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Antonio Gramsci
Einaudi o dell'utopia liberale
Avanti!, ediz.
piemontese, 25 maggio 1919, XXIII, n. 144.
Ripubblicato in
“L’Ordine Nuovo 1919-1920”, Giulio Einaudi editore, Torino 1954, pp. 232-235.
Einaudi o dell'utopia liberale
Nella Nuova Rivista Storica Umberto Ricci ha proposto che fossero
raccolti in volume gli innumerevoli articoli coi quali il prof. Luigi Einaudi
ha, durante un ventennio, erudito il popolo italiano, dalle colonne della Stampa e del Corriere della Sera, sui problemi della nostra vita economica
nazionale.
Ci associamo alla proposta del Ricci
e la integriamo: la direzione del Partito faccia compilare un'epitome del
volume e la diffonda; sarà un efficace contributo alla propaganda comunista, un
documento di prim'ordine dell'utopia liberale.
Einaudi rimarrà nella storia
economica come uno degli scrittori che più hanno lavorato a edificare sulla
sabbia.
Serio come un bambino che s'interessa
al gioco, ha tessuto un'infinita tela di Penelope che la crudele realtà gli ha
quotidianamente disfatto.
Costante ed imperterrito ha sempre
continuato a distendere i suoi articoli sobri, saggi, pazienti per spiegare,
per rischiarare, per incitare la classe dirigente italiana, i capitalisti
italiani, industriali ed agrari, a seguire i loro veri interessi.
Miracolo strano e stupefacente: i
capitalisti non vollero mai saperne dei veri interessi, continuarono per la
loro scorciatoia melmosa e spinosa, invece di saldamente [tenersi sulla strada]
maestra della libertà commerciale totalmente applicata.
E gli scritti dell'Einaudi ne
diventano un eterno rimpianto, un gemito sommesso che strazia le viscere: ah!
se avessero fatto questo, ah! se il Parlamento..., ah! se gli industriali!..., ah!
se gli operai..., ah! se i contadini..., ah! se la scuola..., ah! se i
giornali..., ah! se i giovani!...
Da vent'anni è la stessa elegia che
risuona dall'Alpi al Lilibeo; e gli uomini non hanno cambiato, e la vita
economica non ha spostato il suo asse che impercettibilmente, e la corruzione,
l'imbroglio, l'illusione demagogica, il ricatto, la truffa parlamentare,
l'anchilosi burocratica sono rimaste le supreme idee conduttrici dell'attività
economica nazionale.
Einaudi è antimarxista implacabile;
non riconosce al Marx merito alcuno; recentemente gli ha negato persino, in
polemica con Benedetto Croce, il merito affatto esteriore di aver dato impulso
alle ricerche economiche nello studio della storia.
Per Einaudi, Marx non è uno
scienziato, non è uno studioso che proceda sistematicamente dal riconoscimento
della realtà effettuale economica; è un giocoliere della fantasia, un acrobata
del dilettantismo. Le sue tesi sono arbitrarie, le sue dimostrazioni sono
sofistiche, la sua documentazione è parziale.
Eppure, il reale sviluppo della
storia dà ragione a Marx; le tesi marxiane si attuano rigidamente, mentre la
scienza di Einaudi va in pezzi e il mondo liberale si disfà, in Inghilterra con
maggior schiamazzo che altrove.
La verità è che la scienza economica
liberale ha solo la parvenza della serietà, e il suo rigore sperimentale non è
che una superficiale illusione.
Studia i «fatti» e trascura gli
«uomini»; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente
simili, immanenti alla realtà dell'economia che è concepita avulsa dal processo
storico generale della civiltà.
La produzione e lo scambio delle
merci vi diventano fine a se stessi; si svolgono in un meccanismo di cifre
rigide e autonome, che può venir «turbato» dagli uomini, ma non ne è
determinato e vivificato.
Questa scienza è, insomma, uno
schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e
matematica, che non ha mai avuto, non ha e non avrà mai riscontro alcuno nella
realtà storica.
I suoi addetti hanno tutta la
mentalità dei sacerdoti: sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del
male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso
mondo.
Accusano Marx di astrattismo perché
le sue teorie del plusvalore evadono dal dominio del rigore scientifico. Rigore
scientifico significa formulario della dottrina scientifica.
Marx stabilisce un paragone tra
l'economia capitalistica e il comunismo: un paragone, che è arbitrario, perché
il comunismo è un'ipotesi vana senza soggetto.
Ma tutta l'economia liberale non è un
paragone tra la realtà antiscientifica e uno schema dottrinario?
Dove esiste la perfetta società
liberale? Quando si è realizzata nella storia del genere umano? E se non si è
realizzata, non significa che è irrealizzabile, che riveste i caratteri
rivelatori dell'utopia?
Ma essa verrà, dicono i sacerdoti.
Lavoriamo, siamo pazienti, non
turbiamoci: le forze del male saranno sgominate, la verità rifulgerà agli
uomini illusi e pervertiti.
Intanto la guerra ha distrutto tutte
le conquiste dell'ideologia liberale.
La libertà, economica e politica, è
scomparsa nella vita interna degli Stati e nei rapporti internazionali.
Lo Stato è apparso nella sua funzione
essenziale di distributore di ricchezza ai privati capitalisti; la concorrenza
politica per il potere è soppressa con l'abolizione dei parlamenti.
La burocrazia si è estesa, diventando
più greve e impacciante.
Il militarismo, improduttivo secondo
l'economia liberale, è diventato il mezzo più potente di accumulare e
conservare il profitto, col saccheggio delle economie estere e il terrore
bianco all'interno.
Il monopolio si è rafforzato in tutte
le attività, assoggettando tutto il mondo agli interessi egoistici di pochi
capitalisti anglosassoni.
Gli schemi del liberalismo sono
disfatti: le tesi marxiane si attuano.
Il comunismo è umanismo integrale:
studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le
studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica che si sprigiona dai
cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe
proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione.
La demagogia, l'illusione, la
menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti
secondari della sua struttura, sono inerenti al disordine, allo scatenamento di
brutali passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società
capitalistica vive.
Non possono essere abolite, senza
abolire la struttura che la genera.
Le prediche, gli stimoli, le
moralità, i ragionamenti, la scienza, i «se...» sono inutili e ridicoli.
La proprietà privata capitalistica
dissolve ogni rapporto d'interesse generale, rende cieche e torbide le
coscienze.
Il lucro singolo finisce sempre col
trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma
morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un
miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di
ricchezza.
La vita degli uomini, le conquiste
della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo.
Queste alee, questo correr sempre
l'avventura, potrà soddisfare i dilettanti della vita e chi può mettersi in
salvo coi suoi; ma la grande massa ne diventa schiava, e si organizza per
liberarsi, per conquistare il potere di rendere sicura la vita e la civiltà, di
vedere l'avvenire, di lavorare e produrre per il benessere e la felicità e non
per l'avventura e la perversione.
Ecco perché lo sviluppo del
capitalismo, culminato nella distruzione della guerra, ha determinato il
costituirsi delle immense organizzazioni proletarie, unite da uno stesso
pensiero, da una stessa fede, da una stessa volontà; il comunismo, istaurato
attraverso lo Stato dei Consigli operai e contadini, che è l'umanismo
integrale, come lo concepì Carlo Marx, che trionfa di tutti gli schemi astratti
e giacobini dell'utopia liberale.
[FINE]
Curioso che questo sonoro spernacchiamento delle ridicole tesi liberali di Einaudi sia stato pubblicato proprio dal di lui figliolo.
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