Guido Carli
Come vivere col serpente
La Repubblica, 15
dicembre 1978.
La moneta non è soltanto per iniziati
Il dibattito pubblico sulla partecipazione
dell’Italia al sistema monetario europeo è stato inquinato dall’intreccio di
argomentazioni economiche e di argomentazioni politiche e i disputanti volta a
volta hanno attribuito peso maggiore alle une e alle altre secondo obiettivi di
natura politica.
Ma la vocazione antica al Sant’Uffizio
e alla scomunica per i dissenzienti è riapparsa; chi esprimeva perplessità
ragionevoli sul sistema monetario europeo veniva catalogato fra i nemici dell’Europa;
nell’assunto inaccettabile che essere in Europa equivale a dir sempre sì.
In simili occasioni i contendenti
mirano ad acquisire al sostegno delle proprie tesi il parere dell’organo
tecnico: nel caso in specie, la Banca d’Italia.
Costituisce motivo di soddisfazione
il constatare la imparzialità con la quale la Banca ha seguitato ad assolvere l’ufficio
di suprema magistratura dell’economia.
Essa ha proseguito nel rivolgersi all’opinione,
alle forze politiche, alle forze sociali senza temere di riuscire molesta ai
destinatari e qualche volta provocando a se stessa l’amarezza di risposte
insofferenti.
Esprimere un giudizio sulle
conseguenze di carattere economico riesce arduo nell’assenza d’informazioni
compiute.
Si dispone del testo della
risoluzione del Consiglio europeo del 5 dicembre, ma non dei pareri espressi
dal Comitato monetario e dal Comitato dei Governatori. Le stesse informazioni
deducibili dai resoconti parlamentari non arricchiscono apprezzabilmente l’informazione
che l’opinione possiede.
Nonostante il difetto d’informazione
oserei esprimere il convincimento che la delegazione presieduta dall’onorevole
Andreotti ha conseguito risultati soddisfacenti nelle definizione della
risoluzione concernente la istituzione di un sistema monetario europeo.
Ovviamente un accordo internazionale
istituisce vincoli ed è sempre possibile immaginare di allentare quelli
applicabili a se medesimi e stringere quelli applicabili agli altri.
Il giudizio andrebbe riferito ai
seguenti quesiti:
a) il sistema istituisce incentivi
sufficienti affinché i paesi con moneta forte e i paesi con moneta debole
conducano simmetricamente politiche convergenti verso un tasso d’inflazione uniforme?;
b) la modulazione dei margini di
oscillazione ammessa dal sistema è compatibile con tassi di inflazione divergenti
e tale da facilitare la modifica delle parità senza creare condizioni di facili
guadagni per la speculazione?
La disputa sulla simmetria del processo
di aggiustamento, sulla uguaglianza delle responsabilità incombenti sui
debitori e sui creditori ha origini antiche.
In un ambiente d’inflazione
generalizzata tendo a credere che gli obblighi più incalzanti dovrebbero incombere
sui debitori.
In ogni caso mi sembra difficile
immaginare automatismi capaci di graduare da soli le responsabilità degli
squilibri da parte di debitori e da parte di creditori.
Gli indicatori di divergenza possono
rivelarsi trappole entro le quali possono restare incastrati volta a volta gli
uni o gli altri.
Il progresso verso l’unificazione
monetaria richiede che tutti accettino limitazioni della sovranità.
Se questa volontà non esiste, nessun
automatismo è in condizioni di supplire.
Quanto alla possibilità di
rispecchiare negli aggiustamenti del tasso di cambio le divergenze dell’inflazione
in essere all’interno dei singoli paesi, mi sembra che il testo della
risoluzione di Bruxelles contenga disposizioni esplicite.
Mi riferisco a quelle indicate nei
paragrafi 3.2 e 3.6: in entrambi i casi il sistema fa leva sulla concertazione;
ma non è forse ciò l’essenza stessa di un accordo monetario che mira ed una
coordinazione più stretta imponendo limiti alla sovranità di ciascuno?
Se preoccupa l’accettazione di questi
limiti, ciò significa che preoccupa l’accettazione stessa del sistema.
Il principio che le politiche del
cambio fra le monete comunitarie e quelle appartenenti a paesi terzi e cioè il
dollaro degli Stati Uniti debbano essere coordinate e accolto dai paragrafi 3.5
e 5.2 dell’accordo di Bruxelles.
Un paese come il nostro non può
ammettere che il cambio tra le monete comunitarie e il dollaro sia lasciato
alla mercé di afflussi di fondi nascenti da decisioni assunte da detentori di
fondi in dollari posti fuori degli stessi Stati Uniti dai quali derivi una
spinta all’insù del canestro contenente le monete europee: la cosiddetta unità
di conto europea (chiamata scudo, con giuoco di parole).
In conclusione, mi sembra che la
risoluzione approvata dal Consiglio europeo non escluda la possibilità di
coesistenza nello stesso sistema di paesi con tassi di inflazione
differenziati.
Ovviamente un simile sistema ha
significato in quanto le divergenze fra essi vengano ristrette.
Non può essere assunto come elemento
durevole il loro persistere.
Mi sembra altresì che sotto il
profilo dell’interesse diretto dell’Italia sarebbe stato preferibile un sistema
di cambi basato su tassi effettivi senza per l’immediato obblighi positivi di
intervento, collocando l’accettazione di questi ultimi in un periodo nel quale
i differenziali inflazionistici si siano attenuati.
L’accordo di Bruxelles prevede che le
disposizioni concernenti l’identificazione delle divergenze e quindi delle
responsabilità di aggiustamento costituiscano oggetto di revisione dopo sei
mesi e non esclude che la partecipazione nel meccanismo di cambio possa
avvenire ad una data successiva all’entrata in esecuzione dell’accordo.
Alla luce di queste constatazioni mi
sembra che il nostro ingresso immediato dovrebbe esser giudicato non imprudente
e che l’evento non dovrebbe esser valutato catastrofico alla condizione però
che l’attesa fosse impiegata per consolidare gli impegni alla stabilità in
tutti i campi ed in special modo in quelli della negoziazione salariale; a
questo fine sarebbe utile che il Ministro del Lavoro facesse conoscere le
proprie valutazioni concernenti le piattaforme rivendicative in corso di esame
presso le categorie.
Federalisti europei eminenti sostennero
che alla unificazione delle monete si giunge dalla politica; oggi si tende ad
invertire il corso, giungendo alla politica dalla unificazione delle monete.
Qualunque scelta si compia, conduce
alla priorità della politica; lo stesso dibattito in corso lo conferma;
infatti, concerne la disponibilità degli Stati ad accettare limitazioni della
sovranità, indipendentemente dagli accorgimenti tecnici accolti.
Le dispute intorno alla attenuazione
delle asimmetrie insite nell’unità di conto europea per la diversa ponderazione
delle monete, alla opportunità di fissare la soglia di divergenza ad un livello
inferiore rispetto ai margini bilaterali, al trattamento delle situazioni di
creditore o debitore involontario che ne derivino, sono modi attraverso i quali
inconsapevolmente gli esperti si sostituiscono ai politici, offrendo strumenti
con i quali le loro azioni ed omissioni possono essere attribuite a fattori estranei
alla volontà di chi le compie.
Le decisioni di ultima istanza sono politiche:
esse concernono l’accettazione di un regime di cambi stabili nell’ambito dell’area
comunitaria che produce la conseguenza che ogni paese comunica agli altri impulsi
inflazionistici o deflazionistici proporzionali agli squilibri del suo
commercio estero e alla sue capacità di perdere o accumulare riserve.
Si chiede di accettare un regime di
cambi adatto a mantenere l’uniformità delle tendenze congiunturali in una
comunità di Stati con economie integrate o desiderosi di integrarsi.
Gli esperti possono e debbono fare
assegnamento sulla forza della ragione; ma essa sola non basta ad imbrigliare
la volontà politica.
Seneca non fu soltanto un grande
filosofo; fu anche un ottimo Ministro del Tesoro; ma il suo argomentare non
impedì all’imperatore di corrompere la moneta moltiplicandone la quantità. Dopo
dieci anni di servizio si dimise; il nostro Ministro del Tesoro [1], che pure
ha una origine simile a quella del predecessore, ha di fronte a sé un lungo
spazio di tempo quand’anche intendesse imitarne l’esempio.
Adopriamoci per agevolarne il compito
assumendo le responsabilità della condizione di ciascuno di noi.
Il progresso verso l’integrazione si
compie accettando limitazioni della sovranità, se non si è disposti a far ciò
meglio rinunciare all’idea della integrazione.
Infine, occorre non dimenticare che
le soluzioni. troppo complesse e quindi incomprensibili ai più non possono
beneficiare del sostegno dell’opinione; ed anche esso è necessario.
Parlare ai molti è più difficile che
parlare ai pochi iniziati: la moneta non è soltanto per iniziati.
[FINE]
[1]
Filippo
Maria Pandolfi.
Complimenti per il ritrovamento.
RispondiEliminaMolto bello.
RispondiEliminaMi è capitato quest'anno di sfogliare di Carli "Cinquant'anni di vita italiana" scritto nel 1993 in collaborazione con Paolo Peluffo, allora portavoce del Presidente del Consiglio Ciampi.
La mia personalissima sensazione è stata di trovarmi di fronte ad un libro scritto sotto ricatto. C'è un peana iniziale sul vincolo esterno ed uno finale sul Trattato di Maastricht. Ma l'esaltazione di entrambi è smodata (talmente eccessiva da apparire falsa) e comunque sempre accompagnata da una chiara indicazione dei pericoli che l'Unione monetaria comporta per l'economia italiana (dismissione dello Stato Impreditore e del patrimonio pubblico). Tra l'altro Carli lamenta in modo evidente l'assenza di una corretta informazione sulla svolta epocale di Maastricht e sulle ricadute sull'assetto costituzionale italiano.
In mezzo ci sono pagine splendide su la Cassa per il Mezzogiorno, su Mattei, Caffè e su Baffi e pochissime righe per Ciampi.
Insomma, sembra quasi un libro estorto dai momentanei vincitori ad un ex Governatore, ed ex Ministro del Tesoro del famigerato governo del CAF (all'epoca dunque un appartenente senza alcun dubbio al partito dei vinti) che nel 1975 aveva evitato l'attuazione del divorzio tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro definendolo "atto sedizioso".
Sai dove Carli definì "atto sedizioso" il divorzio?
EliminaSempre La Malfa http://archiviostorico.corriere.it/1993/dicembre/16/due_anime_Carli_Faust_italiano_co_0_93121616245.shtml
RispondiEliminaLui afferma nelle Considerazioni finali del Governatore della BdI del 1975, ma sul web non c'è l'originale.
Nota comunque come La Malfa figlio nel 1993 recensiva l'autobiografia (secondo la mia personalissima opinione in parte estorta).
Dopo aver googlato, direi che Carli lo ha detto il 31 Maggio 1974 nelle Considerazioni finali per l'anno 1974 lette all'assemblea dei partecipanti.
RispondiEliminaSe riesco a trovare una fonte certa, te la giro.
Eureka!!!
RispondiEliminahttp://www.bancaditalia.it/bancaditalia/storia/gov_dirgen/governatori/1960_1993/CF_1960_1981.pdf
pagina 563
Molto interessante ma niente affatto semplice la relazione di Carli del 1974. :)
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