Pietro Verri
Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità
1791-1792.
Pietro Verri, “Delle
nozioni tendenti alla pubblica felicità”, a cura di Gennaro Barbarisi, Salerno
editrice, Roma 1994, pp. 45-46.
Prudenti cadaveri, svegliatevi!
E di quei cittadini indolenti che sono insensibili ai mali altrui, che
rimirano con occhio eguale la bassezza e la generosità, se pur anche non
chiamano accorgimento la prima, e pazzia l’altra, uomini onorati volgarmente
come prudenti, che ne dite?
Dico che sono veri cadaveri del corpo
politico, e sono senza avvedersene i più forti nemici del ben pubblico; poiché
il vizio smascherato eccita ribrezzo anche negli animi torbidi; ma quello stato
di morte morale, che corrompe e imputridisce coll’esempio ogni virtù civile, e
nella sua uniformità e pacatezza viene a presentare l’ordine e la simetria,
induce gli uomini a preservare nel lezzo.
Coloro sono uomini che fanno tanto
maggior danno, quanto più si mostrano prudenti e circospetti, e vestono
l’apparenza della virtù portando nel cuore una funesta indifferenza pel bene
della società.
E pure questi uomini cauti, officiosi, pacati, sono universalmente
giudicati uomini dabbene e proposti per imitazione alla gioventù.
Questo è un sintomo di una nazione
corrotta e schiava.
La virtù vuole che siamo giusti, e
non lo è colui che considera con occhio uguale le generose azioni e le vili;
che mostra rispetto a chi ha il potere, e trascura il merito disarmato.
Non è virtuoso chi non sa distinguere
o non ardisce distinguere le anime nobili dalle abjette.
Questa massa di uomini volgarmente
prudenti è l’argine che impedisce alla nazione l’espansione della virtù e i
progressi della ragione; il vizio trovasi a livello col merito, quando i
spettatori sieno uomini prudentemente incadaveriti.
Se gli usurpatori, i prepotenti, i
seduttori, gli uomini viziosi in somma leggessero sul viso de’ cittadini il
ribrezzo che dovrebbero far nascere, il che non costerebbe che una
occhiata o un giro di spalle, se ciò
fosse, se quella vilissima indifferenza che s’è innalzata col nome di prudenza
non adulasse continuamente la malvaggità, e non avvilisse il merito; i pubblici
nemici sarebbero in minor numero, più contenuti, e si dilaterebbe la virtù, di
cui il premio più caro è la pubblica distinzione.
Ma se la società è così organizata, non sarebbe pazzia se un individuo
prendesse a volerla cambiare?
Pazzia, no certamente.
Ogni cambiamento comincia colla
unità.
L’uomo dabbene, anche solo, cominci a
onorare il merito, a non usare col vizio i riguardi medesimi che destina alla
virtù, mostri la disapprovazione se non altro col silenzio, cessi l’uomo
d’essere uno schiavo in somma; e se questo principio si dilata su varj de’ cittadini,
ben tosto s’accorgeranno che essi sono gli arbitri della reputazione, che la
cattiva reputazione essendo una pena, essi co’ loro voti riuniti possono
castigare gli uomini nocivi.
Da qui il sentimento delle proprie
forze, l’argine al vizio, la spinta al bene.
Anime incallite sotto il giogo della
schiavitù, uomini giacenti nel letargo della abjezione, svegliatevi, mirate la
virtù, la verità, la felicità pubblica; cessate di seminare coll’esempio vostro
que’ funesti papaveri prudenziali, che perpetuano il sonno obbrobrioso del
vostro paese.
[FINE]
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