Carlo Azeglio Ciampi
Testimonianza per il convegno "L'autonomia
della politica monetaria"
Una riflessione a
trent'anni dalla lettera di Andreatta a Ciampi che avviò il divorzio tra il
Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia.
Roma, Palazzo
Altieri, 15 febbraio 2011.
Pubblicazione
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Il colpo di Stato riuscito.
Il
divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia nelle parole dei congiurati - Ciampi
Ho accettato ben
volentieri l'invito di Enrico Letta a ricordare le vicende del 1980/81 che
portarono Beniamino Andreatta e me a stipulare quello che è passato alla storia
come il "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia.
Sulle qualità di
Andreatta, come uomo di studio e di lungimirante impegno civile, mi sono già
espresso altre volte, segnatamente in occasione della giornata di studio
promossa dall'allora Ministro dell'Economia e delle finanze, Tommaso
Padoa-Schioppa, il 13 febbraio 2008.
Agli inizi degli anni
‘80, l’Italia viveva la seconda crisi petrolifera; il livello dei prezzi
segnava un tasso annuo superiore al 20 per cento. Da quasi dieci anni l’Italia
conviveva con un’inflazione a due cifre, che non ci doveva abbandonare per
altri cinque anni.
All’assemblea della Banca
d’Italia del maggio 1981, interpretando l’anima dell’Istituto che mi era stato
da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al Paese stabilità
monetaria: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca
centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e
della conseguente creazione monetaria.
Vorrei richiamare, per
sommi capi, le tre condizioni che enunciai allora:
"Il ritorno a un moneta stabile richiede un vero
cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca
centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la
distribuzione del reddito.
Prima condizione è che il potere della creazione della moneta
si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa ....
Oggi quella condizione deve essere soddisfatta soprattutto nei confronti del
settore pubblico, liberando la banca centrale da una condizione che permette ai
disavanzi di cassa di sollecitare una larghezza di creazione di liquidità non
coerente con gli obiettivi di crescita della moneta. Ciò impone il riesame dei
modi attraverso i quali, nel nostro ordinamento, l'istituto di emissione
finanzia il Tesoro: lo scoperto del conto corrente di tesoreria, la pratica
dell'acquisto residuale dei buoni ordinari alle aste, la sottoscrizione di
altri titoli emessi dallo Stato. In particolare è urgente che cessi
l'assunzione da parte della Banca d'Italia dei BOT non aggiudicati alle
aste....."
"Seconda condizione sono regole di procedura che
collochino le grandi decisioni di spesa nella prospettiva dell'equilibrio
monetario... Alle decisioni di spesa pubblica bisogna dare regole che
costringano al rispetto sostanziale dell'obbligo di copertura ... Occorre
ricercare e definire solennemente forme, quali ad esempio l'obbligo del
pareggio fra le entrate e le uscite correnti, con le quali dare concreta
attuazione al principio enunciato nella Costituzione ..."
"Terza condizione: occorre ricercare e definire forme
istituzionali attraverso le quali la negoziazione collettiva ritorni ad essere
strumento di governo della dinamica dei redditi e della condizione del lavoro
anziché di distruzione della moneta ...
Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure
di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del
ritorno a una moneta stabile."
Nel nostro paese, nello
scorcio degli anni settanta e all'inizio degli anni ottanta la creazione di
"moneta di banca centrale" - la moneta ad alto potenziale che stava
alla base della piramide della creazione della moneta e del credito - avveniva principalmente attraverso il canale
del Tesoro (gli altri due essendo le banche e l'estero) : questo per effetto di
una convenzione, non in forza di un obbligo di legge, che faceva sì che la
Banca agisse da acquirente residuale di tutti i BOT emessi dal Tesoro, al tasso
di interesse deciso dallo stesso Tesoro.
Il Governatore Baffi,
nelle Considerazioni finali del 1976 spiegò che la Banca aveva creduto di "accettare la validità di una ragione
economica storica più cogente della pur profonda convinzione di quanto sia
effimero e dispersivo il sostegno dell'occupazione e del reddito affidato
all'inflazione".
In effetti, la creazione
monetaria operata per il tramite del canale Tesoro agiva come un potente volano
di svilimento del valore, interno ed esterno, del valore della moneta,
attraverso una costante creazione del combustibile - la "base
monetaria" - che alimentava i processi inflazionistici.
In quelle difficili
condizioni, l'azione della Banca centrale nel controllo dei flussi monetari e
finanziari si traduceva in un continuo sforzo di assorbire ("mop up",
si diceva allora) la liquidità in eccesso, principalmente attraverso operazioni
di mercato aperto.
Ricordiamo inoltre che,
per un'economia di trasformazione quale quella italiana, caratterizzata da un
elevato grado di apertura sull'estero, la presenza di un'elevata liquidità sul
mercato interno facilmente si traduceva in tensioni sul cambio e sul tasso di
inflazione importata.
Aggiungasi che il nostro
sistema di determinazione delle retribuzioni, pubbliche e private, era
fortemente indicizzato. Ben pochi mettevano in dubbio il sistema delle
indicizzazioni al 100 per cento, effetto della scala mobile conseguente agli
accordi fra le parti sociali del 1975.
All’estero, ciò
consolidava l’immagine di una economia italiana caratterizzata da una congenita
propensione all’inflazione.
Andreatta e io eravamo
convinti che fosse indispensabile ridare autonomia alla politica monetaria; di
qui l'idea di modificare la prassi introdotta nel 1976 secondo la quale la
Banca d'Italia agiva da acquirente residuale dei titoli invenduti in asta.
Nell'autunno del 1980 avemmo con Andreatta lunghi colloqui sull'argomento. Trent'anni
fa, proprio di questi giorni, sulla base di uno studio condotto da un gruppo di
lavoro congiunto Tesoro-Banca d'Italia, ci scambiammo, con Andreatta, alcune
lettere con le quali si poneva termine al meccanismo automatico di acquisto
residuale; l'accordo si perfezionò nel luglio del 1981.
La riconquistata
autonomia della Banca centrale riduceva il finanziamento agevolato della spesa
pubblica, cosicché il tasso d'interesse poteva riprendere il suo ruolo chiave
di determinazione delle condizioni di equilibrio nel mercato monetario e
finanziario.
Con l'adesione alla
moneta unica quel cammino è stato portato a compimento. Soprattutto, la società
civile ha maturato una nuova mentalità, centrata sulla stabilità quale
condizione essenziale per un maggiore benessere economico e sociale. Ciò rese
l’Italia degna di partecipare fin da subito alla moneta unica.
[FINE]
Hei Giorgio, ti ho linkato proprio in quest'ultimo post di "orizzonte48" sulla tua meritoria opera di archiviazione delle fonti fondamentali.
RispondiEliminaA presto!
Troppo gentile! :-)
EliminaA presto!