Jacob Funk Kirkegaard
Why Europeans
and Americans Are Addicted to Budget Brinkmanship
9 gennaio 2013
Pubblicazione
disponibile qui
.
Sull’orlo della catastrofe. Le crisi come
strumento della politica interna e internazionale
[
Traduzione di Giorgio D.M. * ]
Il ritornello comune che echeggia
nella politica americana, specialmente tra i repubblicani, è che gli Stati
Uniti devono evitare, a qualsiasi costo, di diventare un’altra Europa.
Che ironia, allora, che proprio
grazie ai repubblicani, i politici americani ed europei siano giunti al punto
di fare affidamento sullo stesso tipo di politica del “rischio calcolato”
[brinkmanship, politica che consiste nel perseguire un corso
di azioni azzardate fino ad arrivare sull’orlo di una catastrofe al fine di
conseguire un vantaggio sugli avversari] nell’affrontare le questioni
riguardanti il bilancio pubblico, l’indebitamento pubblico e la politica
fiscale.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti,
il sistema è così paralizzato che le decisioni politiche fondamentali - come
l’approvazione di un bilancio del governo che rifletta le preferenze della
maggioranza che governa - non possono essere compiute senza scadenze
artificiali e “baratri”.
Il cosiddetto baratro fiscale [fiscal
cliff] del 31 dicembre 2012 - la combinazione di incrementi dell’imposizione
fiscale stabiliti per legge e di tagli alla spesa pubblica automatici che nelle
intenzioni avrebbe dovuto imporre un accordo - ha prodotto un misero
compromesso sul bilancio che semplicemente ha creato nuovi baratri con il
limite massimo al debito pubblico [debt ceiling] e le decisioni da prendere sul
bilancio pubblico che si riproporranno nei prossimi mesi, garantendo il fatto
che ancora una volta gli avversari nel Congresso dovranno correre contro il
tempo per evitare un risultato che assicura la distruzione reciproca.
Come è stato evidenziato qui molte
volte, tuttavia, i processi politici (e la bismarckiana produzione di salsicce)
nella zona euro e negli Stati Uniti sono sorprendentemente simili. Entrambi
sembrano incapaci di giungere a un accordo senza il timore di un disastro
imminente.
L’Economist
ha perfino ammonito che i leader politici statunitensi stanno “costruendo una
Brussels sul Potomac”. Come al solito però anche in questo paragone “la sirena
di St. James Street” è troppo severa nel suo giudizio sulla zona euro mentre
non riesce a biasimare adeguatamente la incompetenza politica dei suoi
confratelli anglosassoni.
Le differenze fondamentali esistenti
tra i problemi che la zona euro e gli Stati Uniti devono affrontare richiedono
strategie politiche differenti, ovviamente.
La zona euro ha un problema di
definizione della sua struttura istituzionale che richiede una cessione di
sovranità nazionale senza precedenti da parte dei paesi membri. Dopo la pace di
Vestfalia, gli Stati, anche in Europa, non vogliono rinunciare alla loro
sovranità.
Così non è una sorpresa il fatto che
la forte pressione dei mercati e la minaccia di un imminente disastro economico
(sotto la forma di un collasso dell’euro e/o del settore finanziario) sono
stati lo strumento utilizzato per forzare molti degli accordi presi a notte
avanzata nella zona euro sin dall’inizio del 2010.
Ridefinire la sovranità degli Stati
nella zona euro (ormai privi del controllo sul sistema bancario nazionale e incapaci
di assumere decisioni sovrane di politica fiscale) non è mai stata una cosa
facile.
Al contrario, negli Stati Uniti,
l’emergenza fiscale nel medio periodo (in antitesi al contenimento nel lungo
periodo dei costi della sanità e delle pensioni) consiste nel ritornare a una
economia non di guerra con una imposizione fiscale riportata indicativamente ai
suoi livelli storici.
I problemi dell’Europa sono molto più
grandi di quelli degli Stati Uniti.
Mentre l’Europa deve spogliare i suoi
paesi membri di parti critiche delle loro sovranità nazionali, il Congresso
deve solamente approvare bilanci credibili.
Il fatto che una strategia politica
del “rischio calcolato” che comprende la creazione di baratri artificiali sia
necessaria a Washington per raggiungere risultati di governo così basilari è la
attestazione delle disfunzioni politiche della capitale americana.
La volatilità dei mercati e le crisi
possono essere necessarie per guidare l’unificazione di un continente partendo
dal basso come avviene in Europa.
Ma non è possibile governare con
successo una nazione se la terapia d’urto [shock therapy] è necessaria per
portare a termine compiti di governo così fondamentali.
Tuttavia le recenti esperienze
europee di politica condotta sull’orlo di un disastro possono almeno fornire
alcuni indizi su come gli eventi si svolgeranno a Washington nei prossimi mesi.
Per comprendere l’essenza della
politica del “rischio calcolato” - una strategia politica che consiste nello
spingere deliberatamente una situazione pericolosa sino sull’orlo di una
catastrofe al fine di ottenere con la forza delle concessioni - il punto di
partenza migliore è la strategia della deterrenza nucleare e in particolare il
classico “Arms and Influence” del premio Nobel Thomas Schelling, pubblicato nel
1966.
In questo libro Schelling descrive la
politica del “rischio calcolato” come “la manipolazione del rischio condiviso
di una guerra... che sfrutta il pericolo che qualcuno possa inavvertitamente
superare il limite, trascinando l’altro con lui.”
Nella zona euro sin dal 2010, la
catastrofe si è profilata sotto la forma di un collasso dell’euro e/o del
sistema finanziario della zona euro.
Il rischio a Washington nei prossimi
mesi ovviamente non è una guerra. Piuttosto è la minaccia di una recessione nel
2013 (se il baratro fiscale non fosse stato evitato), un default sovrano degli
Stati Uniti (se il limite massimo al debito pubblico non viene elevato), o un
blocco della spesa del governo federale statunitense.
Schelling descrive la necessità di una
crisi per indirizzare i politici con queste parole:
“L’essenza delle crisi è la loro
imprevedibilità. Una “crisi” che si ritiene fiduciosamente che non comporti il
pericolo che le cose sfuggano di mano non è una crisi; non importa quanto
frenetica sia l’attività, finché si ritiene di essere al sicuro non c’è una
crisi. E una “crisi” che si sa che avrà come risultato un disastro o grandi
perdite, o enormi cambiamenti di un qualche tipo che sono però ampiamente
prevedibili, anche questa non è una crisi; finisce non appena incomincia, non
c’è ansia. L’essenza di una crisi è che le persone coinvolte non abbiano il
pieno controllo degli eventi.”
Nei termini del rischio definito
dall’economista Frank Knight, l’essenza della politica del “rischio calcolato”
è l’incertezza, che diversamente dal “rischio” quantificabile non ha una
distribuzione di probabilità. Il timore di qualcosa di terribile costringe i
politici ad assicurarsi contro un risultato di questo tipo.
Nella zona euro, una forte pressione
dei mercati ha instillato nei politici europei l’urgenza delle decisioni.
Non è avvenuto così negli Stati
Uniti, dove - ad eccezione del devastante crollo del mercato azionario avvenuto
dopo che il Congresso inizialmente respinse il TARP (Temporary Asset Relief Program)
nell’ottobre del 2008 (che compì il miracolo dal momento che il Congresso
approvò il TARP quattro giorni dopo) - i mercati finanziari hanno generalmente
ignorato la paralisi politica di Washington.
Invece i mercati hanno generosamente
e fiduciosamente premiato le istituzioni politiche di Washington, ritenute di
gran lunga superiori, e le generali prospettive di crescita con tassi di
interesse sui titoli del debito pubblico così bassi come non lo erano mai stati
in passato.
Per soddisfare gli investitori, le
attività degli Stati Uniti devono semplicemente sembrare migliori delle
attività alternative disponibili nella zona euro e in Giappone.
In assenza di sorveglianti dei titoli
del debito pubblico [bond vigilantes], i legislatori del Congresso sono stati
costretti a caricare le loro stesse armi e a creare le loro stesse crisi
artificiali.
Ho espresso il mio rincrescimento a
proposito della necessità di usare i mercati per costringere i leader politici
della zona euro ad arrendersi e a cedere sovranità politica.
Ma sono ottimista sul fatto che una
simile strategia possa avere successo a Washington.
Tuttavia la politica del “rischio
calcolato” presenta a Washington rischi che non sono presenti nella zona euro.
I leader europei, ad esempio, sono generalmente d’accordo nel ritenere che un
collasso del sistema debba essere evitato a qualsiasi costo. Non c’è un
consenso simile a Washington.
Solo perché l’assicurazione della
mutua distruzione, garantita dagli arsenali nucleari, ha trattenuto l’Unione
Sovietica e gli Stati Uniti da un conflitto nucleare durante la guerra fredda,
non c’è alcuna ragione per supporre che la stessa strategia funzionerebbe con
un Iran dotato di armi nucleari, messianico, il cui zelo per la guerra santa
può essere paragonato alle tendenze irrazionali di alcune componenti del
partito repubblicano.
In secondo luogo, i risultati
cooperativi del “gioco del pollo” [chicken
game] giocato nella zona euro sono stati facilitati dall’impatto
asimmetrico dell’escalation man mano che i paesi che hanno adottato la moneta unica si
muovevano verso l’orlo del disastro.
La Germania ritiene di non andare
incontro ad alcuna sofferenza economica finché la zona euro non si rompe
davvero (e a quel punto i costi sarebbero elevati). Ma le nazioni della
periferia della zona euro sono andate incontro a sofferenze molto prima di una
rottura, e soffrirebbero anche di più dopo.
Di conseguenza, il cancelliere Angela
Merkel è stata in grado di imporre un ritmo lento alla soluzione della crisi
della zona euro, confidando nel fatto che la Grecia e gli altri paesi che le si
opponevano avrebbero sofferto molto di più e molto prima, e quindi avrebbero
probabilmente ceduto prima.
I costi di una crisi negli Stati
Uniti non possono essere addebitati in modo simile a un solo partito, e quindi
si riducono le possibilità di un risultato positivo per una delle due parti.
Poiché i baratri negli Stati Uniti
sono artifici politici, essi possono essere smontati rinviando le decisioni,
specialmente in assenza di una pressione da parte dei mercati. Perversamente,
questo può negare i vantaggi derivanti per gli Stati Uniti da una struttura di
governo federale unitaria, da un sistema di controlli e contrappesi [checks and
balances] cioè molto meno macchinoso del sistema decisionale della zona euro
che comprende 17 diversi governi.
Che cosa dunque può dirci
l’esperienza della zona euro su chi potrebbe avere la meglio nei prossimi mesi
a Washington?
Dal momento che i mercati finanziari
sembrano disposti a concedere agli Stati Uniti il beneficio del dubbio, almeno
per ora, sarà il popolo americano a decidere chi biasimare per il prossimo
burrone al quale ci avvicineremo.
Di conseguenza, il presidente Obama
ha inviato un messaggio vincente a cavallo della fine dell’anno quando ha
affermato che i repubblicani erano disposti a rischiare tutto per proteggere le
aliquote di imposta che si applicavano ai milionari. I repubblicani della
Camera hanno ceduto e hanno accettato un incremento di più di 600 miliardi di
dollari delle imposte senza ricevere in cambio niente più di un simbolico
incremento dei tagli alla spesa.
I leader dei repubblicani del
Congresso ora sono convinti di aver evitato ulteriori incrementi delle imposte.
Sulla base di questo presupposto, ritengono che il prossimo giro di negoziati
debba essere sui tagli alla spesa. Ma è dubbio che il partito repubblicano
abbia realmente incrementato il suo potere contrattuale nei confronti del
presidente Obama con questo risultato.
Per un semplice motivo, perché il
potere contrattuale nei confronti di un presidente che non si deve ripresentare
appare discutibile.
Il presidente Obama potrebbe, ad
esempio, mettere al sicuro il suo lascito politico agendo unilateralmente per
evitare il limite massimo al debito pubblico - coniando quella moneta da un trilione di dollari o semplicemente ignorando
del tutto quel limite e rischiando la messa in stato di accusa [impeachment] e
un verdetto favorevole da parte della maggioranza democratica del Senato,
piuttosto che cedere alle richieste dei repubblicani di soli tagli alla spesa.
Il “gioco dello scaricabarile”
[“blame game”] fatto ex ante nella politica degli Stati Uniti è sempre
incostante e miope.
E’ difficile che la vittoria dei
democratici nel confronto sul baratro fiscale sia ricordata dal pubblico
americano quando le negoziazioni sul limite massimo al debito diverranno
concitate e il disastro si profilerà.
In verità, proprio perché il baratro
dovuto al limite massimo al debito pubblico è molto più grave del baratro
fiscale (un default degli Stati Uniti sul debito avrebbe quegli effetti
istantanei sui mercati che la minaccia di una recessione nel 2013 non ha mai avuto),
i repubblicani probabilmente avranno un potere contrattuale minore di quello
che hanno avuto a cavallo del nuovo anno.
Con la piena affidabilità e il
credito degli Stati Uniti in gioco, quale potere contrattuale potranno davvero
avere il presidente della Camera John Boehner e il leader dei repubblicani al
Senato Mitch McConnell?
Il presidente Obama avrà l’opzione di
esercitare unilateralmente il potere esecutivo. Anche se decidesse di non
ricorrere ad esso e di evitare un default bloccando i pagamenti della
previdenza sociale, dei rimborsi delle imposte, o dei contratti della difesa,
che cosa potranno guadagnare i repubblicani?
Esattamente come le ritorsioni
commerciali giustificate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio possono
essere regolate per infliggere il massimo danno politico alla nazione che viola
le regole, il Tesoro degli Stati Unti può determinare le priorità nei pagamenti
in modo tale da infliggere il massimo danno al partito repubblicano nei
confronti dell’opinione pubblica.
Il cosiddetto Ryan Budget e la
proposta privatizzazione dell’assistenza sanitaria non furono, alla fine,
decisivi nelle recenti elezioni presidenziali, eccetto forse che in Florida,
dove i pensionati votarono in massa. Ma non c’è dubbio che le richieste dei repubblicani
per drastici tagli al sistema pensionistico e alla assistenza sanitaria sono
impopolari. Obama ha vinto in Florida dopotutto.
Boehner e McConnell davvero pensano
che agitare lo spettro dei mercati finanziari o minacciare di paralizzare
l’attività del Governo federale per sostenere queste richieste si dimostrerà
una scelta vincente in termini di voti? Forse dovrebbero consultare l’ex leader
della maggioranza del Senato Bob Dole, che criticò le manovre dell’allora
presidente della Camera Newt Gingrich dirette a provocare la paralisi
dell’attività del governo nel 1995, perché danneggiarono la sua campagna contro
il presidente Bill Clinton nel 1996.
In conclusione, un default sovrano
degli Stati Uniti rimane una preoccupazione oziosa per quanto riguarda i
prossimi mesi. La compiacenza dei mercati finanziari appare giustificata.
L’idea del partito repubblicano di un suo maggiore potere contrattuale nei
prossimi round dei giochi del baratro è un mito. Sia nel caso in cui la
battaglia sul limite massimo al debito pubblico si concluda con un accordo tra
i due partiti sia nel caso in cui si concluda con un decreto del potere
esecutivo, la mia previsione è che ciò avverrà ampiamente secondo le condizioni
poste dal presidente Obama.
I repubblicani - così timorosi del
fatto che gli Stati Uniti possano tramutarsi nella Grecia - dovrebbero
ricordare che il primo passo che qualsiasi paese compie lungo quella strada è
quello di rinunciare a un modo di governare basato sui fatti, credibile e
responsabile.
[FINE]
* Ho aggiunto dei link
a Wikipedia per la politica del “rischio calcolato” o brinkmanship e per il
gioco del pollo o chicken game, e al blog di Paul Krugman per la proposta di
coniare una moneta di platino da un trilione di dollari come espediente legale
per aggirare il limite massimo al debito pubblico o debt ceiling.