giovedì 10 dicembre 2015

Vaterland



 

John Eaton

Economia politica

1949. Traduzione di Claudio Napoleoni, Giulio Einaudi editore, Torino 1950, pp. 475-480.


Vaterland



La decantata economia della Germania nazista con il suo alto livello di attività economica (la produzione industriale nel 1938 era del 25% superiore a quella del 1929, mentre essa fu superiore del 12% in Gran Bretagna e inferiore del 28% negli U.S.A.) non era nient’altro che una economia di guerra.
Essa servì a un doppio scopo: equipaggiò la Germania per l’aggressione e dette alti profitti ai gruppi monopolistici, la cui cittadella era l’industria pesante.
Fin dal principio il controllo dell’economia «pianificata» tedesca si trovò nelle mani dei maggiori capitalisti.
Il Consiglio Economico Superiore creato nel 1934 aveva tra i suoi membri Krupp von Bohlen (fabbricante di armi […]), Fritz Thyssen (siderurgia […]), von Siemens (industria elettrica […]), Karl Bosch (trust delle sostanze coloranti […]), A. Vögler (siderurgia […]), A Diehn (potassa […]), von Schroeder (banchiere).
La stessa cosa si ripeté in tutti gli organismi dell’economia tedesca «controllata dallo Stato».
Per esempio Krupp, von Schroeder e altri grossi capitalisti di questo genere costituivano l’ufficio esecutivo delle ferrovie nazionali.
Non c’è dubbio che l’economia tedesca fosse controllata dallo Stato, ma i gruppi monopolistici avrebbero ben potuto dire: «Lo Stato siamo noi!»
I grandi capitalisti che dominavano questi gruppi, assieme a un pugno di avventurieri nazisti come Goering, Goebbels e Hitler, che avevano conquistato grandi fortune personali, possedevano e dominavano la Germania nazista.

I gruppi monopolistici tedeschi avevano dei vasti rapporti internazionali.
Nel mondo bancario, l’istituto di Schroeder (fondato originariamente 130 anni fa ad Amburgo) aveva delle filiali a Londra e a New York. In queste città esso poteva avere dei legami con i più potenti interessi della finanza internazionale.
Per esempio, John Foster Dulles, uno dei maggiori esponenti della reazione e del mondo degli affari americano, fu strettamente legato alla banca Schroeder di New York.
Dulles fu anche uno degli autori del piano Dawes, nel quale il ruolo maggiore fu esplicato da Charles G. Dawes, un banchiere dell’istituto di Morgan.
(Il piano Dawes, come si ricorderà, dopo la sconfitta della classe operaia tedesca, fornì nel 1924 vasti prestiti americani alla Germania, in conseguenza dei quali il capitalismo monopolistico tedesco fu in grado di rimettersi in piedi).

Le ramificazioni in tutto il mondo del capitalismo monopolistico tedesco possono essere ben rilevate nel sistema di relazioni che aveva la I. G. Farbenindustrie, il gigantesco trust chimico.
Esso possedeva beni patrimoniali in novantatré paesi e accordi di cartello con le maggiori imprese in America, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Olanda, Belgio e Polonia.
«Tutti gli accordi di cartello, - scrive «The Times» (maggio 1947) a proposito delle imputazioni fatte alla I.G. Farbenindustrie al processo di Norimberga, - furono stipulati dalla Farben attraverso lo stato maggiore economico della Wehrmacht. Lo scopo preciso di tali accordi era di limitare lo sviluppo industriale e le ricerche scientifiche al di fuori della Germania… Viene reso noto che un accordo di cartello tra la Farben la Alluminium Company americana e la Dow Chemical Company restrinse fortemente la produzione di magnesio negli Stati Uniti e proibì le esportazioni in Europa eccetto in Germania e, per quantità trascurabili, in Gran Bretagna. In tal modo la Gran Bretagna e il resto dell’Europa divennero completamente dipendenti dalla Germania per il magnesio.»
La I. G. Farben, fin dagli anni immediatamente seguenti il 1920, era strettamente legata alla American Standard Oil Company, in comune con la quale possedeva un certo numero di società negli U.S.A.
Le imputazioni fatte al processo di Norimberga mostrano in che modo gli accordi di cartello tra le due società abbiano ritardato lo sviluppo dell’industria della gomma sintetica negli U.S.A. fino al 1940.
(Richard Sasuly, nel suo libro I. G. Farben, riporta che dopo lo scoppio della guerra, ma prima che gli U.S.A. vi prendessero parte, si raggiunsero degli accordi di cartello che dovevano funzionare pure nel periodo bellico, anche se gli U.S.A. fossero entrati in guerra).

L’imputazione fatta davanti alla corte di Norimberga illustra inequivocabilmente il rapporto esistente tra capitalismo monopolistico e fascismo.
«Fin dai primi giorni», per citare di nuovo «The Times» (maggio 1947), «la Farben vide in Hitler e nel suo movimento la possibilità di estendere il suo impero… Con l’espandersi della guerra la Farben, a quanto viene reso noto, adottò un programma sistematico di spoliazione, impadronendosi delle industrie chimiche dei paesi conquistati.
Ma dopo la sconfitta della Francia, i sogni nutriti dalla Farben per la conquista del mondo e la sottomissione del medesimo al suo “nuovo ordine” e che sono descritti in un documento di parecchie migliaia di pagine il quale mostra dei programmi dettagliati per l’intera industria chimica europea, erano tali che solo i programmi politici dello stesso Hitler ne reggevano il confronto… In ultimo… la Farben è accusata non solo di corresponsabilità per il lavoro schiavistico imposto ai lavoratori stranieri che venivano immessi nelle sue fabbriche, ma anche di diretta complicità nei crimini che si commisero nei campi di concentramento, poiché alcuni impianti del campo di Auschwitz furono costruiti dietro sua indicazione».

Con la fine della guerra, nell’accordo di Potsdam fu pronunciata la sentenza di morte per la I.G. Farben; ma la sentenza non fu mai eseguita.
Nelle zone occidentali (nella zona americana ci sono 55 stabilimenti di proprietà della I. G. Farben) la politica inglese e americana ha tentato di salvare la vita al capitalismo monopolistico.
La stessa gente che aveva dominato l’industria al tempo del fascismo fu di nuovo rimessa in carica.
Nuove relazioni internazionali furono stabilite; gli industriali tedeschi, battuti in seguito alla disfatta militare del nazismo, sono stati ancora una volta rimessi in piedi per fare da guardia alla reazione europea.
La posizione postbellica degli ex capitalisti monopolisti tedeschi è naturalmente più modesta di quella che essi erano usi avere.

I rapporti postbellici tra il capitalismo monopolistico americano e la Germania hanno forse qualche rassomiglianza con quelli esistenti un tempo tra la Germania e i gruppi capitalistici dei paesi dell’Europa occupata dai nazisti -  e che erano caratterizzati da un intreccio di alleanze e di contrasti di interessi capitalistici, contrasti che erano comunque dominati dalla cricca tedesca la quale subordinava a se stessa i capitalisti degli altri paesi e li usava come strumenti nello spietato sfruttamento e nella spietata oppressione dei paesi occupati.

Tutta l’economia europea fu spietatamente portata sotto il controllo del capitalismo monopolistico tedesco.
Tutta l’Europa fu costretta a servire i fini di quel capitalismo.
L’industria tedesca fu sviluppata; la funzione del resto d’Europa era tutt’al più quella di fornire generi alimentari e materie prime per la Vaterland.
L’industria che non serviva a questi fini fu distrutta, le economie delle nazioni sottomesse furono rovinate e i loro popoli ferocemente sfruttati, usati come schiavi e carne da cannone, strappati dalle loro case o, se non servivano al capitalismo monopolistico tedesco, lasciati morire di fame.


[FINE]






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