Abba P. Lerner
Functional Finance and the Federal Debt
Social
Research: An International Quarterly. Volume 10, No. 1 (Spring 1943): 38-51.
Pubblicazione disponibile qui.
La Finanza Funzionale e il debito pubblico
[
Traduzione di Giorgio Di Maio * ]
Tranne la necessità di
vincere la guerra, non c’è oggi un altro compito che la società debba
affrontare più importante della eliminazione della insicurezza economica.
Se falliamo in questo,
dopo la guerra l’attuale minaccia alla civiltà democratica risorgerà di nuovo.
E’ perciò assolutamente
necessario che noi tentiamo di affrontare questo problema anche se ciò richiede
una riflessione abbastanza accurata e anche se il ragionamento si dimostra fino
a un certo punto contrario ai nostri preconcetti.
Negli ultimi anni sono
stati adeguatamente definiti i principi sulla base dei quali una azione
appropriata del governo può mantenere la prosperità della società ma coloro che
hanno proposto questi nuovi principi o non ne hanno visto tutte le logiche
conseguenze o si sono preoccupati in modo eccessivo di cercare di evitare che
il pubblico dovesse affaticarsi con quell’esercizio mentale che è necessario
per comprenderle.
Questo ha prodotto un
effetto boomerang.
Molte delle persone
preoccupate del bene pubblico, che pure hanno constatato come la spesa in
deficit [deficit spending] effettivamente consenta alla società di raggiungere
la prosperità, si oppongono ancora al mantenimento permanente della prosperità
raggiunta perché, nella loro incapacità di comprendere come
effettivamente il tutto funziona, sono facilmente spaventati da racconti
fiabeschi delle terribili conseguenze del deficit.
I
[1.1]
Come formulata da Alvin
Hansen e da altri che l’hanno sviluppata e resa popolare, la nuova teoria
fiscale (che avanzò per primo in una forma sostanzialmente completa John
Maynard Keynes in Inghilterra) suona un po’ meno nuova e assurda alle nostre
orecchie precondizionate di quanto suonerebbe se venisse presentata nella sua
forma più semplice e più logica, con tutte le sue implicazioni non ortodosse
dichiarate apertamente.
In alcuni casi una
formulazione meno sconvolgente può essere intenzionale, come espediente tattico
per attirare in modo serio l’attenzione. In altri casi ciò avviene non per un
desiderio di addolcire la pillola ma proprio per il fatto che gli autori stessi
non hanno visto tutte le implicazioni non ortodosse della loro teoria, forse
perché inconsciamente hanno stabilito un compromesso tra la nuova teoria e la
loro formazione ortodossa.
Ma ora sono proprio
questi compromessi che sono sotto attacco.
Ora più che mai è
necessario esporre i teoremi della nuova teoria nella loro forma più pura.
Solo così sarà possibile
ripulire l’aria dalle obiezioni che davvero sono preoccupate di quelle
difficoltà che appaiono tali solo quando la nuova teoria è costretta nella
vecchia struttura teoretica.
Fondamentalmente la nuova
teoria, come praticamente tutte le scoperte importanti, è estremamente
semplice. Certamente è questa semplicità che fa sì che il pubblico sospetti di
essa come di una teoria troppo facile.
Anche dotti professori
che non hanno potuto abbandonare le solite abitudini di pensiero hanno
protestato dicendo che la nuova teoria è “semplice logica” non avendo potuto
trovare in essa alcun difetto.
Qualsiasi progresso la
nuova teoria abbia compiuto sinora è stato ottenuto non semplificandola ma
rivestendola per renderla più complicata e accompagnando la sua presentazione
con impressionanti ma del tutto irrilevanti statistiche.
[1.2 - Finanza Funzionale]
L’idea centrale della
nuova teoria è che il governo deve
condurre la politica fiscale, cioè spendere e imporre tasse, prendere a
prestito e rimborsare i prestiti, emettere nuova moneta e ritirare moneta,
deve compiere tutto questo guardando solo
ai risultati di queste azioni sull’economia e ignorando qualsiasi
dottrina tradizionale su cosa sia sostenibile o non sostenibile.
Questo principio di
giudicare solo sulla base degli effetti è stato applicato in molti altri
campi dell’attività umana, dove è stato riconosciuto come il metodo della
scienza in opposizione alla scolastica. Il
principio di giudicare le misure fiscali sulla base del modo in cui funzionano,
cioè dei risultati che esse producono nell’economia, potremmo chiamarlo Finanza
Funzionale.
[1.3 - Prima legge della
Finanza Funzionale]
La prima responsabilità
finanziaria del governo (dal momento che nessun altro può assumersi questa
responsabilità) è quella di mantenere la
spesa totale per l’acquisto di beni e servizi nel paese a un livello né
maggiore né minore di quello che ai prezzi correnti acquisterebbe tutto quello
che è possibile produrre. Se si
permette alla spesa totale di salire al di sopra di questo livello ci sarà
inflazione, se si permette alla spesa totale di scendere al di sotto di questo
livello ci sarà disoccupazione.
Il governo può incrementare la spesa totale sia spendendo di
più esso stesso sia riducendo le tasse così che i contribuenti abbiano più
denaro a disposizione da spendere. Il governo può ridurre la spesa totale sia
spendendo meno esso stesso sia incrementando le tasse così che i contribuenti
abbiano meno denaro a disposizione da spendere.
Con questi mezzi la spesa
totale può essere mantenuta al livello necessario, sufficiente perché siano
acquistati i beni che possono essere prodotti da tutti quelli che vogliono
lavorare ma non così alto da provocare l’inflazione con una domanda (ai prezzi
correnti) superiore a quello che può essere prodotto.
Nell’applicare questa prima
legge della Finanza Funzionale, il governo può ritrovarsi ad incassare con le
tasse più di quello che spende o a spendere più di quello che incassa con le
tasse. Nel primo caso può accumulare la differenza [avanzo o surplus] nei suoi
forzieri o impiegarla per rimborsare parte del debito pubblico [national debt],
nel secondo caso dovrebbe coprire la differenza [disavanzo o deficit] o
prendendo a prestito il denaro necessario o creando moneta [printing money]. In
nessuno dei due casi il governo dovrebbe ritenere che ci sia qualcosa di particolarmente
buono o cattivo in queste conseguenze.
Il governo dovrebbe semplicemente concentrarsi nel mantenere la spesa totale a
un livello né troppo alto né troppo basso, in modo tale da prevenire così il
verificarsi sia della disoccupazione che dell’inflazione.
[1.4 - La tassazione]
Un interessante, e per molti
sconvolgente, corollario è che lo
strumento della tassazione non deve mai essere scelto semplicemente
perché il governo ha bisogno di denaro per effettuare i pagamenti.
Secondo i principi della
Finanza Funzionale, la tassazione deve essere giudicata solo sulla base dei
suoi effetti.
Gli effetti principali
della tassazione sono due: i contribuenti hanno a disposizione meno denaro da
spendere e il governo ha più denaro.
Il secondo effetto può
essere ottenuto così tanto più facilmente creando moneta che solo il primo
effetto è importante. Lo strumento della
tassazione deve quindi essere
impiegato solo quando è desiderabile che i contribuenti abbiano meno denaro da
spendere, per esempio quando essi altrimenti spenderebbero abbastanza da
far salire l’inflazione.
[1.5 - Seconda legge
della Finanza Funzionale]
La seconda legge della
Finanza Funzionale è che il governo
dovrebbe prendere a prestito denaro solo se è desiderabile che il pubblico detenga
meno denaro e più titoli di Stato, perché questi sono gli effetti
dell’indebitarsi del governo.
Questo potrebbe essere
desiderabile se altrimenti il tasso di
interesse dovesse ridursi troppo (a causa dei tentativi da parte di coloro
che possiedono troppo denaro di prestarlo) e indurre una spesa per investimenti
troppo elevata facendo così salire l’inflazione. Al contrario, il governo
dovrebbe prestare denaro (o rimborsare parte del suo debito) solo se è
desiderabile incrementare la moneta o ridurre la quantità di titoli di Stato
nelle mani del pubblico.
Quando la tassazione, la
spesa, l’indebitamento e la concessione di finanziamenti (o il rimborso dei debiti)
sono governati secondo i principi della Finanza Funzionale, qualsiasi eccesso delle spese rispetto alle
entrate [disavanzo o deficit], se
non può essere coperto con le riserve di denaro, deve essere coperto con la
creazione di nuova moneta, e ogni eccesso delle entrate sulle uscite [avanzo]
può essere distrutto o impiegato per riempire le riserve di denaro.
L’avversione quasi
istintiva che abbiamo contro l’idea di stampare
denaro, e la tendenza ad identificare il creare moneta con
l’inflazione, può essere superata se ci calmiamo e se prendiamo nota del fatto che
questo stampare non ha effetti sul
denaro speso.
L’ammontare del denaro
speso è regolato dalla prima legge della Finanza Funzionale, che si riferisce
in modo particolare all’inflazione e alla disoccupazione.
La creazione di moneta ha
luogo solo quando è necessario applicare la Finanza Funzionale con lo spendere
o con il concedere finanziamenti (o col rimborsare il debito pubblico). 1
[1.6 - Prescrizioni della
Finanza Funzionale]
In breve, la Finanza
Funzionale respinge completamente le dottrine tradizionali che raccomandano una
“finanza solida” e il principio di cercare di mantenere in pareggio il bilancio
relativo a un anno solare o a un qualsiasi altro arbitrario periodo di tempo.
Al loro posto, la Finanza
Funzionale prescrive:
-
primo,
l’aggiustamento della spesa totale
(spesa di tutti nell’economia, incluso il governo) al fine di eliminare sia la disoccupazione che l’inflazione, impiegando
la spesa pubblica quando la spesa totale è troppo bassa e la tassazione quando
è troppo alta;
- secondo,
l’aggiustamento della quantità di moneta
e di titoli di Stato detenuta dal pubblico per mezzo dell’indebitamento del
governo o del rimborso del debito, al
fine di ottenere quel tasso di interesse che porta al livello più desiderabile
degli investimenti;
-
e
terzo, la creazione di nuova moneta,
l’accumulo di riserve di denaro o la
distruzione di moneta a seconda delle
necessità per portare a termine le prime due parti del programma.
II
[2.1]
Nel giudicare le
formulazioni degli economisti su questo argomento è difficile distinguere tra
il tatto nel minimizzare le affermazioni più sconcertanti della Finanza
Funzionale e la mancanza di chiarezza da parte di coloro che non hanno compreso
appieno quanto le loro formulazioni relativamente ortodosse abbiano delle
implicazioni estreme.
All’inizio ci furono i
sostenitori dello stimolo fiscale [pump-primers] secondo i quali il governo avrebbe
dovuto semplicemente rimettere in moto
le cose e l’economia poi avrebbe potuto proseguire da sola.
Una formula abbastanza
simile a questa fu sviluppata dagli economisti scandinavi con una serie di
bilanci del ciclo economico, del capitale e di altri speciali tipi, che
dovevano essere in pareggio non anno per anno ma su di orizzonti temporali più
lunghi.
Come la formula dei
sostenitori dello stimolo fiscale anche quella degli economisti scandinavi
fallì perché non c’è alcuna ragione per ritenere che la politica di spesa e di
tassazione che mantiene la piena occupazione e previene l’inflazione porti
necessariamente a un bilancio in pareggio in un decennio più di quanto non lo
faccia in un anno o ogni quindici giorni.
Non appena ci si accorse
di questo - della mancanza di una qualsiasi garanzia del fatto che il
mantenimento di una società prospera consentirebbe di avere un bilancio in
pareggio, anche su periodi di tempo più lunghi - si dovette riconoscere che il
risultato potrebbe anche essere un debito pubblico continuamente crescente (se
la spesa addizionale dovesse essere coperta con l’indebitarsi del governo e non
con la creazione della moneta necessaria per coprire l’eccesso delle spese
rispetto alle entrate fiscali).
A questo punto, due cose avrebbero
dovuto essere chiarite: primo, che questa possibilità non mette in alcun modo
in pericolo la società, non importa a quali livelli impensati il debito pubblico
possa salire, finché la Finanza Funzionale mantiene la domanda totale per la
produzione corrente al livello adeguato; e secondo (anche se questo è molto
meno importante) che c’è una tendenza automatica al pareggio di bilancio nel
lungo periodo che è un risultato dell’applicazione della Finanza
Funzionale anche se essa non ammette il principio del pareggio di
bilancio.
[2.2]
Non importa quanti interessi debbano essere pagati sul debito
pubblico, lo strumento della tassazione non deve essere applicato a meno che
non sia necessario mantenere sotto controllo la spesa per prevenire
l’inflazione.
Gli interessi possono
essere pagati indebitandosi ancora di più.
Finché il pubblico è
disposto a prestare al governo non c’è alcuna difficoltà, non importa quanti
zeri si aggiungano al debito pubblico.
Se il pubblico diventa
restio a continuare a prestare al governo, allora deve o accumulare denaro o
spenderlo.
Se il pubblico accumula,
il governo può stampare la moneta occorrente per pagare gli interessi sul debito pubblico e le altre sue obbligazioni, e l’unico effetto è che il pubblico
detiene il denaro del governo anziché i titoli del governo e il governo si
risparmia la fatica di pagare gli interessi.
Se invece il pubblico spende,
la sua spesa incrementa il livello della spesa totale così che il governo non deve
più indebitarsi per sostenerla; e se il livello della spesa diventa eccessivo, quello
è il momento di utilizzare la tassazione per prevenire l’inflazione. I proventi
della tassazione possono quindi essere impiegati per pagare gli interessi e
rimborsare il debito pubblico.
In ogni caso la Finanza
Funzionale dà una risposta semplice e quasi automatica.
[2.3]
Questo però o non fu
visto chiaramente o venne considerato troppo sconvolgente o troppo logico per
essere detto al pubblico.
Invece si sostenne, ad
esempio da parte di Alvin Hansen, che finché c’è un ragionevole rapporto tra il
reddito nazionale e il debito, il pagamento degli interessi sul debito pubblico
può essere facilmente coperto con le tasse versate sul reddito nazionale
aggiuntivo creato dalla spesa in deficit [deficit spending].
Questa “concessione” non
necessaria aprì la strada ad una opposizione estremamente efficace contro la
Finanza Funzionale.
Anche persone che
capiscono chiaramente il meccanismo grazie al quale la spesa del governo
durante una depressione economica può incrementare il reddito nazionale di
diverse volte l’ammontare della spesa stessa, e che capiscono perfettamente che
il debito pubblico, quando non è dovuto ad altre nazioni, non è un peso sulla
nazione nello stesso modo che un debito di una persona nei confronti di
un’altra persona lo è per la prima persona, hanno finito con l’essere
fortemente contrari al “deficit spending” 2.
E’ stato sostenuto che
“sarebbe impossibile immaginare un programma più adatto del “deficit spending”
a minare in modo sistematico il sistema della impresa privata e ad accelerare
la catastrofe finale”. 3
Queste obiezioni si
basano sull’ammissione del fatto che sebbene ogni dollaro speso dal governo può
creare diversi dollari di reddito nazionale aggiuntivo nel corso dei prossimi
uno o due anni, gli effetti poi però svaniranno.
Da questo segue che se il
reddito nazionale deve essere mantenuto a un livello elevato allora il governo
deve continuare a contribuire alla spesa totale fin tanto che la spesa privata
è insufficiente da sola a garantire la piena occupazione.
Questo potrebbe
significare un continuo sostegno alla spesa da parte del governo per un periodo
di tempo indeterminato (anche se non necessariamente per una quota crescente
nel tempo); e se, come la “concessione” suggerisce, tutta questa spesa è
finanziata con l’indebitamento, il debito continuerà a crescere finché non sarà
più in un rapporto “ragionevole” con il reddito nazionale.
Questo conduce al punto
decisivo dell’argomentazione contro la spesa in deficit.
Se gli interessi sul
debito pubblico devono essere pagati con le tasse (lo ripeto, una assunzione
che non è messa in discussione dalla “concessione”) allora nel tempo questi
interessi verranno a costituire una importante frazione del reddito nazionale.
Le altissime imposte sui
redditi necessarie per raccogliere questa somma di denaro e per pagarla ai
detentori dei titoli di Stato scoraggerà gli investimenti privati rischiosi,
riducendo così tanto il ritorno netto sugli investimenti che gli investitori
non saranno più remunerati per il rischio di perdere il loro capitale.
Questo renderà necessario
per il governo di affrontare un deficit ancora maggiore per sostenere il
livello del reddito e l’occupazione.
Una tassazione ancora più
pesante sarà allora necessaria per pagare gli interessi sul debito - finché il
peso della tassazione non sarà così opprimente da rendere non profittevoli gli
investimenti privati, e da far collassare il sistema economico basato
sull’iniziativa privata.
Le aziende private e le
società falliranno tutte a causa delle tasse e il governo dovrà prendere il
controllo di tutta l’economia.
Questa argomentazione non
è nuova. Le identiche calamità, anche se oggi esse ricevono molta più
attenzione del solito, furono promesse quando venne proposta la prima legge
sulle imposte sui redditi, con una aliquota dell’uno per cento.
Tutto questo rende solo
più importante valutare la rilevanza dell’argomentazione.
III
Ci sono quattro
principali errori nell’argomentazione contro il deficit spending, quattro
ragioni per le quali la sua apparente conclusività è solamente illusoria.
[3.1]
In primo luogo, la stessa
elevata aliquota dell’imposta sui redditi che riduce i ritorni sugli investimenti
determina la deducibilità delle perdite alle quali si va incontro se
l’investimento si rivela un fallimento. Di conseguenza, il ritorno di un
investimento al netto del rischio di una perdita non dipende
dall’aliquota dell’imposta sul reddito, non importa quanto alta possa essere.
Si consideri una persona
nella fascia di reddito superiore a 50.000 $ all’anno che abbia accumulato
10.000 $ da investire. Con un rendimento del 6% questa somma darebbe un reddito
aggiuntivo di 600 $, ma dopo il pagamento delle imposte su questo reddito, con
un’aliquota del 60%, alla persona rimarrebbero solo 240 $. Si dice quindi che
la persona non investirebbe perché questi 240 $ sono una remunerazione
insufficiente per il rischio di perdere 10.000 $. Questa argomentazione
dimentica che se i 10.000 $ vengono tutti persi, la perdita netta per
l’investitore, una volta detratta la riduzione delle imposte da lui dovute sul
reddito, sarà solo di 4.000 $ e il tasso di rendimento sulla somma che egli
davvero rischia è di nuovo esattamente il 6%: 240 dollari sono il 6% di 4.000
$.
L’effetto delle imposte
sul reddito è quello di fare in modo che l’uomo ricco agisca come una specie di
agente che lavora per la società su commissione. Egli ricava solo una parte del
ritorno su un investimento, ma perde solo una parte del denaro che investe.
Qualsiasi investimento che sarebbe conveniente in assenza di imposte sul
reddito lo è anche con le imposte sul reddito.
Certamente, questa
correzione dell’argomentazione è strettamente vera solo se il 100% delle
perdite è deducibile dal reddito sottoposto a tassazione, nel caso in cui cioè
la detrazione delle perdite dall’imposta è calcolata con la stessa aliquota
dell’imposta sul reddito percepito.
Questa è una buona
argomentazione contro certe limitazioni sulla possibile deduzione dal reddito
sottoposto a tassazione delle perdite subite, ma questa è un’altra storia.
Qualcosa
dell’argomentazione rimane, anche, se la perdita portasse l’investitore in una
fascia di reddito inferiore per la quale lo sconto (e l’imposizione fiscale)
sarebbe a una aliquota inferiore. Ci sarebbe allora una qualche riduzione del
ritorno netto dell’investimento se confrontato con la perdita potenziale netta.
Ma questo si applicherebbe solo a investimenti così grandi da minacciare di
impoverire l’investitore nel caso di un fallimento. Fu proprio al fine di
affrontare questo problema che le società furono inventate, per rendere
possibile a molti individui di mettersi insieme e affrontare imprese rischiose
senza che una sola persona dovesse arrischiare tutte le sue fortune in una
singola avventura.
A parte gli investimenti
societari però, questo problema sarebbe quasi interamente risolto se l’aliquota
massima dell’imposta sui redditi fosse raggiunta a un livello relativamente
basso, ad esempio a 25.000 $ all’anno (basso, cioè, dal punto di vista degli
uomini ricchi che si suppone siano la fonte del capitale di rischio).
Anche se tutto il reddito
oltre la soglia dei 25.000 $ fosse tassato al 90% non ci sarebbe alcuno
scoraggiamento dell’investimento di una parte qualsiasi del reddito oltre
questo livello. Certo, il ritorno netto dopo il pagamento delle imposte sarebbe
solo un decimo del tasso di interesse nominale ma anche la somma messa a
rischio dall’investitore sarebbe solo un decimo del capitale effettivamente
investito e perciò il rendimento netto sul capitale davvero messo a rischio
dall’investitore rimarrebbe invariato.
[3.2]
In secondo luogo, questa
argomentazione contro la spesa in deficit durante una depressione economica sarebbe
indifendibile anche se il danno arrecato dal debito fosse così grande come è
stato suggerito.
Deve essere ricordato che
la spesa del governo incrementa il reddito nazionale reale in termini di
beni e servizi di diverse volte l’ammontare speso dal governo, e che il peso
del debito non è misurato dall’ammontare degli interessi pagati ma solo dai
problemi che comporta l’attività di trasferimento del denaro dai contribuenti
ai possessori dei titoli di Stato.
Perciò opporsi alla spesa
in deficit è come sostenere che se ti viene offerto un lavoro quando sei senza
a condizione che ti impegni a pagare a tua moglie degli interessi su una parte
del denaro guadagnato (o che tua moglie li paghi a te) è più saggio rimanere
disoccupato perché nel tempo accumuleresti un debito molto elevato nei
confronti di tua moglie (o lei lo accumulerebbe nei tuoi confronti) e questo
potrebbe causare delle difficoltà al matrimonio in futuro.
Anche se gli interessi
pagati fossero davvero persi per la società, invece che essere semplicemente
trasferiti all’interno della società da alcuni individui ad altri, essi
sarebbero comunque molto inferiori alla perdita che si avrebbe consentendo alla
disoccupazione di continuare.
Quella perdita sarebbe
diverse volte maggiore del capitale sul quale questi interessi
dovrebbero essere pagati.
[3.3]
In terzo luogo, non c’è
alcuna buona ragione per supporre che il governo dovrebbe raccogliere con la
tassazione corrente tutto il denaro necessario per il pagamento degli interessi
sul debito pubblico.
Abbiamo visto che la
Finanza Funzionale consente l’uso dello strumento della tassazione solo quando
l’effetto diretto della tassazione è nell’interesse della società, come
quando serve a prevenire una eccessiva spesa o investimenti eccessivi che
provocherebbero inflazione.
Se le tasse, imposte per
prevenire l’inflazione, non generano entrate sufficienti, gli interessi sul
debito pubblico possono essere coperti o con un maggiore indebitamento o con la
stampa del denaro. Non c’è alcun rischio in questo perché se ci fosse un
rischio di inflazione allora con le imposte si dovrebbe raccogliere un importo
maggiore.
Questo significa che la
dimensione assoluta del debito pubblico non ha alcuna importanza, e che
qualunque sia l’ammontare degli interessi che devono essere pagati, questi non
costituiscono affatto un peso per la società nel suo complesso.
Una esagerazione
completamente fantasiosa può illustrare questo punto.
Si supponga che il debito
pubblico raggiunga la fantastica cifra di diecimila miliardi di dollari (cioè
dieci trilioni, 10.000.000.000.000 $) così che gli interessi da pagare su di
esso siano di 300 miliardi di dollari all’anno [3%]. Si supponga che il reddito
nazionale reale in termini di beni e servizi che possono essere prodotti
dall’economia in una condizione di pieno impiego sia di 150 miliardi di
dollari. Gli interessi da soli, quindi, sarebbero pari a due volte il reddito
nazionale reale.
Non c’é dubbio che un
debito pubblico di queste dimensioni sarebbe giudicato “non ragionevole”. Ma
anche in questo caso di fantasia, il pagamento degli interessi non costituisce
un peso per la società.
Anche se il reddito reale
è di soli 150 miliardi di dollari, il redito nominale è di 450 miliardi, 150
miliardi derivanti dalla produzione di beni e servizi e 300 miliardi derivanti
dal possesso dei titoli di Stato che costituiscono il debito pubblico.
Di questi redditi monetari
pari a 450 miliardi, 300 miliardi devono essere raccolti con le tasse dal
governo per il pagamento degli interessi (se 10 trilioni è il limite stabilito
per legge al debito pubblico) ma dopo il versamento di queste tasse, nelle mani
dei contribuenti rimangono 150 miliardi, e questi sono sufficienti per
acquistare tutti i beni e i servizi che l’economia può produrre.
Davvero non sarebbe
affatto un bene per il pubblico avere più denaro a disposizione dopo il
pagamento delle imposte, perché se spendesse più di 150 miliardi di dollari non
farebbe altro che semplicemente provocare un rialzo dei prezzi dei beni
acquistati.
Il pubblico non potrebbe
ottenere più beni o servizi da consumare di quelli che il paese è in grado di
produrre.
Certamente, questo
esempio non deve essere inteso come l’ammissione del fatto che sia in qualche
modo probabile che un debito di questa dimensione possa essere il risultato
dell’applicazione della Finanza Funzionale.
Come verrà mostrato più
sotto, c’é una naturale tendenza del debito pubblico ad arrestare la sua
crescita molto prima che si avvicini anche lontanamente a quella cifra
astronomica con la quale abbiamo giocato.
L’assunzione infondata che gli interessi correnti sul debito pubblico
debbano essere raccolti con la tassazione nasce dall’idea che il debito debba
essere mantenuto in un “ragionevole” o “sostenibile” rapporto rispetto al
reddito (qualunque questo rapporto possa essere).
Se questa limitazione è accettata, la possibilità di indebitarsi
per pagare gli interessi è eliminata non appena il limite della
“ragionevolezza” è raggiunto, e se noi escludiamo anche, come un’idea
indecente, la possibilità di stampare il denaro necessario, allora
rimane solo la possibilità di raccogliere con la tassazione il denaro
necessario per il pagamento degli interessi sul debito pubblico.
Fortunatamente non c’è necessità di assumere queste
limitazioni finché la Finanza Funzionale sta in guardia contro l’inflazione,
perché è la paura dell’inflazione che è l’unica base razionale per un sospetto
contro lo stampare moneta.
[3.4]
Infine, non c’è alcuna
ragione per assumere che, come risultato della continua applicazione della Finanza
Funzionale per mantenere il pieno impiego, il governo debba indebitarsi sempre
di più ed accrescere il debito pubblico. Ci sono diverse ragioni per escludere
questa eventualità.
[3.4.1]
In primo luogo, il pieno
impiego può essere mantenuto con la creazione della moneta necessaria a
questo scopo, e questo non incrementa affatto il debito pubblico. E’
probabilmente consigliabile, comunque, permettere al debito e alla quantità di
moneta di crescere insieme con un certo equilibrio, finché l’uno o l’altro
devono crescere.
[3.4.2]
In secondo luogo, poiché
uno dei più grandi deterrenti contro gli investimenti privati è la paura che la
depressione arriverà prima che l’investimento sia ripagato, la garanzia di un
permanente pieno impiego renderà gli investimenti privati molto più attraenti,
una volta che gli investitori privati abbiano superato i loro sospetti nei
confronti della nuova procedura. Un livello più elevato degli investimenti
privati diminuirà la necessità della spesa in deficit.
[3.4.3]
In terzo luogo, al
crescere del debito pubblico, e con esso al crescere della ricchezza privata,
ci sarà un gettito crescente dalle imposte sui redditi più elevati e di
successione, anche se le aliquote fiscali rimarranno inalterate.
Il pagamento di queste
imposte per un importo più elevato non comporta una riduzione della spesa da
parte dei contribuenti. Perciò il governo non deve usare questi proventi per
mantenere il livello richiesto della spesa, e può utilizzarli per pagare gli
interessi sul debito pubblico.
[3.4.4]
In quarto luogo, mentre
cresce, il debito pubblico agisce come una forza che si autoequilibra,
riducendo gradualmente la necessità di una sua ulteriore crescita e
raggiungendo infine un livello di equilibrio al quale la sua tendenza a
crescere termina del tutto.
Maggiore è il debito pubblico
e maggiore è la ricchezza privata.
La ragione di questo è
che semplicemente per ogni dollaro di debito dovuto dal governo c’è un
creditore privato che possiede le obbligazioni del governo (magari attraverso
una società della quale possiede delle azioni) e che considera queste
obbligazioni come parte della sua ricchezza privata.
Maggiore è la ricchezza
privata e minore è l’incentivo ad incrementarla risparmiando sul reddito
corrente.
Dato che il risparmio
corrente è scoraggiato così da una grande accumulazione di risparmi passati, la
spesa aumenta in rapporto al reddito corrente (dal momento che la spesa è
l’unica alternativa al risparmio). Questo incremento della spesa privata rende
meno necessario che il governo impieghi la spesa in deficit per mantenere la
spesa totale al livello che garantisce il pieno impiego.
Quando il debito pubblico
è diventato così grande che la spesa privata è sufficiente a fornire quella
spesa totale necessaria per il pieno impiego, non c’è più alcuna necessità che
il governo spenda in deficit, il bilancio è in pareggio e il debito pubblico
automaticamente smette di crescere.
La dimensione di questo
livello di equilibrio del debito dipende da molti fattori. Si può solo
ipotizzare, e nella maniera più rozza. La mia stima è che esso sia tra 100 e
300 miliardi di dollari. Dato che il livello del debito pubblico è un risultato
e non un principio della Finanza Funzionale, l’ampiezza di questa stima non è
importante; non è necessaria per l’applicazione delle leggi della Finanza
Funzionale.
[3.4.5]
In quinto luogo, se per
una ragione qualsiasi il governo non desidera vedere crescere troppo la
ricchezza privata (sia nella forma di titoli di Stato che in altre forme) può
tenerla sotto controllo tassando le persone ricche invece che prendendo a
prestito da loro, nei suoi programmi di finanziamento della spesa diretta a
mantenere il pieno impiego.
Le persone ricche non
ridurranno la loro spesa in maniera significativa e così gli effetti sull’economia,
a parte un debito inferiore, saranno gli stessi che se il denaro fosse stato
preso in prestito da loro. Con questi strumenti il debito può essere ridotto a
qualsiasi livello si desideri e mantenuto a quel livello.
[3.5]
Le risposte alle
argomentazioni contro la spesa in deficit possono quindi essere riassunte come
segue:
-
Il
debito pubblico non deve necessariamente continuare a crescere;
-
Anche
se il debito pubblico cresce, gli interessi che devono essere pagati su di esso
non devono necessariamente essere coperti ricorrendo alla tassazione;
-
Anche
se gli interessi pagati sul debito pubblico sono coperti ricorrendo alla
tassazione, queste imposte costituiscono l’interesse su solo una piccola parte
dei benefici generati dalla spesa del governo, e gli interessi non sono persi
per la nazione ma sono semplicemente trasferiti dai contribuenti ai possessori
di titoli.
-
Aliquote
elevate delle imposte sul reddito non devono scoraggiare gli investimenti perché
deduzioni appropriate delle perdite sugli investimenti possono diminuire il
capitale davvero messo a rischio dall’investitore nella stessa proporzione
nella quale il suo reddito netto proveniente dall’investimento è ridotto dalla
tassazione.
IV
Se le proposizioni della
Finanza Funzionale fossero state avanzate senza il timore che apparissero
troppo logiche, critiche simili a quelle discusse sopra non sarebbero oggi così
popolari come invece sono, e non sarebbe necessario difendere la Finanza
Funzionale dai suoi amici.
Un compito veramente
imbarazzante invece deriva dalla pretesa che la Finanza Funzionale (o la spesa
in deficit [deficit spending o deficit financing] come è spesso ma in modo
insoddisfacente chiamata) sia soprattutto uno strumento di difesa
dell’iniziativa privata.
Nel tentativo di
guadagnare popolarità alla Finanza Funzionale, le sono stati dati altri nomi e
si è dichiarato che fosse essenzialmente diretta a salvare l’impresa privata.
Io stesso ho compiuto simili peccati nei miei scritti precedenti
identificandola con la democrazia 4, in questo modo unendomi
all’esercito dei venditori che hanno avvolto i loro articoli nella bandiera
nazionale e legato qualsiasi cosa avessero da piazzare alla vittoria o al
morale.
La Finanza Funzionale non
è riferita in modo particolare alla democrazia o all’impresa privata. E’
applicabile a una società comunista esattamente come a una società fascista o a
una società democratica. E’ applicabile a qualsiasi società nella quale il
denaro sia utilizzato come un importante elemento nel meccanismo economico
La Finanza Funzionale
consiste nel semplice principio di abbandonare i nostri preconcetti su cosa sia
appropriato o solido o tradizionale, su quello “che deve essere fatto”, e di
invece considerare le funzioni svolte nell’economia dal governo con la
tassazione, con la sua spesa, con il prendere a prestito e il dare in prestito.
Significa utilizzare tutti questi strumenti semplicemente come strumenti e non
come poteri magici che provocheranno misteriosi danni se vengono manipolati
dalle persone sbagliate o senza il dovuto rispetto per la tradizione.
Come ogni altro
meccanismo, la Finanza Funzionale funziona indipendentemente da chi ne muove
le leve.
La sua relazione con la
democrazia e la libera impresa consiste semplicemente nel fatto che se le
persone che credono in esse non faranno uso della Finanza Funzionale non
avranno alcuna possibilità di resistere nel lungo periodo contro altri che
invece la impiegheranno.
__________
1 Che il governo prenda a prestito
denaro dalle banche, con condizioni che consentano alle banche di emettere
nuova moneta scritturale sulla base dei titoli di Stato aggiuntivi posseduti,
deve essere considerato per i nostri scopi come il creare moneta. In effetti le
banche agiscono come agenti del governo nell’emettere moneta scritturale o
bancaria.
2 Un eccellente esempio di ciò è il
persuasivo articolo di John T. Flynn pubblicato dallo Harper’s Magazine del luglio 1942.
3 Flynn, ibid.
4 In “Total Democracy and Full
Employment”, Social Change (May
1941).
[FINE]
* Ho suddiviso il testo in paragrafi ed evidenziato in
grassetto alcune frasi per una migliore leggibilità.
Le sottolineature invece evidenziano l’enfasi posta
dall’Autore su alcune parole.
Grazie
RispondiEliminaTi segnalo questo video di Stiglitz ripreso sul sito di keynesblog.
RispondiEliminaE' sorprendente il fatto che un economista premio Nobel debba ribadire cose ovvie in una intervista televisiva. Sembra quasi che si sia perso per strada la semplicità del ragionamento economico.
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Joe Stiglitz - Zero probabilità di default
http://www.youtube.com/watch?v=EBD7KPLrXiY&feature=player_embedded
Grazie a te. :)
EliminaGrazie per l'opportunità che dai a noi poveri italiofoni di accedere ai fondamentali.
RispondiEliminaBello, bravo, grazie, ma... Ho letto troppo in fretta o non si parla degli effetti redistributivi di tasse vs. tassi?
RispondiEliminaTemo di non aver capito la domanda... :)
EliminaNon ho mai letto dai chartalisti che un governo non deve attuare anche politiche fiscali redistributive eque e a tutela dei meno abbienti,cosi come anche decidere tassi di interesse leggermente negativi come costo di servizio di tutela del risparmio.Nemmeno ho mai letto che una teoria economica in se,senza la volonta' onesta,possa risolvere i problemi ultimi delle ingiustizie sociali
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