mercoledì 25 dicembre 2013

L'economia è depressa per i lavoratori ma non per le imprese




Paul Krugman

Why Corporations Might Not Mind Moderate Depression

Pubblicato il 25 dicembre 2013 sul blog The Conscience of a Liberal, qui.



L'economia è depressa per i lavoratori ma non per le imprese

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



Sì, è Natale - ma gli eventi familiari non inizieranno che tra alcune ore, e voglio seguire il filo del ragionamento che ho incominciato ieri.

Ho evidenziato, prendendo spunto dalla lettura di Mike Konczal, che il permanere del mercato del lavoro in una situazione difficile rafforza la posizione contrattuale dei datori di lavoro, perché incrementa il loro potere.
Ma questo comporta effettivamente che la condizione dei datori di lavoro sia migliore in un’economia un po’ depressa piuttosto che in un’economia in crescita?

Molte persone hanno la reazione istintiva di affermare che ciò non può essere possibile - che le imprese preferirebbero avere una domanda più forte, anche se ciò significa che dovrebbero pagare i loro lavoratori di più e trattarli meglio.
E forse questo è vero.
Ma non si tratta affatto di una questione che si possa risolvere facilmente.

Supponiamo (come io sto di fatto supponendo) di adottare come riferimento una qualche teoria basata sul salario di efficienza, per la quale lo sforzo che i datori di lavoro possono ottenere dai loro dipendenti dipenda anche dallo stato del mercato del lavoro.
Così possiamo pensare che ogni singola impresa abbia una funzione di profitto f(N,U,...) nella quale N è il numero dei suoi dipendenti, U è il tasso di disoccupazione, e i puntini indicano una quantità di altre variabili che trasformerebbero questa funzione in un modello completo.
A parità delle altre condizioni, ciascuna impresa sceglierà il livello dell’occupazione N che massimizza i suoi profitti.

Ma, così facendo, le imprese non terranno conto dell’effetto complessivo delle loro decisioni di assunzione sul tasso di disoccupazione U.
Certamente ogni singola impresa ha un effetto trascurabile sul tasso di disoccupazione. Ma complessivamente le imprese di fatto determinano il tasso di disoccupazione - e un elevato livello del tasso di disoccupazione, abbiamo detto, aumenta il loro potere nei confronti dei lavoratori, e quindi i loro profitti.
Come dicevo, a parità di condizioni.

Così un'economia debole potrebbe in effetti servire come uno strumento di coordinamento per le imprese, ad esempio perché le trattiene dal competere troppo aspramente per i lavoratori, consentendo loro di esercitare un potere di monopsonio maggiore.
Questo effetto positivo dovrebbe essere confrontato con l'effetto negativo diretto sulla redditività di una domanda debole, ma non c'è nessuna regola che dica che le imprese ottengano dei risultati peggiori in un'economia depressa; le imprese potrebbero di fatto ottenere dei risultati migliori.

(Proverò a definire dei modelli formali per tutto questo e se qualcuno vuole partecipare è il benvenuto)

Cosa è successo effettivamente in questa economia depressa?
Be’, proprio questo è quello che motiva la riflessione.
Vedete, dal punto di vista dei profitti quella attuale non è affatto un'economia depressa.
Guardate l’andamento dei profitti rispetto all’andamento dei redditi da lavoro dipendente (somma dei salari e dei benefit) a partire dalla recessione iniziata alla fine del 2007 (entrambi sono espressi come indici con il valore del quarto trimestre del 2007 posto pari a 100).






I profitti hanno subito un colpo durante la crisi finanziaria, ma sono saliti alle stelle dopo di allora, e sono oggi del 60 per cento al di sopra dei livelli precedenti la crisi; i redditi da lavoro dipendente nello stesso tempo sono cresciuti pochissimo, e di fatto sono diminuiti in termini reali pro capite.

Il punto è che abbiamo un'economia depressa per i lavoratori, ma niente affatto depressa per le imprese.

Quanto di questo sia dovuto al problema del potere contrattuale è ovviamente qualcosa che non sappiamo, ma lo scollamento tra l'economia in generale e i profitti non può essere negato.
Un'economia depressa può essere o può non essere effettivamente un bene per le imprese, ma evidentemente non le colpisce più di tanto.

Ora, per quanto riguarda l'economia politica: non credo che dobbiamo pensare a un complotto degli amministratori delegati per cercare di mantenere l'economia in uno stato di depressione.  
Tutto quello che è necessario per avere questo risultato è che il grande capitale trovi soddisfacente dal suo punto di vista questo stato dell’economia, così che anche i politici, che danno ascolto al grande capitale, perdano l’interesse per i disoccupati.
E’ possibile riempire un intero volume con la lista degli amministratori delegati che possono essere a favore di una campagna per la riduzione del debito pubblico, ma non ne troverete neppure uno a favore di una campagna per il rilancio dell’economia.

Così l’economia rimane depressa.



[FINE]




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