giovedì 3 aprile 2014

Prudenti cadaveri, svegliatevi!




Pietro Verri

Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità 

1791-1792.
Pietro Verri, “Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità”, a cura di Gennaro Barbarisi, Salerno editrice, Roma 1994, pp. 45-46.



Prudenti cadaveri, svegliatevi!




E di quei cittadini indolenti che sono insensibili ai mali altrui, che rimirano con occhio eguale la bassezza e la generosità, se pur anche non chiamano accorgimento la prima, e pazzia l’altra, uomini onorati volgarmente come prudenti, che ne dite?

Dico che sono veri cadaveri del corpo politico, e sono senza avvedersene i più forti nemici del ben pubblico; poiché il vizio smascherato eccita ribrezzo anche negli animi torbidi; ma quello stato di morte morale, che corrompe e imputridisce coll’esempio ogni virtù civile, e nella sua uniformità e pacatezza viene a presentare l’ordine e la simetria, induce gli uomini a preservare nel lezzo.
Coloro sono uomini che fanno tanto maggior danno, quanto più si mostrano prudenti e circospetti, e vestono l’apparenza della virtù portando nel cuore una funesta indifferenza pel bene della società.

E pure questi uomini cauti, officiosi, pacati, sono universalmente giudicati uomini dabbene e proposti per imitazione alla gioventù.

Questo è un sintomo di una nazione corrotta e schiava.
La virtù vuole che siamo giusti, e non lo è colui che considera con occhio uguale le generose azioni e le vili; che mostra rispetto a chi ha il potere, e trascura il merito disarmato.
Non è virtuoso chi non sa distinguere o non ardisce distinguere le anime nobili dalle abjette.
Questa massa di uomini volgarmente prudenti è l’argine che impedisce alla nazione l’espansione della virtù e i progressi della ragione; il vizio trovasi a livello col merito, quando i spettatori sieno uomini prudentemente incadaveriti.
Se gli usurpatori, i prepotenti, i seduttori, gli uomini viziosi in somma leggessero sul viso de’ cittadini il ribrezzo che dovrebbero far nascere, il che non costerebbe che una occhiata o un giro di spalle, se ciò fosse, se quella vilissima indifferenza che s’è innalzata col nome di prudenza non adulasse continuamente la malvaggità, e non avvilisse il merito; i pubblici nemici sarebbero in minor numero, più contenuti, e si dilaterebbe la virtù, di cui il premio più caro è la pubblica distinzione.

Ma se la società è così organizata, non sarebbe pazzia se un individuo prendesse a volerla cambiare?

Pazzia, no certamente.
Ogni cambiamento comincia colla unità.
L’uomo dabbene, anche solo, cominci a onorare il merito, a non usare col vizio i riguardi medesimi che destina alla virtù, mostri la disapprovazione se non altro col silenzio, cessi l’uomo d’essere uno schiavo in somma; e se questo principio si dilata su varj de’ cittadini, ben tosto s’accorgeranno che essi sono gli arbitri della reputazione, che la cattiva reputazione essendo una pena, essi co’ loro voti riuniti possono castigare gli uomini nocivi.
Da qui il sentimento delle proprie forze, l’argine al vizio, la spinta al bene.
Anime incallite sotto il giogo della schiavitù, uomini giacenti nel letargo della abjezione, svegliatevi, mirate la virtù, la verità, la felicità pubblica; cessate di seminare coll’esempio vostro que’ funesti papaveri prudenziali, che perpetuano il sonno obbrobrioso del vostro paese.


[FINE]


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