Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

sabato 7 settembre 2013

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L'ossessione per le esportazioni stritola la Germania




Adam S. Posen

Germany Is Being Crushed by Its Export Obsession

Pubblicato il 3 settembre 2013 sul Financial Times.
Pubblicazione disponibile sul sito del Peterson Institute for International Economics, del quale Posen è il presidente, qui.


L'ossessione per le esportazioni stritola la Germania 

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



Se il modello economico tedesco è il futuro dell’Europa dobbiamo tutti essere molto preoccupati.
Ma sembra proprio che sarà così.
La campagna, apparentemente di successo, per la rielezione di Angela Merkel, il cancelliere cristiano democratico, promette “il futuro della Germania in buone mani”.
Ancora di più, in altre parole, della stessa cura.
La risposta politica alla crisi della zona euro è probabile che rimanga un programma per indurre gli Stati che ne fanno parte a seguire la via tedesca alla competitività: la riduzione del costo del lavoro.
Non c’è un errore; proprio la riduzione del costo del lavoro è stata la base del successo delle esportazioni della Germania negli ultimi dodici anni, e le esportazioni hanno costituito la sua unica fonte di crescita in questo periodo.
Ma una nazione ricca non dovrebbe competere sulla base di salari bassi.
A partire dal 2003, la diminuzione del tasso di disoccupazione è stata la conseguenza della creazione di un grande numero di posti di lavoro con salari bassi e part-time o con orari flessibili, privi dei benefici e delle tutele garantite alle precedenti generazioni nel dopoguerra.
La Germania oggi ha la quota più elevata, nell’Europa occidentale, di lavoratori con salari inferiori al reddito nazionale mediano.
Gli incrementi medi dei salari nell’ultimo anno sono stati maggiori dell’inflazione e del tasso di crescita della produttività per la prima volta dopo più di un decennio di stagnazione.
Idealmente, un paese ricco dovrebbe rimanere competitivo attraverso la ricerca e sviluppo, e gli investimenti di capitale.
Invece, gli investimenti fissi lordi totali sono diminuiti continuamente in Germania, dal 24 per cento a meno del 18 per cento del PIL, a partire dal 1991.
La recente indagine economica dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) afferma che gli investimenti in Germania sono stati permanentemente ben al di sotto dei tassi delle altre principali economie del G-7 a partire dal 2001 (e non solamente a causa delle bolle della metà degli anni Duemila negli Stati Uniti e nel Regno Unito).
Anche il piccolo miracolo dell’occupazione e il boom delle esportazioni iniziati nel 2003 non sono stati tali da indurre gli imprenditori tedeschi ad incrementare gli investimenti - e gli investimenti in infrastrutture pubbliche sono stati ancora più scarsi.
L’altro modo con il quale una nazione ricca può rimanere in cima alla catena del valore aggiunto, e competere così sulla base della produttività, è l’investimento nel capitale umano - cioè istruire la sua forza lavoro.
In Canada, Francia, Giappone, Polonia, Spagna, Inghilterra e negli Stati Uniti, la quota di lavoratori giovani con un’istruzione avanzata è più alta che in Germania di almeno il 10% - nella maggior parte di essi del 20% o anche di più.
La Germania inoltre è una delle due uniche economie avanzate nelle quali la quota dei giovani tra i 25 e i 34 anni con i titoli di studio più elevati è la stessa, o è minore, che nelle generazioni precedenti (l’altra sono gli Stati Uniti).
La Germania non ha investito nel suo sistema universitario pubblico mentre il settore privato ha mantenuto ma non ampliato l’offerta dei suoi famosi apprendistati.
Il risultato è che la crescita della produttività in Germania è stata bassa nel confronto con i paesi ad essa pari.
La crescita del PIL per ora lavorata è stata del 25 per cento al di sotto della media dei paesi OCSE, sia risalendo fino alla metà degli anni Novanta che considerando solo l’ultimo decennio - e sia includendo che escludendo gli anni della bolla per quanto riguarda gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Con questi risultati per quanto riguarda la produttività, non meraviglia il fatto che le imprese tedesche competano solo per mezzo della riduzione dei salari relativi e spostando la produzione a est.
Gli esempi di aziende eccellenti nel settore Mittelstand - il settore delle imprese medie e delle aziende a conduzione familiare - e le loro esportazioni di manufatti verso la Cina non devono oscurare la realtà.
Come Lawrence Edwards e Robert Lawrence del Peterson Institute mostrano nel loro nuovo libro “Rising Tide”, la quota del settore manifatturiero sul totale dell’occupazione è diminuita dello stesso ammontare negli ultimi 40 anni, di circa il 15%, in quasi tutte le economie avanzate - inclusa la Germania.
Le uniche due economie ricche nelle quali l’occupazione nel settore manifatturiero è diminuita di meno sono l’Italia e il Giappone, nessuna delle quali è un motore della crescita.
Le ragioni di scambio per la produzione industriale - cioè il valore relativo dei prodotti industriali fabbricati da un paese confrontato con quello di tutte le sue importazioni di prodotti industriali - sono aumentate nello stesso modo sia per gli Stati Uniti che per la Germania a partire dal 1990.
Non c’è alcuna evidenza di un particolare successo della Germania nel settore manifatturiero.
Qualcuno potrebbe dire che la Germania sta semplicemente affrontando meglio la situazione nella quale si trovano le economie più ricche in un mondo globalizzato - in particolare per quanto riguarda la pressione al ribasso esercitata sui salari dei lavoratori poco qualificati in Occidente.
Certamente, la Germania non è da sola con la sua crescente disuguaglianza e la riluttanza delle sue imprese ad investire.
Una tale valutazione, tuttavia, ci rende ciechi di fronte ai vantaggi che deriverebbero da una agenda di riforme di diverso tipo, possibile sia per la Germania che per la zona euro.
Il sottoinvestimento della Germania è il risultato di profondi problemi strutturali dell’economia, che non sono colpa del suo mercato del lavoro ora più flessibile.
L’ossessione per le esportazioni ha distolto l’attenzione dei politici dalla ricapitalizzazione delle banche tedesche, dalla deregolamentazione del settore dei servizi e dall’incentivazione della riallocazione del capitale verso nuovi settori.
Inoltre, gli investimenti pubblici in infrastrutture, l'istruzione e lo sviluppo tecnologico potrebbero contribuire ad ampliare gli investimenti privati ​​profittevoli, il che porterebbe a una crescita con salari più alti.
La dipendenza dalla domanda estera ha privato i lavoratori tedeschi di quello che hanno guadagnato, e dovrebbero essere capaci di risparmiare e spendere.
Questo li mantiene dipendenti dalle esportazioni per la crescita, in un circolo vizioso che si auto-rinforza.
Ancora più importante, questo significa che i lavoratori tedeschi si muovono verso il basso lungo la catena del valore, in termini relativi, non verso l’alto.
Il perseguimento della stessa politica da parte dei partner commerciali europei della Germania rafforzerà queste pressioni.
La compressione dei salari non è una strategia di crescita che avrà successo per il futuro della Germania o dell’Europa.


[FINE]


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