Federico Caffè
Che spregiudicato quell’economista, ha scoperto
la legge della giungla
“Il Manifesto”, 7
dicembre 1978.
Federico Caffè, La
solitudine del riformista. A cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini.
Bollati Boringhieri,
Torino 2008, pp. 129-131.
La vera emergenza non è il “populismo” ma una
normalizzazione di tipo moderato
Vedere nel sindacato la forza dirompente
sia degli equilibri del mercato che delle potenzialità della programmazione è l’approdo
più recente, e fuorviante, della saggezza convenzionale.
La riscoperta del mercato, che non è
fenomeno esclusivamente italiano anche se nel nostro paese ha trovato
conturbanti consensi perfino nelle forze politicamente progressiste, lascia
sconcertati, in quanto appare immune da ogni ripensamento critico che sia
frutto della imponente documentazione teorica ed empirica disponibile sui
fallimenti del mercato: dalla sua incapacità di tutelare efficacemente il consumatore
che dovrebbe esserne il sovrano, al suo assoggettamento alle forze che
dovrebbero dipendere dalle sue indicazioni, al riconoscimento delle carenze che
esso manifesta nella segnalazione di esigenze vitali, ma non paganti, della collettività.
I propositi di programmazione, d’altro
canto, non si discostano ancora oggi dall’antica riserva mentale, di stampo
einaudiano, che esorcizzava, a suo tempo, lo stesso termine di piano, sfumandolo in quello più blando
di schema, o svuotandolo di una
connotazione specifica, in quanto “tutti fanno piani”.
Questo arretramento culturale si
traduce, fatalmente, in una deformazione nell’attribuzione delle responsabilità
di una situazione che si conviene definire meramente di emergenza.
Che di arretramento culturale si
tratti non dipende meramente dal ritorno all’antico: il ricupero di idee del
passato che siano state a torto trascurate o che non siano state adeguatamente
comprese a tempo debito, risulta generalmente valido.
Ma allorché Hayek ha, del tutto
recentemente, scritto che “la causa della disoccupazione risiede in una
deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero
automaticamente, in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile”, si
è di fronte non a una fruttuosa rielaborazione di idee che abbiano radici
lontane, ma all’ennesima attestazione dell’atteggiamento del ritorno retrivo di
chi non ha saputo niente apprendere e niente dimenticare.
L’informazione maggiormente in grado
di influenzare l’opinione pubblica, i messaggi delle persone in posizione di
potere e di responsabilità non differiscono da questa, in fondo patetica,
incapacità di studiosi indubbiamente eminenti, come Hayek, di riconsiderare in
modo nuovo antichi convincimenti.
Con la differenza che, in personaggi
di minor calibro intellettuale, non si è in presenza di un malinconico
attaccamento al mondo di ieri, ma di una cinica e spregiudicata resistenza all’avanzamento
sociale, qualificato con monotona insistenza come espressione della ondata
delle aspettative crescenti.
Frasi del genere, al pari delle
rampogne per il permissivismo scolastico (e occorrerebbe spesso chiedersi da
quali pulpiti venga la predica) o al pari dell’ipocrita lacerarsi le vesti nei
confronti dell’assenteismo operaio e della microconflittualità aziendale,
finiscono per essere vincenti nella pubblica opinione: e vi contribuisce, a mio
avviso, la reazione inadeguata e inefficace delle forze sindacali.
Anche per esse vale l’alto monito a
non aver timore: il che, tra gli altri significati, ha anche quello di non
dissociare l’autocritica che si consideri necessaria da una precisa, energica,
documentata opera di controinformazione.
La vera emergenza non è nell’economia,
il cui quadro è molto meno allarmante di quanto lo si prospetti con orchestrata
ma deformante abilità; bensì nel tentativo di bloccare ancora una volta l’ascesa,
necessariamente convulsa, dei ceti popolari, mediante una normalizzazione di
tipo moderato.
Non per nulla, l’istruzione impartita
“nelle zone esclusive della città” viene considerata a priori come valida;
mentre la fatica quotidiana intesa a rompere il monopolio delle conoscenze
viene ritenuta, per definizione, squalificata e squalificante.
Ma che il fastidio del tutto
esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica
di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la
tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende
particolarmente amaro il periodo che viviamo.
Se realmente si è ancora disposti a
seguire “programmaticamente” il ricatto dell’appello allo straniero; se
realmente ci si propongono come modelli di efficienza paesi che scaricano le
difficoltà cicliche sui lavoratori stranieri, o associano le virtù
tecnocratiche alla più elevata maldistribuzione del reddito; allora non resta
che una soluzione alla Guicciardini.
Intesa però, correttamente, non come
egoistico rifugio nell’interesse individuale; bensì “come disperata dedizione
al proprio dovere personale, familiare, professionale, quando non ci sia possibilità
di azione e impegno civile”.
[FINE]
N.B. Il grassetto è mio.
Non conoscevo Caffè...visto che non posso dubitare che abbia scritto queste cose nel 78, vien da chiedersi se mai siano state, non lette ma, comprese.
RispondiEliminaE in più di trent'anni nulla è cambiato.
Semplicemente perfetto.
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