Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

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venerdì 8 agosto 2014

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Einaudi o dell'utopia liberale

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Antonio Gramsci

Einaudi o dell'utopia liberale 

Avanti!, ediz. piemontese, 25 maggio 1919, XXIII, n. 144.
Ripubblicato in “L’Ordine Nuovo 1919-1920”, Giulio Einaudi editore, Torino 1954, pp. 232-235.



Einaudi o dell'utopia liberale




Nella Nuova Rivista Storica Umberto Ricci ha proposto che fossero raccolti in volume gli innumerevoli articoli coi quali il prof. Luigi Einaudi ha, durante un ventennio, erudito il popolo italiano, dalle colonne della Stampa e del Corriere della Sera, sui problemi della nostra vita economica nazionale.
Ci associamo alla proposta del Ricci e la integriamo: la direzione del Partito faccia compilare un'epitome del volume e la diffonda; sarà un efficace contributo alla propaganda comunista, un documento di prim'ordine dell'utopia liberale.

Einaudi rimarrà nella storia economica come uno degli scrittori che più hanno lavorato a edificare sulla sabbia.
Serio come un bambino che s'interessa al gioco, ha tessuto un'infinita tela di Penelope che la crudele realtà gli ha quotidianamente disfatto.
Costante ed imperterrito ha sempre continuato a distendere i suoi articoli sobri, saggi, pazienti per spiegare, per rischiarare, per incitare la classe dirigente italiana, i capitalisti italiani, industriali ed agrari, a seguire i loro veri interessi.
Miracolo strano e stupefacente: i capitalisti non vollero mai saperne dei veri interessi, continuarono per la loro scorciatoia melmosa e spinosa, invece di saldamente [tenersi sulla strada] maestra della libertà commerciale totalmente applicata.
E gli scritti dell'Einaudi ne diventano un eterno rimpianto, un gemito sommesso che strazia le viscere: ah! se avessero fatto questo, ah! se il Parlamento..., ah! se gli industriali!..., ah! se gli operai..., ah! se i contadini..., ah! se la scuola..., ah! se i giornali..., ah! se i giovani!...
Da vent'anni è la stessa elegia che risuona dall'Alpi al Lilibeo; e gli uomini non hanno cambiato, e la vita economica non ha spostato il suo asse che impercettibilmente, e la corruzione, l'imbroglio, l'illusione demagogica, il ricatto, la truffa parlamentare, l'anchilosi burocratica sono rimaste le supreme idee conduttrici dell'attività economica nazionale.

Einaudi è antimarxista implacabile; non riconosce al Marx merito alcuno; recentemente gli ha negato persino, in polemica con Benedetto Croce, il merito affatto esteriore di aver dato impulso alle ricerche economiche nello studio della storia.
Per Einaudi, Marx non è uno scienziato, non è uno studioso che proceda sistematicamente dal riconoscimento della realtà effettuale economica; è un giocoliere della fantasia, un acrobata del dilettantismo. Le sue tesi sono arbitrarie, le sue dimostrazioni sono sofistiche, la sua documentazione è parziale.

Eppure, il reale sviluppo della storia dà ragione a Marx; le tesi marxiane si attuano rigidamente, mentre la scienza di Einaudi va in pezzi e il mondo liberale si disfà, in Inghilterra con maggior schiamazzo che altrove.
La verità è che la scienza economica liberale ha solo la parvenza della serietà, e il suo rigore sperimentale non è che una superficiale illusione.
Studia i «fatti» e trascura gli «uomini»; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla realtà dell'economia che è concepita avulsa dal processo storico generale della civiltà.
La produzione e lo scambio delle merci vi diventano fine a se stessi; si svolgono in un meccanismo di cifre rigide e autonome, che può venir «turbato» dagli uomini, ma non ne è determinato e vivificato.
Questa scienza è, insomma, uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e matematica, che non ha mai avuto, non ha e non avrà mai riscontro alcuno nella realtà storica.
I suoi addetti hanno tutta la mentalità dei sacerdoti: sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso mondo.

Accusano Marx di astrattismo perché le sue teorie del plusvalore evadono dal dominio del rigore scientifico. Rigore scientifico significa formulario della dottrina scientifica.
Marx stabilisce un paragone tra l'economia capitalistica e il comunismo: un paragone, che è arbitrario, perché il comunismo è un'ipotesi vana senza soggetto.
Ma tutta l'economia liberale non è un paragone tra la realtà antiscientifica e uno schema dottrinario?
Dove esiste la perfetta società liberale? Quando si è realizzata nella storia del genere umano? E se non si è realizzata, non significa che è irrealizzabile, che riveste i caratteri rivelatori dell'utopia?
Ma essa verrà, dicono i sacerdoti.
Lavoriamo, siamo pazienti, non turbiamoci: le forze del male saranno sgominate, la verità rifulgerà agli uomini illusi e pervertiti.

Intanto la guerra ha distrutto tutte le conquiste dell'ideologia liberale.
La libertà, economica e politica, è scomparsa nella vita interna degli Stati e nei rapporti internazionali.
Lo Stato è apparso nella sua funzione essenziale di distributore di ricchezza ai privati capitalisti; la concorrenza politica per il potere è soppressa con l'abolizione dei parlamenti.
La burocrazia si è estesa, diventando più greve e impacciante.
Il militarismo, improduttivo secondo l'economia liberale, è diventato il mezzo più potente di accumulare e conservare il profitto, col saccheggio delle economie estere e il terrore bianco all'interno.
Il monopolio si è rafforzato in tutte le attività, assoggettando tutto il mondo agli interessi egoistici di pochi capitalisti anglosassoni.

Gli schemi del liberalismo sono disfatti: le tesi marxiane si attuano.
Il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione.
La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura, sono inerenti al disordine, allo scatenamento di brutali passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive.
Non possono essere abolite, senza abolire la struttura che la genera.
Le prediche, gli stimoli, le moralità, i ragionamenti, la scienza, i «se...» sono inutili e ridicoli.
La proprietà privata capitalistica dissolve ogni rapporto d'interesse generale, rende cieche e torbide le coscienze.
Il lucro singolo finisce sempre col trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza.
La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo.

Queste alee, questo correr sempre l'avventura, potrà soddisfare i dilettanti della vita e chi può mettersi in salvo coi suoi; ma la grande massa ne diventa schiava, e si organizza per liberarsi, per conquistare il potere di rendere sicura la vita e la civiltà, di vedere l'avvenire, di lavorare e produrre per il benessere e la felicità e non per l'avventura e la perversione.
Ecco perché lo sviluppo del capitalismo, culminato nella distruzione della guerra, ha determinato il costituirsi delle immense organizzazioni proletarie, unite da uno stesso pensiero, da una stessa fede, da una stessa volontà; il comunismo, istaurato attraverso lo Stato dei Consigli operai e contadini, che è l'umanismo integrale, come lo concepì Carlo Marx, che trionfa di tutti gli schemi astratti e giacobini dell'utopia liberale.


[FINE]


venerdì 14 febbraio 2014

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Il liberismo è di sinistra




Claudio Cerasa

La sfida di Renzi a Bersani

Il Foglio.it, 8 giugno 2012.
Pubblicazione disponibile qui



Il liberismo è di sinistra




 “Sì, è vero: adesso ci siamo.
Le primarie, almeno così sembra, alla fine si faranno; e noi, quando Pier Luigi Bersani ufficializzerà la sua scelta, saremo pronti a giocarci la nostra partita.
Lo faremo per sfidare il segretario, certo, ma soprattutto lo faremo per affermare le nostre idee, per dare una scossa al partito e per provare una buona volta a rivoluzionare, e a innovare, questo PD.
E però, carini, non fatevi illusioni: ché se qui noi siamo in campo non lo facciamo per partecipare, ma solo perché sappiamo che noi, oggi, in questa gara, possiamo vincere davvero”.

[...] questa mattina alle dieci in punto nella sede del PD [...] il segretario del partito, Pier Luigi Bersani [...] ufficializzerà una data che Renzi, come molti altri nel PD, aspettava da tempo.
Una data importante: 14 ottobre, giorno di primarie.

“E’ la scelta giusta – dice Renzi in questa conversazione con il Foglio – ed è una nostra vittoria dato che noi le primarie le chiedevamo da tempo. [...]

So che non sarà uno scherzo, naturalmente. So che la sfida sarà aperta e che le primarie non saranno come quelle di Firenze, e che per vincerle sarà necessario conquistare cifre mostruose, più o meno, diciamo un milione e mezzo di voti, ovvero cento volte i voti che ottenni tre anni fa a Firenze. Lo so, ma non ho paura: il nostro progetto è forte, e io ho le idee molto chiare su come poter costruire una piccola impresa”. [...]

“Vedete – continua Renzi – dico ‘noi’ non perché io ci tenga a fare l’acrobata con le parole ma solo perché so che nei prossimi mesi se dovesse emergere una candidatura più forte della mia io sono pronto a farmi da parte. E qui non si tratta di essere diplomatici: si tratta semplicemente di avere la consapevolezza che a guidare la partita deve essere qualcuno che ha la possibilità di vincere, e non di fare una mezza comparsata, sul modello Rosy Bindi, come è successo nelle ultime primarie del centrosinistra”. [...]

“Poco importa la formula. Qui contano i contenuti. E i contenuti della nostra battaglia saranno chiari: sono quelli che abbiamo elencato lo scorso anno alla Leopolda e sono quelli che ribadiremo a fine giugno a Firenze.

Non parleremo mai di alleanze, parleremo molto di liberismo, di merito, di Europa, ambiente e proveremo a dimostrare che per essere il principe dell’innovazione il PD non ha bisogno di ammanettarsi a qualche inutile lista civica”.

Renzi entra nel merito e prova a elencare alcuni punti del programma.

Primo: “Non faremo una sciocca campagna contro Mario Monti, ma spiegheremo per quale motivo, per la classe dirigente del PD, Monti è diventato un alibi per non ammettere una verità: che se il PD perde voti non è perché appoggia Monti ma perché fino a oggi non è riuscito a presentarsi di fronte agli elettori come un’alternativa credibile per guidare questo paese”.

Secondo: “Faremo una campagna sul merito, e cercheremo di dimostrare che un partito riformista, di fronte per esempio a riforme suggestive come quella suggerita dal ministro Francesco Profumo, non può permettersi di essere percepito come il partito che si preoccupa di non dare spazio al talento”.

Terzo: “Spiegheremo che senza chiarire i problemi legati all’Europa, e senza impegnarci per dare vita agli Stati Uniti d’Europa e dare la possibilità alla Bce di stampare moneta, i problemi del nostro paese, e non solo quelli economici, non verranno mai risolti”.

Quarto: “Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore”.

Quinto: “Mai più il modello Vasto e mai più coalizioni fatte per vincere, farsi ricattare e naturalmente non governare”.

Il cronista fa notare che alcuni tratti del programma coincidono con quelli del segretario ma su questo punto Renzi ha le idee chiare, e sostiene che ora come non mai è il momento di mostrare ed esplicitare qual è “il fallimento più grande di questa classe dirigente”.
“E’ qui la vera questione – dice Renzi – oggi non si tratta solo di rottamare qualcuno. Si tratta di spiegare che c’è un’intera generazione politica che fa parte di una squadra che negli ultimi vent’anni ha contribuito a portare il paese verso l’abisso in cui siamo precipitati. Finora i Bersani, i D’Alema e gli altri mostri sacri del PD hanno avuto l’occasione di realizzare le riforme che oggi dicono di voler fare un domani. L’occasione l’hanno avuta e non l’hanno sfruttata.

Ora tocca a noi: e se si vince bene, e se si perde faremo un sorriso e torneremo a Firenze e nelle nostre rispettive città. Tranquilli, però: se scendiamo in campo non lo facciamo per fare i bischeri: lo facciamo per vincere, e vedrete che ce la faremo”.


 [FINE]