Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

Visualizzazione post con etichetta Friedrich von Hayek. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Friedrich von Hayek. Mostra tutti i post

giovedì 11 settembre 2014

Share Button


Caro Hayek, preferiamo la democrazia



Margaret Thatcher

Lettera a Friedrich von Hayek del 17 febbraio 1982

Pubblicazione disponibile qui.   



Caro Hayek, preferiamo la democrazia

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]  



17 febbraio 1982
Mio caro professor Hayek,

La ringrazio per la sua lettera del 5 febbraio.
Mi ha fatto veramente piacere che lei abbia potuto partecipare alla cena così accuratamente organizzata da Walter Salomon.
Per me non è stato solamente un grande piacere ma, come sempre, è stato istruttivo e gratificante ascoltare le sue opinioni sulle grandi questioni del nostro tempo.

Conoscevo i notevoli successi dell’economia cilena nel ridurre in modo sostanziale la spesa pubblica nel corso degli anni ’70.
La progressione dal Socialismo di Allende all’economia capitalista basata sulla libera impresa degli anni ’80 è un esempio impressionante di riforma economica dalla quale possiamo trarre molte lezioni.

Tuttavia sono certa che lei concorderà che in Gran Bretagna, date le nostre istituzioni democratiche e la necessità di conseguire un elevato consenso, alcune delle misure adottate in Cile sono assolutamente inaccettabili.
Le nostre riforme devono essere in linea con le nostre tradizioni e la nostra Costituzione.
Certe volte il processo può apparire lentissimo.
Ma sono certa che porteremo a termine le nostre riforme nel nostro modo e con i nostri tempi.
Così esse dureranno.

Con i migliori auguri.
Distinti saluti
Margaret Thatcher

Professor Freidrich von Hayek





[FINE]


giovedì 1 maggio 2014

Share Button


Lavoratori di tutta Europa, unitevi contro l’euro!




Ambrose Evans-Pritchard

Workers of Europe unite, you've only euro chains to lose

Daily Telegraph, 18 dicembre 2011.
Pubblicazione disponibile qui.



Lavoratori di tutta Europa, unitevi contro l’euro!

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]



Quasi il 97 per cento della popolazione dell’Unione Europea è oggi governata da coalizioni di partiti conservatori o di destra, o dai mandarini imposti dall’Unione Europea. Tutto quello che rimane ai socialdemocratici sono l’Austria (8,4 milioni di abitanti), la Danimarca (5,5 milioni) e la Slovenia (2,1 milioni).
L’intero sistema di governo dell’Unione Europea è sotto il controllo della destra, nelle sue varianti del corporativismo renano nel Consiglio e dei seguaci pre-moderni di Hayek nella Banca Centrale Europea.
Sia che si consideri questa ascendenza hegeliana come buona o cattiva, essa ha certamente delle conseguenze profonde.
Infatti, come l'ex primo ministro britannico Margaret Thatcher protestò a Bruges dicendo che "non abbiamo ridotto con successo i confini dello Stato in Gran Bretagna per vederli poi ristabiliti a livello europeo", così la sinistra potrebbe ugualmente protestare che non ha combattuto la lunga e dura lotta per i diritti dei lavoratori nelle democrazie nazionali per vedere poi lo Stato sociale smantellato da Bruxelles e Francoforte.

In Italia, al gauleiter [viceroy] Mario Monti è stato più o meno ordinato di riformare il diritto del lavoro, di spezzare il potere dei sindacati spostando la contrattazione dal livello nazionale a quello della singola impresa e di riscrivere l’Articolo 18 che protegge i lavoratori contro il licenziamento individuale per motivi economici - la questione che ha portato all’uccisione di due riformatori del diritto del lavoro da parte delle Brigate Rosse dopo il 1998.
Non c’è dubbio che l’Italia debba affrontare i suoi sindacati se spera di competere nel mondo ma il mio punto è diverso.
Chi decide su queste questioni? Perché la sinistra italiana dovrebbe ritenere desiderabile che un maggiore potere sia concentrato nelle mani dell’Unione Europea quando questo potere sarà senza dubbio impiegato contro i lavoratori?
La sinistra potrà forse conquistare il governo in Italia ma non ha alcuna possibilità di conquistare il controllo delle leve politiche in Europa nel prossimo futuro, ammesso che abbia la possibilità di farlo.

David Begg, presidente del congresso dei sindacati irlandesi, ha dichiarato che il suo incontro con la Troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) che sta oggi ristrutturando l’Irlanda è stata un’esperienza che fa riflettere.
"Il contributo del rappresentante del Fondo Monetario Internazionale è stato molto costruttivo ma i funzionari dell’Unione Europea erano dei fanatici liberisti. E' stato un incontro molto teso, quasi una gara di urla."
"Sarebbe stato meglio se non avessimo mai aderito all'euro."

Le conseguenze di questa ascendenza nelle istituzioni dell'Unione Europea della destra renana - molto diversa dal conservatorismo anglosassone o del "piccolo plotone" di Burke, tra l'altro - sono state evidenti al vertice Merkozy di Bruxelles.
Come Paul Mason della BBC ha spiegato, l'accordo tra la Merkel e Sarkozy "ha messo fuorilegge le politiche fiscali espansive", consacrando nel diritto internazionale il dovere di conseguire disavanzi strutturali vicino allo zero, con vincoli costituzionali all'indebitamento, e sanzioni obbligatorie e commissari per il bilancio per le nazioni che non dovessero rispettare le nuove regole.
I 26 Stati che hanno concordato con questo piano della Merkel [nel Consiglio Europeo del 9 dicembre 2011] si sono privati del diritto di attuare delle politiche keynesiane controcicliche per favorire la crescita economica, e hanno accettato di privarsi di questo diritto per sempre dal momento che è praticamente impossibile abrogare ciò che è stato acquisito nell’ordinamento dell’Unione Europea [“Acquis”].
Personalmente non sono un keynesiano - come non lo sono molti lettori del Daily Telegraph - ma il fatto mi colpisce perché è folle assumere questo impegno.
Per la sinistra è certamente un disastro assoluto: non potrà mai più mettere in pratica la sua politica economica.

I seguaci della Fabian Society hanno sempre temuto che questo risultato fosse incorporato nell’Unione economica e monetaria. 
Essi chiamarono l’euro “l’inganno dei banchieri” [bankers’ ramp] ma in qualche modo i loro avvertimenti si persero nella isteria di massa diffusa nel momento dell’entrata in vigore dell’unione monetaria
Owen Jones ha dichiarato al New Statesman che è sconcertante come i socialisti siano stati così lenti nel riconoscere la minaccia.
"Il trattato proposto dall'Unione Europea [il Fiscal Compact] è probabilmente la più grande catastrofe che si abbatte sulla sinistra europea dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ora che è stata incastrata, la sinistra deve davvero ripensare a lungo e profondamente il suo atteggiamento nei confronti dell'Unione Europea, considerandola per come è stata costruita sinora.
Si ritiene ancora che chiunque critichi l'Unione Europea si metta in compagnia dei cospirazionisti dell’UKIP.
E’ paradossale il fatto che il sottolineare la evidente mancanza di democrazia dell'Unione Europea sia considerato di destra."

Ebbene, sì, siamo tutti cospirazionisti oggi. 
E questo non ha davvero nulla a che fare con l’essere di destra o di sinistra.

Inoltre, se si presta attenzione, la rabbia è oggi latente in tutta Europa, tra le fila del Partito socialista francese, nella Linke tedesca, nella italiana Rifondazione, e nel Partito socialista spagnolo.

Si noti lo sfogo della scorsa settimana di Pedro Nuno Santos, vicepresidente socialista dell’Assembleia del Portogallo.
"Abbiamo una bomba atomica che possiamo utilizzare contro i tedeschi e i francesi: questa bomba atomica è semplicemente il fatto che noi non pagheremo. Il debito è la nostra unica arma e dobbiamo usarla per imporre delle condizioni migliori. Dovremmo far tremare le gambe ai banchieri tedeschi".
La sacrosanta settimana lavorativa di 40 ore è stata allungata a 42 ore in Portogallo. 
Manuel Carvalho da Silva, segretario della Confederazione generale dei lavoratori portoghesi, ha detto che il taglio degli stipendi dei lavoratori pubblici, considerando i diversi pacchetti di austerità, raggiungerà il 27 per cento.
Si tratta di una "svalutazione interna" [internal devaluation] di proporzioni epiche.

Molto è stato scritto nelle ultime settimane sulla svolta dell'Europa verso l'estrema destra, sull'ascesa di Geert Wilders in Olanda, o del Fronte Nazionale di Marie Le Pen in Francia, o - molto diverse - sulle camicie nere della Garda Magyar del partito ungherese Jobbik.
Gli echi degli anni Trenta sono forti, e diventeranno ancora più forti quando l'insieme delle politiche monetarie e fiscali restrittive approfondiranno la depressione economica.

Ma c'è un altro paragone di pari risonanza: le elezioni vinte dal Fronte Popolare in Francia, con il sostegno del Partito comunista, nel maggio del 1936, e il rifiuto catartico della politica deflazionista.
Sia che Leon Blum personalmente volesse o no abbandonare il Gold Standard - quel precedente tra le due guerre dell'Unione Europea della disoccupazione - la logica delle sue politiche lo costrinse ad abbandonarlo.
L'ortodossia fu rovesciata.

La questione per la sinistra di oggi è se sia nel suo interesse continuare a difendere quel regime monetario dell’Unione Europea che ha spinto il tasso di disoccupazione giovanile al 49 per cento in Spagna, al 45 per cento in Grecia, al 30 per cento in Portogallo e in Irlanda, al 29 per cento in Italia e al 24 per cento in Francia - ma all’8,9 per cento in quella Germania per la quale l’euro è sottovalutato - e che non offre alcuna via di uscita credibile dalla crisi per l’Europa meridionale.

Compagni di tutta Europa, unitevi agli euroscettici.
Avete solo le vostre catene dell’euro da perdere.


[FINE]



domenica 16 settembre 2012

Share Button


La vera emergenza non è il “populismo” ma una normalizzazione di tipo moderato




Federico Caffè

Che spregiudicato quell’economista,                                                ha scoperto la legge della giungla

“Il Manifesto”, 7 dicembre 1978.
Federico Caffè, La solitudine del riformista. A cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini.
Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 129-131.




La vera emergenza non è il “populismo”                                         ma una normalizzazione di tipo moderato




Vedere nel sindacato la forza dirompente sia degli equilibri del mercato che delle potenzialità della programmazione è l’approdo più recente, e fuorviante, della saggezza convenzionale.
La riscoperta del mercato, che non è fenomeno esclusivamente italiano anche se nel nostro paese ha trovato conturbanti consensi perfino nelle forze politicamente progressiste, lascia sconcertati, in quanto appare immune da ogni ripensamento critico che sia frutto della imponente documentazione teorica ed empirica disponibile sui fallimenti del mercato: dalla sua incapacità di tutelare efficacemente il consumatore che dovrebbe esserne il sovrano, al suo assoggettamento alle forze che dovrebbero dipendere dalle sue indicazioni, al riconoscimento delle carenze che esso manifesta nella segnalazione di esigenze vitali,  ma non paganti, della collettività.
I propositi di programmazione, d’altro canto, non si discostano ancora oggi dall’antica riserva mentale, di stampo einaudiano, che esorcizzava, a suo tempo, lo stesso termine di piano, sfumandolo in quello più blando di schema, o svuotandolo di una connotazione specifica, in quanto “tutti fanno piani”.

Questo arretramento culturale si traduce, fatalmente, in una deformazione nell’attribuzione delle responsabilità di una situazione che si conviene definire meramente di emergenza.
Che di arretramento culturale si tratti non dipende meramente dal ritorno all’antico: il ricupero di idee del passato che siano state a torto trascurate o che non siano state adeguatamente comprese a tempo debito, risulta generalmente valido.
Ma allorché Hayek ha, del tutto recentemente, scritto che “la causa della disoccupazione risiede in una deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero automaticamente, in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile”, si è di fronte non a una fruttuosa rielaborazione di idee che abbiano radici lontane, ma all’ennesima attestazione dell’atteggiamento del ritorno retrivo di chi non ha saputo niente apprendere e niente dimenticare.

L’informazione maggiormente in grado di influenzare l’opinione pubblica, i messaggi delle persone in posizione di potere e di responsabilità non differiscono da questa, in fondo patetica, incapacità di studiosi indubbiamente eminenti, come Hayek, di riconsiderare in modo nuovo antichi convincimenti.
Con la differenza che, in personaggi di minor calibro intellettuale, non si è in presenza di un malinconico attaccamento al mondo di ieri, ma di una cinica e spregiudicata resistenza all’avanzamento sociale, qualificato con monotona insistenza come espressione della ondata delle aspettative crescenti.
Frasi del genere, al pari delle rampogne per il permissivismo scolastico (e occorrerebbe spesso chiedersi da quali pulpiti venga la predica) o al pari dell’ipocrita lacerarsi le vesti nei confronti dell’assenteismo operaio e della microconflittualità aziendale, finiscono per essere vincenti nella pubblica opinione: e vi contribuisce, a mio avviso, la reazione inadeguata e inefficace delle forze sindacali.
Anche per esse vale l’alto monito a non aver timore: il che, tra gli altri significati, ha anche quello di non dissociare l’autocritica che si consideri necessaria da una precisa, energica, documentata opera di controinformazione.

La vera emergenza non è nell’economia, il cui quadro è molto meno allarmante di quanto lo si prospetti con orchestrata ma deformante abilità; bensì nel tentativo di bloccare ancora una volta l’ascesa, necessariamente convulsa, dei ceti popolari, mediante una normalizzazione di tipo moderato.
Non per nulla, l’istruzione impartita “nelle zone esclusive della città” viene considerata a priori come valida; mentre la fatica quotidiana intesa a rompere il monopolio delle conoscenze viene ritenuta, per definizione, squalificata e squalificante.
Ma che il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo.

Se realmente si è ancora disposti a seguire “programmaticamente” il ricatto dell’appello allo straniero; se realmente ci si propongono come modelli di efficienza paesi che scaricano le difficoltà cicliche sui lavoratori stranieri, o associano le virtù tecnocratiche alla più elevata maldistribuzione del reddito; allora non resta che una soluzione alla Guicciardini.
Intesa però, correttamente, non come egoistico rifugio nell’interesse individuale; bensì “come disperata dedizione al proprio dovere personale, familiare, professionale, quando non ci sia possibilità di azione e impegno civile”.


[FINE]


N.B. Il grassetto è mio.