deflazionistici proporzionali agli squilibri del suo commercio estero e alla sue capacità di perdere o accumulare riserve.
Si chiede di accettare un regime di cambi adatto a mantenere l’uniformità delle tendenze congiunturali in una comunità di Stati con economie integrate o desiderosi di integrarsi.

Gli esperti possono e debbono fare assegnamento sulla forza della ragione; ma essa sola non basta ad imbrigliare la volontà politica.
Seneca non fu soltanto un grande filosofo; fu anche un ottimo Ministro del Tesoro; ma il suo argomentare non impedì all’imperatore di corrompere la moneta moltiplicandone la quantità. Dopo dieci anni di servizio si dimise; il nostro Ministro del Tesoro [1], che pure ha una origine simile a quella del predecessore, ha di fronte a sé un lungo spazio di tempo quand’anche intendesse imitarne l’esempio.
Adopriamoci per agevolarne il compito assumendo le responsabilità della condizione di ciascuno di noi.

Il progresso verso l’integrazione si compie accettando limitazioni della sovranità, se non si è disposti a far ciò meglio rinunciare all’idea della integrazione.
Infine, occorre non dimenticare che le soluzioni. troppo complesse e quindi incomprensibili ai più non possono beneficiare del sostegno dell’opinione; ed anche esso è necessario.
Parlare ai molti è più difficile che parlare ai pochi iniziati: la moneta non è soltanto per iniziati.


[FINE]


[1]                 Filippo Maria Pandolfi.


7 commenti:

  1. Molto bello.
    Mi è capitato quest'anno di sfogliare di Carli "Cinquant'anni di vita italiana" scritto nel 1993 in collaborazione con Paolo Peluffo, allora portavoce del Presidente del Consiglio Ciampi.
    La mia personalissima sensazione è stata di trovarmi di fronte ad un libro scritto sotto ricatto. C'è un peana iniziale sul vincolo esterno ed uno finale sul Trattato di Maastricht. Ma l'esaltazione di entrambi è smodata (talmente eccessiva da apparire falsa) e comunque sempre accompagnata da una chiara indicazione dei pericoli che l'Unione monetaria comporta per l'economia italiana (dismissione dello Stato Impreditore e del patrimonio pubblico). Tra l'altro Carli lamenta in modo evidente l'assenza di una corretta informazione sulla svolta epocale di Maastricht e sulle ricadute sull'assetto costituzionale italiano.
    In mezzo ci sono pagine splendide su la Cassa per il Mezzogiorno, su Mattei, Caffè e su Baffi e pochissime righe per Ciampi.
    Insomma, sembra quasi un libro estorto dai momentanei vincitori ad un ex Governatore, ed ex Ministro del Tesoro del famigerato governo del CAF (all'epoca dunque un appartenente senza alcun dubbio al partito dei vinti) che nel 1975 aveva evitato l'attuazione del divorzio tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro definendolo "atto sedizioso".

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  2. Sempre La Malfa http://archiviostorico.corriere.it/1993/dicembre/16/due_anime_Carli_Faust_italiano_co_0_93121616245.shtml

    Lui afferma nelle Considerazioni finali del Governatore della BdI del 1975, ma sul web non c'è l'originale.
    Nota comunque come La Malfa figlio nel 1993 recensiva l'autobiografia (secondo la mia personalissima opinione in parte estorta).

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  3. Dopo aver googlato, direi che Carli lo ha detto il 31 Maggio 1974 nelle Considerazioni finali per l'anno 1974 lette all'assemblea dei partecipanti.
    Se riesco a trovare una fonte certa, te la giro.

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  4. Eureka!!!
    http://www.bancaditalia.it/bancaditalia/storia/gov_dirgen/governatori/1960_1993/CF_1960_1981.pdf
    pagina 563

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    1. Molto interessante ma niente affatto semplice la relazione di Carli del 1974. :)

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