domenica 18 maggio 2014

Economisti indegni




Knut Wicksell

Lectures on Political Economy                                                   Volume I General Theory

1911.
Augustus M. Kelley Publishers, Fairfield - New Jersey 1977, pp.3-4.
Pubblicazione disponibile qui.



Economisti indegni

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



Quando diciamo che qualcosa è benefico o dannoso dal punto di vista economico, ci basiamo su di un postulato etico o filosofico, cioè su di una determinata concezione del diritto degli uomini a vivere e a godere dei beni della vita.
O assumiamo che tutti gli uomini abbiano gli stessi diritti e riconosciamo ogni individuo membro della società come uguale, o altrimenti, per una ragione o per l’altra, assumiamo l’esistenza di una differenza tra i singoli individui e in questo caso le ragioni di questa assunzione devono essere chiaramente espresse, se vogliamo che il nostro punto di vista sia fondato scientificamente.

Come sappiamo, le opinioni intorno a questa questione sono cambiate grandemente nel corso della storia.
Nei tempi più antichi solo le persone libere e successivamente solo le classi possidenti sono state considerate come effettivi membri della società; gli schiavi e le persone prive di proprietà venivano considerate come oggi sono considerati gli animali domestici - come semplici mezzi e non come fini. [...]
Negli scritti degli economisti svedesi del diciottesimo secolo [...] troviamo spesso affermazioni che mostrano come la concezione, così repellente per la nostra mentalità, del lavoratore come semplice bestia da soma fosse, non più di due secoli fa, profondamente diffusa e radicata.
Davvero si può considerare in qualche misura come un merito della scienza economica l’aver prodotto da questo punto di vista una rivoluzione nell’opinione pubblica.

Non appena cominciamo a considerare seriamente i fenomeni economici nel loro complesso e a ricercare le condizioni per il benessere della collettività, la considerazione degli interessi del proletariato deve emergere; e da questa alla proclamazione di diritti uguali per tutti il passo è breve.

Il concetto stesso di economia politica, perciò, o l’esistenza di una scienza che porti questo nome, implica a rigore un programma rivoluzionario.
Non deve far meraviglia che il concetto sia vago, perché questo accade spesso per un programma rivoluzionario.
Naturalmente, molti problemi pratici e teorici rimangono insoluti prima che l’obiettivo dello sviluppo economico e sociale si possa dire chiaramente compreso.

Qualcosa si può dire ancora in favore del vecchio punto di vista; ma, in ogni caso, va detto con chiarezza e senza tergiversazione.
Se per esempio, noi consideriamo le classi lavoratrici come esseri inferiori, o se, senza andare così lontano le consideriamo non ancora mature per avere integralmente una quota del prodotto della società, allora noi dovremmo esprimerci chiaramente e basare il nostro ulteriore ragionamento su questa opinione.

Vi è soltanto una cosa che è indegna della scienza: nascondere o fuorviare la verità.

Vale a dire, in questo caso:
-         presentare la situazione come se le classi lavoratrici avessero già ricevuto tutto ciò che ragionevolmente potrebbero desiderare o attendere, oppure
-         far assegnamento su infondate, ottimistiche convinzioni che gli sviluppi economici in se stessi tendano alla maggior soddisfazione di tutti.




[FINE]




Commento

Non è difficile riconoscere una radicata ideologia reazionaria o una psicopatologia antisociale (o entrambe) nelle parole di un economista che considera le classi lavoratrici come inferiori e predica, per loro, la durezza del vivere.

E’ invece difficile riconoscere la menzogna, l’inganno, la verità nascosta, la pura falsità nel discorso economico.


Gli economisti indegni si guardano bene dal manifestare la loro ideologia reazionaria, dall’esplicitare le loro preferenze di classe, dall’affermare che per loro i lavoratori sono bestie da soma, o anche solo bestie, untermenschen o esseri inferiori.

Wicksell indirettamente ci offre un criterio per riconoscere gli economisti indegni: a fructibus eorum cognoscetis eosdai loro frutti li riconoscerete.

Sono indegni gli economisti che invitano a “far assegnamento su infondate, ottimistiche convinzioni che gli sviluppi economici in se stessi tendano alla maggior soddisfazione di tutti”.
Non sono forse questi gli economisti che parlano di “luci in fondo al tunnel”,  che lodano i conti in ordine, che condannano “i debiti lasciati ai nascituri” o “alle future generazioni”, quelli che predicano l’austerità espansiva, che auspicano tagli sempre più estesi ai salari, alle pensioni e alla spesa sociale e la riduzione complessiva della spesa pubblica, quelli che premono perché si approvino le riforme del diritto del lavoro, i jobs act, con l’azzeramento dei diritti dei lavoratori, la precarietà eretta a sistema, l’insicurezza per tutti? 
Non sono forse questi gli economisti che auspicano queste riforme strutturali dicendo che solo dal mercato può venire lo sviluppo economico e che questo sviluppo economico beneficerà egualmente tutti?

Sono indegni gli economisti che presentano la situazione come se le classi lavoratrici avessero “già ricevuto tutto ciò che ragionevolmente potrebbero desiderare o attendere”.
Oggi molti economisti sono discesi a un livello di indegnità ancora più profondo rispetto a quello stigmatizzato da Wicksell e presentano la situazione come se le classi lavoratrici avessero già ricevuto più di quanto ragionevolmente avrebbero dovuto attendersi o desiderare.
La retorica dell’”abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi” è a un livello di indegnità che Wicksell probabilmente non avrebbe potuto nemmeno immaginare ma è coerente con un’ideologia reazionaria (e/o una psicopatologia antisociale) che vuole rimettere indietro le lancette della storia e distruggere tutte le conquiste che le classi lavoratrici hanno realizzato, in Italia e in Europa, nel dopoguerra.


P.S.
Ho trovato la citazione di una parte del testo di Wicksell nel bel libro di Joan Robinson Economic Philosophy (tradotto in italiano con il titolo Ideologie e scienza economica).
Come esercizio per l’applicazione del criterio di Wicksell propongo il confronto tra due articoli sul tema della monetizzazione del debito pubblico: uno di Adair Turner del 18 marzo, tradotto nel blog, Il tabù della monetizzazione del debito pubblico, e uno de lavoce.info del 16 maggio, Le conseguenze di un ripudio. Del debito.



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