sabato 24 maggio 2014
venerdì 23 maggio 2014
lunedì 19 maggio 2014
Economisti indegni II
Hombert Bianchi
Di chi è la piazza
1969.
Economisti indegni II
Nel corso del 1931, un numero sempre
più grande di fabbriche chiuse i battenti.
Le code dei disoccupati aumentavano
ogni mese.
E più il mondo era devastato dalla
depressione, più si sostenevano aspramente i principi di una scienza economica vecchia e iniqua: pareggio del bilancio, riduzione della spesa pubblica, non interferenza del governo nelle leggi naturali dell'economia.
Uno dei leader liberali poté dire:
"questo enorme esercito di disoccupati sta ricevendo mezzi di sostentamento senza produrre le esportazioni per pagare gli alimenti che consuma".
[FINE]
Nel 1944 però William Beveridge pubblicò in
Inghilterra la relazione su La piena occupazione in una società libera.
domenica 18 maggio 2014
Economisti indegni
Knut Wicksell
Lectures on Political Economy Volume I General Theory
1911.
Augustus M. Kelley Publishers, Fairfield - New Jersey
1977, pp.3-4.
Pubblicazione
disponibile qui.
Economisti indegni
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
Quando diciamo che qualcosa è
benefico o dannoso dal punto di vista economico, ci basiamo su di un postulato
etico o filosofico, cioè su di una determinata concezione del diritto degli
uomini a vivere e a godere dei beni della vita.
O assumiamo che tutti gli uomini
abbiano gli stessi diritti e riconosciamo ogni individuo membro della società
come uguale, o altrimenti, per una ragione o per l’altra, assumiamo l’esistenza
di una differenza tra i singoli individui e in questo caso le ragioni di questa
assunzione devono essere chiaramente espresse, se vogliamo che il nostro punto
di vista sia fondato scientificamente.
Come sappiamo, le opinioni intorno a
questa questione sono cambiate grandemente nel corso della storia.
Nei tempi più antichi solo le persone
libere e successivamente solo le classi possidenti sono state considerate come
effettivi membri della società; gli schiavi e le persone prive di proprietà
venivano considerate come oggi sono considerati gli animali domestici - come
semplici mezzi e non come fini. [...]
Negli scritti degli economisti svedesi del
diciottesimo secolo [...] troviamo spesso affermazioni che mostrano come la
concezione, così repellente per la nostra mentalità, del lavoratore come
semplice bestia da soma fosse, non più di due secoli fa, profondamente diffusa
e radicata.
Davvero si può considerare in qualche
misura come un merito della scienza economica l’aver prodotto da questo punto
di vista una rivoluzione nell’opinione pubblica.
Non appena cominciamo a considerare
seriamente i fenomeni economici nel loro
complesso e a ricercare le condizioni per il benessere della collettività,
la considerazione degli interessi del proletariato deve emergere; e da questa
alla proclamazione di diritti uguali
per tutti il passo è breve.
Il concetto stesso di economia
politica, perciò, o l’esistenza di una scienza che porti questo nome, implica a
rigore un programma rivoluzionario.
Non deve far meraviglia che il
concetto sia vago, perché questo accade spesso per un programma rivoluzionario.
Naturalmente, molti problemi pratici
e teorici rimangono insoluti prima che l’obiettivo dello sviluppo economico e
sociale si possa dire chiaramente compreso.
Qualcosa si può dire ancora in favore
del vecchio punto di vista; ma, in ogni caso, va detto con chiarezza e senza
tergiversazione.
Se per esempio, noi consideriamo le
classi lavoratrici come esseri inferiori, o se, senza andare così lontano le
consideriamo non ancora mature per avere integralmente una quota del prodotto
della società, allora noi dovremmo esprimerci chiaramente e basare il nostro
ulteriore ragionamento su questa opinione.
Vi è soltanto una cosa che è indegna
della scienza: nascondere o fuorviare la verità.
Vale a dire, in questo caso:
-
presentare
la situazione come se le classi lavoratrici avessero già ricevuto tutto ciò che
ragionevolmente potrebbero desiderare o attendere, oppure
-
far
assegnamento su infondate, ottimistiche convinzioni che gli sviluppi economici
in se stessi tendano alla maggior soddisfazione di tutti.
[FINE]
Commento
Non è difficile riconoscere una
radicata ideologia reazionaria o una psicopatologia antisociale (o entrambe)
nelle parole di un economista che considera le classi lavoratrici come
inferiori e predica, per loro, la durezza del vivere.
E’ invece difficile riconoscere la
menzogna, l’inganno, la verità nascosta, la pura falsità nel discorso economico.
Gli economisti indegni si guardano
bene dal manifestare la loro ideologia reazionaria, dall’esplicitare le loro
preferenze di classe, dall’affermare che per loro i lavoratori sono bestie da
soma, o anche solo bestie, untermenschen o esseri inferiori.
Wicksell indirettamente ci offre un
criterio per riconoscere gli economisti indegni: a fructibus eorum cognoscetis eos,
dai loro frutti li riconoscerete.
Sono indegni gli economisti che invitano
a “far assegnamento su infondate, ottimistiche convinzioni che gli sviluppi
economici in se stessi tendano alla maggior soddisfazione di tutti”.
Non sono forse questi gli
economisti che parlano di “luci in fondo al tunnel”, che lodano i conti in ordine, che condannano
“i debiti lasciati ai nascituri” o “alle future generazioni”, quelli che
predicano l’austerità espansiva, che auspicano tagli sempre più estesi ai
salari, alle pensioni e alla spesa sociale e la riduzione complessiva della
spesa pubblica, quelli che premono perché si approvino le riforme del diritto
del lavoro, i jobs act, con l’azzeramento dei diritti dei lavoratori, la
precarietà eretta a sistema, l’insicurezza per tutti?
Non sono forse questi gli
economisti che auspicano queste
riforme strutturali dicendo che solo dal mercato può venire lo sviluppo
economico e che questo sviluppo economico beneficerà egualmente tutti?
Sono indegni gli economisti che
presentano la situazione come se le classi lavoratrici avessero “già ricevuto
tutto ciò che ragionevolmente potrebbero desiderare o attendere”.
Oggi molti economisti sono discesi a
un livello di indegnità ancora più profondo rispetto a quello stigmatizzato da
Wicksell e presentano la situazione come se le classi lavoratrici avessero già
ricevuto più di quanto
ragionevolmente avrebbero dovuto attendersi o desiderare.
La retorica dell’”abbiamo vissuto al
di sopra dei nostri mezzi” è a un livello di indegnità che Wicksell
probabilmente non avrebbe potuto nemmeno immaginare ma è coerente con
un’ideologia reazionaria (e/o una psicopatologia antisociale) che vuole rimettere
indietro le lancette della storia e distruggere tutte le conquiste che le
classi lavoratrici hanno realizzato, in Italia e in Europa, nel dopoguerra.
P.S.
Ho trovato la citazione di una parte
del testo di Wicksell nel bel libro di Joan Robinson Economic Philosophy (tradotto in italiano con il titolo Ideologie e scienza economica).
Come esercizio per l’applicazione del
criterio di Wicksell propongo il confronto tra due articoli sul tema della
monetizzazione del debito pubblico: uno di Adair Turner del 18 marzo, tradotto
nel blog, Il tabù della monetizzazione del debito pubblico, e uno de lavoce.info del 16 maggio, Le conseguenze di un ripudio. Del debito.
martedì 13 maggio 2014
Dei delitti contro la personalità dello Stato
Dopo la notizia di reato data da
Geithner,
«In quell'autunno [2011] il
presidente [degli Stati Uniti Barack Obama] parlava regolarmente con i leader
europei ed io e Leal [sottosegretario al Tesoro per gli Affari
esteri] eravamo in costante contatto con le nostre controparti europee.
Alcune di loro sembravano essere infastidite
dalle nostre intrusioni e allo stesso tempo le stavano incoraggiando.
Ci hanno spesso chiesto di
intervenire per fare pressioni sul cancelliere Merkel affinché
fosse meno avara, o sugli italiani e gli spagnoli affinché fossero più
responsabili.
A un certo punto in quell'autunno, alcuni funzionari europei ci hanno
approcciato con un complotto per provare a fare cadere il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi.
Volevano che rifiutassimo di
appoggiare i prestiti del Fondo monetario internazionale all'Italia fino a
quando non se ne fosse andato.
Abbiamo riferito al presidente di
questo sorprendente invito ma, per quanto sarebbe stato utile avere una
migliore leadership in Europa, non potevamo essere coinvolti in un piano come
quello.
«Non possiamo avere il suo sangue
sulle nostre mani», ho detto.
una domanda: ci sono dei magistrati in Italia?
LIBRO SECONDO
DEI DELITTI
IN PARTICOLARE
TITOLO I
Dei delitti contro la personalità dello
Stato
Capo I
Dei delitti contro la personalità
internazionale dello Stato
Art. 241.
Attentati contro l'integrità,
l'indipendenza o l'unità dello Stato.
Salvo che il fatto costituisca più
grave reato, chiunque compie atti
violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di
esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o
l'unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni.
La pena è aggravata se il fatto è
commesso con violazione dei doveri inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche.
Art. 243.
Intelligenze con lo straniero a scopo
di guerra contro lo Stato italiano.
Chiunque tiene
intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia
atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti
allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. [...]
Art. 246.
Corruzione del cittadino da parte
dello straniero.
Il cittadino che, anche
indirettamente, riceve o si fa promettere dallo straniero, per sé o per altri,
denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di
compiere atti contrari agli interessi nazionali, è punito, se il fatto non
costituisce un più grave reato, con la reclusione da tre a dieci anni e con la
multa da euro 516 a euro 2.065.
Alla stessa pena soggiace lo
straniero che dà o promette il denaro o l'utilità.
La pena è aumentata:
1) se il fatto è commesso in tempo di
guerra ;
2) se il denaro o l'utilità sono dati
o promessi per una propaganda col mezzo della stampa.
Art. 255.
Soppressione, falsificazione o
sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato.
Chiunque, in
tutto o in parte, sopprime, distrugge o falsifica, ovvero carpisce, sottrae o
distrae, anche temporaneamente, atti o documenti concernenti la sicurezza dello
Stato od altro interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, è
punito con la reclusione non inferiore a otto anni. [...]
Art. 256.
Procacciamento di notizie concernenti
la sicurezza dello Stato.
Chiunque si
procura notizie che, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello
Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Agli effetti delle disposizioni di
questo titolo, fra le notizie che debbono rimanere segrete nell'interesse politico
dello Stato sono comprese quelle contenute in atti del Governo, da esso non
pubblicati per ragioni d'ordine politico, interno o internazionale.
Se si tratta di notizie di cui
l'Autorità competente ha vietato la divulgazione, la pena è della reclusione da
due a otto anni. [...]
Art. 257.
Spionaggio politico o militare.
Chiunque si
procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie che, nell'interesse
della sicurezza dello Stato, o comunque, nell'interesse politico, interno o
internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la
reclusione non inferiore a quindici anni. [...]
Art. 258.
Spionaggio di notizie di cui è stata
vietata la divulgazione.
Chiunque si
procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie di cui l'autorità
competente ha vietato la divulgazione è punito con la reclusione non inferiore
a dieci anni. [...]
Art. 259.
Agevolazione colposa.
Quando l'esecuzione di alcuno dei
delitti preveduti dagli articoli 255, 256, 257 e 258 è stata resa possibile, o
soltanto agevolata, per colpa di chi era in possesso dell'atto o documento o a
cognizione della notizia, questi è punito con la reclusione da uno a cinque
anni. [...]
Art. 260.
Introduzione clandestina in luoghi
militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.
È punito con la reclusione da uno a
cinque anni Chiunque: [...]
3) è colto in possesso ingiustificato
di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell'articolo
256. [...]
Art. 261.
Rivelazione di segreti di Stato.
Chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto indicate nell'art. 256 è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni. [...]
Se il colpevole ha agito a scopo di
spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima
parte di questo articolo, la pena dell'ergastolo; e, nei casi preveduti dal
primo capoverso, la pena di morte (1).
Le pene stabilite nelle disposizioni
precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia.
Se il fatto è commesso per colpa, la
pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima
parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle
circostanze indicate nel primo capoverso.
(1) La pena di morte per i delitti
previsti dal codice penale è stata abolita dal D.Lgs.Lgt. n. 224/1944.
Art. 264.
Infedeltà in affari di Stato.
Chiunque,
incaricato dal Governo italiano di trattare all'estero affari di Stato, si
rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento
all'interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Art. 270.
Associazioni sovversive.
Chiunque nel
territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni
dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali
costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l'ordinamento politico
e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Chiunque
partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da
uno a tre anni.
Le pene sono aumentate per coloro che
ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di
cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Art. 270-bis.
Associazioni con finalità di
terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico.
Chiunque
promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si
propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di
eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a
quindici anni.
Chiunque
partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci
anni.
Ai fini della legge penale, la
finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro
uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.
Nei confronti del condannato è sempre
obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a
commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il
profitto o che ne costituiscono l'impiego.
Art. 270-ter.
Assistenza agli associati.
Chiunque,
fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o
fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a
taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli
270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se l'assistenza è
prestata continuativamente.
Non è punibile chi commette il fatto
in favore di un prossimo congiunto.
Art. 270-sexies.
Condotte con finalità di terrorismo.
Sono considerate con finalità di
terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare
grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute
allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o
un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un
qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche
fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di
un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite
terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre
norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.
Capo II
Dei delitti contro la personalità
interna dello Stato
Art. 276.
Attentato contro il presidente della
Repubblica.
Chiunque
attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente
della Repubblica, è punito con l'ergastolo.
Art. 283.
Attentato contro la Costituzione
dello Stato.
Chiunque, con
atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione
dello Stato o la forma di Governo, è punito con la reclusione non inferiore a
cinque anni.
Art. 286.
Guerra civile.
Chiunque
commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato
è punito con l'ergastolo.
Se la guerra civile avviene, il
colpevole è punito con la morte (1).
(1) La pena di morte per i delitti
previsti dal codice penale è stata abolita dal D.Lgs.Lgt. n. 224/1944.
Art. 289.
Attentato contro organi
costituzionali e contro le assemblee regionali.
È punito con la reclusione da uno a
cinque anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette atti violenti diretti
ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
1) al Presidente della Repubblica o al
Governo l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla
legge;
2) alle assemblee legislative o ad una
di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali l'esercizio
delle loro funzioni.
Art. 291.
Vilipendio alla nazione italiana.
Chiunque
pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la multa da euro 1.000
a euro 5.000.
Art. 294.
Attentati contro i diritti politici
del cittadino.
Chiunque con
violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l'esercizio di un
diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla
sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Capo V
Disposizioni generali e comuni ai
capi precedenti
Art. 302.
Istigazione a commettere alcuno dei
delitti preveduti dai capi primo e secondo.
Chiunque
istiga taluno a commettere uno dei delitti, non colposi, preveduti dai capi
primo e secondo di questo titolo, per i quali la legge stabilisce la pena di
morte (1) o l'ergastolo o la reclusione, è punito, se l'istigazione non è
accolta, ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, con la
reclusione da uno a otto anni.
Tuttavia, la pena da applicare è
sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce
l'istigazione.
(1) La pena di morte per i delitti
previsti dal codice penale è stata abolita dal D.Lgs.Lgt. n. 224/1944.
Art. 304.
Cospirazione politica mediante
accordo.
Quando più persone si accordano al
fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, coloro che
partecipano all'accordo sono puniti, se il delitto non è commesso, con la
reclusione da uno a sei anni.
Per i promotori la pena è aumentata.
Tuttavia, la pena da applicare è
sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce
l'accordo.
Art. 305.
Cospirazione politica mediante
associazione.
Quando tre o più persone si associano
al fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, coloro che
promuovono, costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò
solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.
Per il solo fatto di partecipare
all'associazione, la pena è della reclusione da due a otto anni.
I capi dell'associazione soggiacciono
alla stessa pena stabilita per i promotori.
Le pene sono aumentate se
l'associazione tende a commettere due o più delitti sopra indicati.
[FINE]
domenica 11 maggio 2014
L'Unione Europea non è riformabile
João Ferreira
A União Europeia não é reformável
Intervista a Avante!,
20 marzo 2014.
Pubblicazione
disponibile qui.
Traduzione di marx21.it
(qui parzialmente rivista).
João Ferreira è il capolista
della Coalizione democratica unitaria (la coalizione promossa dal Partito comunista
portoghese) nelle elezioni del Parlamento Europeo del 25 maggio.
L'Unione Europea non è riformabile
Quale importanza assumono le prossime elezioni per il Parlamento Europeo
nel quadro dell'attuale situazione politica?
Assumono una indiscutibile
importanza.
Il Portogallo vive uno dei momenti
più bui della sua storia.
Mai come oggi è stata tanto evidente
la relazione tra i principali problemi del Paese e i vincoli imposti dall'integrazione
capitalista europea – il sostegno principale alle politiche di destra, nel corso
degli ultimi 28 anni.
I partiti che si sono alternati al
governo lungo questo periodo sono gli stessi che nelle istituzioni dell'Unione Europea,
compreso il Parlamento Europeo, hanno sottomesso il Portogallo, ripetutamente e
in modo crescente, a decisioni contrarie ai suoi interessi.
Queste elezioni sono un'opportunità
non solo per eleggere più deputati del Partito comunista portoghese e dei suoi
alleati nella Coalizione democratica unitaria (CDU) – deputati impegnati nella
difesa degli interessi nazionali e nella ferma difesa degli interessi dei
lavoratori e del popolo – il che, già di per sé non sarebbe poca cosa, ma anche
per dare più forza all'esigenza delle dimissioni di questo governo e della
sconfitta della politica di destra.
[...]
C'è chi, pur concordando con le giuste critiche che indirizziamo
all'integrazione capitalista europea e alle sue conseguenze, si domanda per
quale ragione allora votare e appoggiare chi è contro l'Unione Europea?
Il popolo portoghese e il Portogallo
hanno bisogno nel Parlamento Europeo di deputati che difendano convintamente e
coraggiosamente gli interessi nazionali e non di deputati ossequienti e
sottomessi ai disegni e alle proposte dell'Unione Europea.
Io direi che chi concorda con le
critiche che indirizziamo all'integrazione capitalista europea non potrà
assumere altro atteggiamento che quello di appoggiare e votare chi, come il Partito
comunista portoghese e la Coalizione democratica unitaria, da sempre, con
coerenza e in modo solidamente argomentato, ha previsto e contrastato gli
effetti di tale integrazione e l'ha sempre combattuta, senza illusioni né
ambiguità.
Questo appoggio e questo voto sono
una garanzia che si darà più forza a chi, nel Parlamento Europeo, assume come obiettivo
essenziale la difesa ferma degli interessi del Portogallo e dei portoghesi e
allo stesso tempo darà più forza alla lotta per l'alternativa patriottica e di
sinistra che assicuri, come nessun altro voto, la difesa e il recupero dei
diritti e dei redditi rubati e apra la prospettiva della costruzione di una
vita migliore per i lavoratori e il popolo portoghese.
Questo mandato (2009-2014) è stato attraversato da una crisi del
capitalismo senza precedenti nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale,
una crisi che ancora perdura. Si può dire che le contraddizioni e il carattere
imperialista dell'Unione Europea si sono aggravati?
Senza dubbio.
Essendo questo un processo di
integrazione capitalista, la crisi del capitalismo è, nell'Unione Europea, una
crisi della stessa Unione Europea, dei suoi fondamenti.
Non a caso, la risposta dell'Unione Europea
alla crisi ha seguito le linee fondamentali della risposta del sistema
capitalista alla sua crisi: distruzione delle forze produttive e aggravamento
dello sfruttamento, insieme alla concentrazione del potere politico ed
economico.
D'altro lato, si è accentuato il
carattere militarista dell'Unione Europea, la sua affermazione come blocco
militare e politico al servizio delle ambizioni imperialiste delle grandi
potenze. Crescono le spese militari e in collaborazione con la NATO aumenta la
partecipazione ad operazioni di ingerenza e aggressione a paesi sovrani.
L'adesione all'allora Comunità Economica
Europea fu uno strumento della controrivoluzione.
La firma dei successivi trattati
europei ha consolidato questo percorso traducendosi, in pratica, in una
maggiore dipendenza, in una minore sovranità e in un regresso economico e
sociale del Portogallo.
A 40 anni dalla rivoluzione, come si coniugano i valori di Aprile che
pretendiamo affermare nel futuro del nostro Paese nel quadro dell'attuale Unione
Europea?
L'inserimento del Portogallo nella Comunità
Economica Europea - Unione Europea, dal momento dell'adesione e fino al giorno
d'oggi, ha rappresentato, in termini generali, un conflitto con il regime
democratico che era emerso dalla Rivoluzione di Aprile e, evidentemente, con la
Costituzione della Repubblica che ha consacrato le sue grandi conquiste e la
visione di un paese indipendente e sovrano, orientato verso il progresso e la
giustizia sociale.
Le classi dominanti, che non hanno
mai accettato di aver perso potere con il 25 Aprile, hanno visto qui una grande
opportunità per soddisfare le loro ambizioni, legando il Paese all'integrazione
capitalista europea.
L'approfondimento dell'integrazione
si è tradotto in una escalation di questo conflitto.
Maastricht e la mancata costituzione
europea, poi recuperata nel Trattato di Lisbona, sono i passaggi cruciali che
dobbiamo sottolineare.
Allo stesso modo, gli sviluppi più
recenti (Fiscal Compact, Governance Economica, Semestre Europeo, il Patto Euro
plus) comportano evidentemente pericoli ancora maggiori per la sovranità e il
regime democratico, che potrebbero risultarne ancora più indeboliti.
Lo sviluppo di una politica
patriottica e di sinistra in Portogallo e, in termini più generali, la ripresa
del progetto di democrazia avanzata, che abbiamo iniziato con Aprile e che il Partito
comunista portoghese sviluppa nel suo programma, si scontrano, inevitabilmente,
con gli elementi portanti del processo di integrazione europeo.
Per questo proclamiamo con chiarezza,
senza ambiguità, la necessità della rottura con questi elementi portanti del processo
di integrazione.
Certi che nulla può obbligare il
Portogallo a rinunciare al diritto di scegliere le proprie strutture
socio-economiche e il proprio regime politico.
C'è chi sostiene che la crisi che ha colpito l'Unione Europea sia frutto
di errori della leadership, che ciò che si deve fare è oliare i meccanismi di
intervento dell'Unione, approfondire il federalismo per rispondere globalmente
ed efficacemente a questa e a future crisi. Esiste forse qualche possibilità di
riformare questa Unione Europea?
Al contrario di quanto esprime questo
orientamento (o disorientamento) di circostanza, che allude a “leader senza dimensione
europea” o ad altre ragioni del genere, frequentemente invocate, il modo con
cui l'Unione Europea si è mossa dipende dalle sue caratteristiche e dalla sua
natura di classe.
La situazione attuale evidenzia i
limiti dell'integrazione capitalista.
Ma non attenua la volontà di
proseguirla e approfondirla, da parte di coloro che già ne hanno beneficiato.
Al contrario.
In questa fase, l'approfondimento del
processo di integrazione richiede una ancora maggiore concentrazione del potere
politico ed economico in seno all'Unione Europea.
Una concentrazione di potere che
tende persino ad instaurare relazioni di dominio di tipo coloniale.
Viene evidenziato con maggiore
chiarezza il carattere antidemocratico del processo di integrazione e, ancora
una volta, vengono svelati i suoi limiti oggettivi, dimostrando che l'Unione Europea
non è riformabile e che i suoi assi federalista, neo-liberale e militarista
sono inseparabili.
I sostenitori delle soluzioni federaliste, anche coloro che invocano
questo inventato federalismo di sinistra, davanti alla critica del Partito
comunista portoghese a questo percorso non poche volte ci accusano di isolazionismo
e nazionalismo. Come rispondi a queste argomentazioni?
I tentativi di sottomissione delle nazioni in corso nell'Unione Europea
rappresentano una forma di oppressione di classe che viene esercitata sui
lavoratori e i popoli, oltre che un inquietante e pericoloso attacco alla democrazia.
Chi, pur dicendosi di sinistra, non se ne rende conto, o non vuole rendersene
conto, non comprende un elemento decisivo per intervenire sulla realtà del
nostro tempo, trasformandola nel senso del progresso sociale.
Se l'evoluzione del capitalismo ha portato le classi dominanti a
sacrificare gli interessi nazionali ai propri interessi di classe, allora, al
contrario, ciò conduce all'identificazione crescente degli interessi dei
lavoratori e del popolo con gli interessi nazionali.
Detto questo, noi non difendiamo
alcun isolazionismo e neppure alcuna soluzione autarchica, che oltre che non
essere possibile, non sarebbe neppure auspicabile.
Al contrario.
L'internazionalizzazione
dell'economia, la profonda divisione internazionale del lavoro,
l'interdipendenza e la cooperazione tra stati e i processi di integrazione
corrispondono a realtà e tendenze di evoluzione non esclusive del capitalismo.
In funzione del loro orientamento, delle
loro caratteristiche e obiettivi, tali processi possono servire i monopoli, o
possono servire i popoli.
E' diritto inalienabile di ogni popolo e di ogni paese lottare in difesa
dei suoi interessi e diritti.
L'Unione Europea non è stato il primo
processo di integrazione tra stati in Europa.
Certamente non sarà l'ultimo.
Sulla base dell'esperienza di precedenti elezioni, occorre ammettere che
il Partito socialista (PS) e il Partito socialdemocratico (PSD) basano la loro
campagna su questioni che nulla hanno a che vedere con i problemi reali del
popolo e del Paese, deviando l'attenzione su questioni come la Presidenza della
Commissione, per esempio. Come commenti tale strategia?
Il Partito socialista e il Partito
socialdemocratico - e ora anche il Centro democratico sociale (CDS) - hanno un compito
difficile in vista delle elezioni.
Questo compito è quello di tentare,
con tutti i mezzi, di dimostrare di essere diversi tra di loro mentre in realtà
erano e sono uguali.
Perché questi tre partiti, nello
stesso modo, si sono trovati uniti nella firma del patto di aggressione, e sono
stati uniti in tutto ciò che di più rilevante è stato votato al Parlamento
Europeo, in particolare negli ultimi cinque anni.
Per questa ragione, non mancheranno
manovre diversive.
Manovre che passano attraverso il
tentativo di illudere su ciò che è veramente in causa in queste elezioni.
Illudere sulla natura stessa di
queste elezioni, cercando di trasformarle in una presunta elezione del
presidente della Commissione Europea – il che non è, non è stato e non potrebbe
essere.
Vogliono nascondere che ciò che è in
causa è l'elezione dei deputati portoghesi al Parlamento Europeo.
Non è un caso.
Vogliono che si dimentichi che è
stato con l'appoggio di questi tre partiti che sono state approvate misure
profondamente contrarie agli interessi nazionali.
Vogliono che si dimentichi che invece
dell'indispensabile rinegoziazione del debito, che il Partito comunista
portoghese da tre anni propone, hanno scelto di vincolare il Paese a un patto
di aggressione, sfruttamento e impoverimento.
Vogliono soprattutto che si ignori la
dura realtà che rende infernale la vita di milioni di portoghesi, nascondendo
le responsabilità che portano nella situazione del Paese, derivante da anni di
politiche di destra promosse dai governi che si sono susseguiti di questi partiti.
L'esperienza ha dato completa ragione alla denuncia del Partito comunista
portoghese su ciò che avrebbe significato l'adesione all'euro. Ci sono voci e
settori che vedono nell'uscita dall'euro l'apocalisse, altri che difendono
l'uscita immediata dalla moneta unica. Puoi dirci la tua opinione?
L'ingresso del Portogallo nella
moneta unica ha condizionato e reso più fragile economicamente il Paese.
Il Paese ha perduto molto con
l'ingresso nell'euro.
Ma potrà perdere ancora di più, sia rimanendo
nell’euro, sia in uno scenario di riconfigurazione della zona euro, nella quale
venisse spinto ai margini, di fronte agli sviluppi della crisi che, in nessun
modo, possono essere ignorati.
Uscire dall'euro non significa tornare
al punto in cui eravamo quando siamo entrati. E ancora meno al punto in cui ci
troveremmo se non fossimo entrati.
Se è certo che il proseguimento
dell'attuale corso è assolutamente insostenibile, è anche chiaro che l'uscita
dell'euro può avvenire nell'interesse del popolo portoghese o può, al
contrario, avvenire nell'interesse di chi ha guadagnato con l'euro nel corsi di
tutti questi anni e che continua a guadagnare: interessi irrimediabilmente
antagonisti.
Pronunciandoci chiaramente per lo
scioglimento dell'Unione Economica e Monetaria, sosteniamo nello stesso tempo
la definizione, in collaborazione con l'insieme dei paesi colpiti nella loro
sovranità e sulla base del diritto allo sviluppo anche all’interno dell'euro, di
un programma che prepari l'uscita dalla moneta unica in accordo con gli
interessi di questi paesi e dei rispettivi popoli.
In un quadro in cui è assolutamente
chiaro che una cosa sarà l'uscita dall'euro guidata da un governo patriottico e
di sinistra, che affermi il primato degli interessi nazionali nelle relazioni
con l'Unione Europea, che protegga i lavoratori e il popolo dagli inevitabili
costi della decisione e approfitti in pieno delle opportunità di sviluppo che
si aprono, e un'altra, ben diversa, sarebbe l'uscita guidata dalle stesse forze
che ci stanno imponendo innumerevoli, ingiusti e sterili sacrifici in nome del
“mantenimento dell'euro”.
Con piena coscienza del fatto che ciò
che è decisivo per assicurare lo sviluppo sovrano e indipendente del Paese è la
realizzazione vittoriosa della lotta per la rottura con la politica di destra e
la costruzione di una politica patriottica e di sinistra e la chiara assunzione
del diritto inalienabile del popolo portoghese a far prevalere questo obiettivo
su qualsiasi altro interesse e condizionamento.
Quali sono le linee guida della campagna del Partito comunista portoghese
per le elezioni europee del 25 maggio? La lotta all'astensione è una
preoccupazione?
In queste elezioni, tutti noi
comunisti, e gli altri attivisti della Coalizione democratica unitaria, saremo
chiamati a costruire una campagna che deve essere allo stesso tempo di
mobilitazione per il voto e di spiegazione della necessità di rafforzare la Coalizione
democratica unitaria.
Una campagna che stiamo costruendo sulla
base del patrimonio delle attività svolte del
partito, del percorso compiuto di intransigente difesa degli interessi del
popolo e del Paese, con la definizione delle ragioni e dell'importanza del voto
alla Coalizione democratica unitaria e del suo contributo alla lotta più
generale in difesa dei diritti dei lavoratori e del popolo, sulla base dell'esigenza
di un'altra politica.
E costruiremo questa campagna con le
ragioni e l'autorità proprie di chi può presentarsi agli occhi del popolo portoghese
con la coerenza delle sue posizioni, alle quali i fatti hanno dato e danno
ragione.
Ci appelliamo per questo a tutti
coloro che, colpiti dalla politica di destra, lottano per un paese più giusto e
democratico, affinché non si astengano.
Perché facciano del 25 maggio, con il
loro voto alla Coalizione democratica unitaria, un giorno di lotta.
Che dicano, con il loro voto e non
con l'astensione, no ai partiti della troika nazionale.
Che condannino, con il loro voto e
non con l'astensione, gli usurai e l'oligarchia che vessano il popolo
portoghese.
Che dicano sì, con il loro appoggio e
il loro voto alla Coalizione democratica unitaria, allo sviluppo del
Portogallo.
Dicano sì al diritto dei portoghesi a
decidere del proprio destino.
Se dovessi presentare una sintesi delle ragioni dell'appoggio e del voto
alla Coalizione democratica unitaria come le riassumeresti?
E' nelle mani dei lavoratori e del
popolo portoghese la costruzione del loro futuro.
Nelle elezioni per il Parlamento
Europeo, il rafforzamento della Coalizione democratica unitaria, in termini di
voti, influenza e numero di deputati, è un obiettivo possibile e necessario.
Il voto alla Coalizione democratica
unitaria è l'unico che può assicurare la presenza di deputati nel Parlamento
Europeo che si impegnino per gli interessi nazionali e la difesa dei lavoratori
e del popolo.
Il voto alla Coalizione democratica
unitaria è l'unico voto coerente e decisivo per condannare la politica di
destra del Governo e dare forza alla lotta di chi non si rassegna e si batte
per un Portogallo più giusto, più fraterno, più democratico e sviluppato.
Un grande voto alla Coalizione
democratica unitaria, il 25 maggio, potrà rappresentare un fattore essenziale
per il cambiamento del corso della vita nazionale, per le dimissioni
dell'attuale governo e la sconfitta della sua politica, e per dare forza
all'alternativa politica, patriottica e di sinistra.