sabato 12 dicembre 2015

La piaga antica degli economisti liberisti italiani, dogmatici e provinciali




Alessandro Rossi

L’etica del successo

1895, Firenze. Ripubblicato parzialmente in Lucio Avagliano, “Alessandro Rossi: Fondare l’Italia industriale”. Edizioni Studium, Roma 1998, pp.197-199.



La piaga antica degli economisti liberisti italiani, dogmatici e provinciali

[ A cura di Giorgio D.M. ]



Prima di uscire dalla Università, e poiché questa seconda parte del mio scritto si propone di raffrontare le condizioni di fatto del nostro paese con quelle di Thayer nel paese suo [gli Stati Uniti], non si può pretermettere [1] quanto a raggiungere l'Etica del successo distanti sieno gli uni dagli altri gl'insegnamenti delle teorie economiche, le quali hanno tanta prevalenza nel presente ordinamento sociale.
E poiché l'insegnamento loro nei nostri istituti mediani e superiori è rimasto fino ad oggi, come nella vicina Francia, uno dei cardini della istruzione pubblica, non è difficile scorgere come la così detta Economia politica sia rimasta da noi la più refrattaria delle scienze al soffio vitale dei tempi nuovi. (14)

La stessa metafisica ha potuto arricchirsi di nuovi trovati, di studi e di ricerche nel regno della natura, e tramutarsi in psicologia che fa dipendere le sue leggi dallo studio della biologia e della fisiologia, scienze di fatti positivi che danno la carne e la polpa alla ideologia dei metafisici.

Per l'economia politica che tratta le cose a priori, con dommi [2] fatti, il nuovo modo statistico-industriale è tuttora un campo chiuso.
Non vi ha quasi ramo d'insegnamento che non subisca più o meno profonde modificazioni in questi tempi della meccanica, della chimica, della elettricità, dove ben poco dello scibile positivo rimane qual'era [3], tutto si muove e si cambia a vista d'occhio.
Scorransi le lezioni della massima parte dei nostri professori in economia politica, vi si riscontrano le eterne leggi della domanda e della offerta, come se i monopoli artificiali, le coalizioni, i rings, i corners tra Europa ed America, col telegrafo, non variassero giorno per giorno i pretesi effetti della legge di gomma anziché di ferro come la chiamò Lassalle [4].
I salari son tuttora per la gran parte dei nostri economisti la risultante delle proporzioni tra capitale e lavoro, senza tener conto dei fattori nuovi: tasse interne, dazi di frontiera, concorrenza di salari indiani e giapponesi e concorrenza di popoli che si nutrono di riso, e altri di acqua e polenta in confronto d'altri che mangiano carne tre volte al dì.

Non si tien conto del monopolio o della concorrenza dei trasporti dove si rincara, e dove si alleggerisce il costo della produzione, perché menata a fine una ferrovia colla vittoria delle distanze, eccovi un tratto di penna in una tariffa che assorbe tutto il guadagno ottenuto, oppure lo specializza a quei prodotti che a quel dato popolo più interessano.
Aggiungansi i trattati commerciali, le particolari condizioni economico-sociali e finanziarie tra un popolo e l'altro: ecco altrettanti elementi a turbare la stregua dei salari.

L'istruzione tecnica, il corredo degli utensili, il clima, le forze motrici, le condizioni del capitale: ecco altrettanti fattori che scappano alle lezioni del gabinetto [5], le quali si fermano al carbone ed al ferro come ai tempi del buon Adamo Smith che condannerebbero noi a coltivare cavoli ed aranci.
Ancora oggidì la stampa dottrinaria non fa distinzione fra industrie e commercio, fra città marittime e città interne, fra agricoltori e industriali.
Fino a che non si avanzò la concorrenza transatlantica erano i nostri economisti tutti giuggiole [6] per gli agricoltori.
Oggi che gli agricoltori son tratti a difendersi [7], gli economisti si fanno paladini dei consumatori, gente questa, a dir loro, che, secondo il nome, non produce ma consuma, da prendere in verità a singolare modello di economia politica.

Se negli Stati Uniti l'insegnamento della economia politica quale si dà nelle nostre scuole avesse ad essere ufficiale, ossia mantenuto coi denari dei contribuenti, si vedrebbero i minatori della California e della Pensilvania associati coi filatori e tessitori del Massachussetts e del Vermont insorgere come un sol uomo contro il governo, e i professori suoi.
Fortunatamente agli Stati Uniti gl'insegnanti son mantenuti colle propine degli studenti, sono obbligati a istruire per la vita e non per la metafisica.
Gli studenti quindi tanto più li ricercano e li stimano quanto più il loro insegnamento sta in armonia parlante coi risultati della esperienza quotidiana.


__________


Note:

14.    È comparso nella «Nuova Antologia», proprio nell'anno di grazia 1895 il 1° di marzo, uno scritto, dettato, parrebbe, di qualche antico discepolo del Nestore venerando dei nostri economisti, a difendere un mondo economico, sognato mezzo secolo fa come una notte di estate e sparito poscia per sempre. Con che l'Autore tende a dimostrare che tutti gli economisti nostrani ed esteri sono fuori di strada perché dopo mezzo secolo il verbo assume un aspetto nuovo, non dice quale, ma lo vuol credere traveduto in quelle 33 pagine metafisiche della «Nuova Antologia».
Poveri giovani che comandati al diploma dovessero passare per là! Agli Stati Uniti lezioni d'una portata così inaccessibile farebbero scappare dalle scuole non ché gli uditori anche le mosche.


[FINE]


Alcune note suggerite dal fatto che a una giovane lettrice il testo è risultato alquanto oscuro… :)
[1]                 Tralasciare.
[2]                 Dogmi.
[3]                 Così nel testo.
[4]                 Secondo la “legge di ferro dei salari”  di Lassalle, che per altro ripeté una osservazione di Ricardo, i salari si mantengono al livello che consente ai lavoratori la mera sussistenza. Rossi afferma invece che i salari possono variare, per i motivi che indica, e rinomina quindi legge di gomma la legge di ferro di Lassalle.
[5]                 Lezioni accademiche.
[6]                 Gli economisti italiani ritenevano cioè che il settore agricolo fosse quello più importante. L’espressione usata è analoga a “andare in brodo di giuggiole”. 
[7]                 Gli agricoltori subivano cioè la concorrenza dei prodotti agricoli importati dall’estero, e non riuscivano più ad esportare come prima.



2 commenti:

  1. Sei un mito: con il tuo blog si potrebbe avere materiale per un corso universitario.

    Tipo: "Paradigmi economici e conflitto distributivo"

    Nella mia esperienza, da studente di economia, mi sono accorto che di politica economica non mi è rimasto dentro niente... di chiaro.

    Al di là dell'impostazione "neoclassica": comunque non "dichiarata" e mischiata e confusa ad un insieme di concetti per cui non mi era chiaro il senso della dialettica socialista-keynesiana e liberista-neoclassica e il suo profondo senso politico nel prendere nettamente posizione nel conflitto tra capitale e lavoro.

    Sui liberisti italiani "più realisti del re", è un vero dilemma.

    C'è da vergognarsi, dai tempi di Ferrara fino ad Einaudi e ai bocconiani austeriani, esportiamo letame intellettuale - e morale - in tutto il mondo.

    Poiché nella storia questo è più o meno sempre stato controproducente per l'Italia in primis, il primo appunto che mi salta in mente è, che in realtà, facciamo da "proxy" alle potenze coloniali, rielaborando con le risorse culturali che abbiamo, ma che in realtà la porcheria liberista sia farina del sacco britannico prima e statunitenso dopo.

    Insomma, mi pare di scorgere nell'autolesionismo liberista "made in Italy", il riflesso del "soft power" delle potenze che nella modernità hanno esercitato grande influenza sulle nostre élite, provinciali, periferiche e marginali. Proprio perché collaborazioniste.

    Sarebbe interessante trovare del materiale che possa corroborare o meno questa ipotesi.

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  2. Voglio ringraziare l'autore del blog per l'ottimo lavoro che svolge mettendo a disposizione autentiche perle che 'sfuggono' all'insegnamento universitario. Mi chiedo se effettivamente questa istruzione 'di massa' serva a rendere erudito chi me usufruisce o se l'antico precettore sia insuperabile.
    Voglio anche complimentarmi con chi ha commentato prima di me perché, condividendo le sue considerazioni, mi evita la fatica di scriverle, tra l'altro con una forma sicuramente meno raffinata.

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