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Abba P. Lerner
Money as a Creature of the State
The American Economic Review, Vol. 37, No. 2, Papers and Proceedings of
the Fifty-ninth Annual Meeting of the American Economic Association (May, 1947), pp. 312-317. Published by: American
Economic Association - Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1821139
La moneta come creatura e strumento dello Stato
[ Traduzione di Giorgio D.M. * ]
[1]
Uno dei passatempi preferiti alla
London School of Economics, quando io venni per la prima volta introdotto allo
studio dell’economia, era costituito dal tormentare crudelmente e dal fare a
pezzi l’opera del professor Knapp, State
Theory of Money.
Il protagonista di questo sport era
il professor Gregory che dedicava diverse lezioni, all’inizio del suo corso
sulla moneta, a ridicolizzare la nozione
proposta da Knapp che il valore della moneta derivasse in qualche modo
metafisico dall’autorità sovrana dello Stato.
Gregory riteneva, con i classici, che
il valore della moneta derivasse dalla scarsità dell’oro e che questa scarsità
fosse un fatto che resisteva alle dichiarazioni delle autorità governative.
Più avanti nel corso delle lezioni lo
Stato riusciva ad insinuarsi in modo discreto e inavvertito con il suo potere,
attraverso il sistema bancario che poteva controllare, e a mitigare le
conseguenze della scarsità dell’oro riducendone la domanda.
Lo Stato faceva questo sostituendo
all’oro le banconote e il credito bancario, economizzando con questi mezzi
la domanda di oro in relazione all’offerta.
Si assisteva man mano a un
considerevole sviluppo degli strumenti impiegati a questo fine.
Emissioni fiduciarie di banconote in aggiunta a quelle che erano coperte interamente dall’oro;
coperture frazionarie delle banconote che spalmavano ulteriormente l’oro
disponibile; lo sviluppo del sistema bancario con l’edificazione di piramidi di
moneta bancaria basate su riserve frazionarie costituite da
banconote che a loro volta non erano interamente coperte dall’oro; l’adozione
degli standard di conversione in oro delle valute estere che consentiva alle
banche centrali di utilizzare come riserve le valute estere al posto dell’oro;
e così via con una lunga lista di strumenti che raggiungeva il culmine con
l’emissione temporanea di moneta “fiat”, priva di una copertura, al fine di
affrontare quelle crisi che comportavano una urgente necessità di liquidità.
Ma l’insegnamento delle prime lezioni
su Knapp non veniva mai interamente dimenticato. La moneta creata o aggiunta
dallo Stato con la sua attività era fatta perché se ne potesse riconoscere
l’inferiorità rispetto all’oro. Essa era solamente un sostituto dell’oro. Il
suo valore dipendeva in ultima istanza dall’oro sottostante o come minimo dalla
capacità delle autorità governative di mantenere la loro promessa di convertire
le banconote in un buono e solido oro.
[2]
Da allora ci siamo emancipati dal
punto di vista della teoria dal feticismo dell’oro.
Quasi tutti quelli che difendono
l’impiego dell’oro nei sistemi valutari moderni si difendono dicendo che lo
fanno solo per essere cortesi nei confronti dei pregiudizi irragionevoli di
qualcun altro. Non è ormai più un paradosso dichiarare che il valore dell’oro
dipende dalla possibilità di ricevere dei dollari per esso, anziché il
contrario. Ed è solamente a causa di libri di testo scadenti che gli studenti
ricevono ancora l’impressione che l’oro eserciti una qualche misteriosa
influenza a distanza sul valore delle banconote convertibili in esso.
Anche coloro che non si sono
allontanati dall’oro più di quello che fosse necessario per porre la loro
enfasi sulla quantità della moneta difficilmente sembrano ritenere più
necessario spiegare il valore delle banconote nei termini dell’oro che le
sostiene piuttosto che non spiegare il valore dell’oro nei termini del fatto
che esso sia sostenuto da una qualche forma ancora più primitiva di moneta,
come la carne o il pesce.
[3]
Moneta, come
ho detto in un articolo così intitolato [Money] nella Encyclopaedia Britannica, è
ciò che utilizziamo per pagare ciò che acquistiamo. La condizione essenziale perché una moneta svolga la sua funzione è che
essa sia generalmente accettata.
La trasformabilità della moneta in
oro e la garanzia di questa convertibilità in oro (o in un qualsiasi altro tipo
di copertura) non sono altro che testimonianze storiche di come l’accettabilità
della moneta venne ottenuta in determinati casi. E’ possibile che queste
modalità fossero le uniche con le quali si potesse stabilire la generale
accettabilità della moneta prima dello sviluppo degli stati sovrani nazionali
ben organizzati dei tempi moderni. L’accettabilità generale della moneta doveva
allora essere derivata in un qualche modo simile a questo da qualcosa che già
l’aveva acquisita nel corso della storia. Ma se l’accettabilità generale della
moneta potesse essere stabilita in un qualche altro e diverso modo allora
questi metodi testimoniati dalla storia non sarebbero più né necessari né
rilevanti.
E questo è esattamente ciò che è
accaduto.
Lo Stato moderno può rendere generalmente accettabile come moneta
qualsiasi cosa esso scelga e così stabilire il valore della moneta indipendentemente da qualsiasi
connessione, anche la più formale, con l’oro o con un’altra copertura di un
qualsiasi genere. E’ vero che la semplice dichiarazione che questo o quello sia
moneta non sarà sufficiente, anche se supportata dalla più convincente evidenza
costituzionale della assoluta sovranità dello Stato. Ma se lo Stato è disposto ad accettare la moneta che propone come mezzo di
pagamento delle imposte e delle altre obbligazioni nei suoi confronti allora
il risultato è ottenuto.
Chiunque abbia delle obbligazioni nei
confronti dello Stato sarà disposto ad accettare quei pezzi di carta con i
quali può disobbligarsi, e tutte le altre persone saranno disposte ad accettare
quegli stessi pezzi di carta sapendo che a loro volta li accetteranno coloro
che devono pagare le imposte e tutte le persone che hanno altri obblighi nei
confronti dello Stato.
D’altra parte se lo Stato dovesse
rifiutare di accettare una certa moneta come strumento di pagamento delle
obbligazioni che gli sono dovute è difficile credere che questa moneta
manterrebbe molto della sua generale accettabilità.
Le sigarette o le banconote straniere
possono essere ampiamente utilizzate come moneta solo quando la moneta normale
e l’economia in generale sono in uno stato di caos.
Quello che questo significa è che
qualunque sia stata la storia dell’oro, oggi,
in una economia che funzioni normalmente bene, la moneta è una creatura dello
Stato.
La generale accettabilità di una
moneta, che è la sua caratteristica fondamentale, si mantiene o viene meno a
seconda del fatto che lo Stato accetti o non accetti quella moneta.
[4]
C’è però un altro e molto più grave senso nel quale lo Stato è il
responsabile creatore della moneta.
Il secondo più importante problema
che la civiltà moderna deve risolvere se desidera sopravvivere alla minaccia
alla sua esistenza rappresentata dai regimi totalitari è la prevenzione del verificarsi di eccessivi tassi di inflazione e di
gravi depressioni economiche.
(Il primo problema è, naturalmente,
quello di giungere alla pace mondiale prima di scivolare in una guerra atomica,
sia con le opportune concessioni che con la doverosa predisposizione di una
potenza militare adeguata).
La depressione si verifica solo se l’ammontare della moneta spesa è
insufficiente. L’inflazione si verifica solo se l’ammontare della moneta spesa
è eccessivo.
Il Governo,
che è quello che il termine Stato significa in pratica, grazie al suo potere di creare o distruggere moneta per decreto e al
suo potere di sottrarre moneta dalle persone per mezzo delle imposte, può
mantenere il tasso di spesa nell’economia al livello necessario al fine di adempiere
alle sue due grandi responsabilità: la prevenzione della depressione e la
conservazione del valore della moneta.
[5]
Fino ad oggi i governi si sono sottratti a queste responsabilità
accampando come scusa una loro pretesa impossibilità di intervenire.
La straordinaria compiacenza sia da
parte del Governo che da parte dei suoi critici di fronte al recente rialzo dei
prezzi può essere apprezzata solo immaginando quale sarebbe stata la reazione a
una dichiarazione del Governo che avesse annunciato l’intenzione di non pagare,
ad esempio, il 30% degli interessi e del capitale dovuti ai possessori dei
titoli emessi per finanziare la guerra e delle altre obbligazioni governative.
Una uguale spoliazione dei
patriottici sottoscrittori dei prestiti per la guerra ottenuta attraverso
l’inflazione non impedisce al Tesoro di continuare a pubblicizzare i titoli di
Stato dicendo che saranno restituiti 4 dollari per ogni 3 investiti.
Nessuno sembra trovare questo
disonesto.
E anche questa negazione di
responsabilità è nulla se confrontata con il modo con il quale quasi tutti gli stati hanno quasi tutte le
volte permesso alle depressioni di iniziare, di aggravarsi e di durare nel
tempo senza fare ricorso al loro potere di creare quella domanda effettiva
[money demand] che avrebbe reso queste
depressioni impossibili.
[6]
Prima che gli esattori delle imposte
fossero abbastanza potenti da guadagnare allo Stato il titolo di creatore della
moneta, il meglio che lo Stato potesse fare era vincolare la sua valuta all’oro
o all’argento che possedevano una propria stabilità, antecedente l’apparizione
dello Stato.
Con questa politica inflazioni estreme
erano rese impossibili, e in un piccolo paese anche piccole inflazioni
(relativamente agli altri paesi) sarebbero state mantenute sotto controllo
dalla scomparsa della moneta dovuta a un flusso verso l’estero dell’oro. Con
questa stessa politica veniva posto un limite anche alle depressioni. Per il
mondo, considerato nella sua interezza, le depressioni non potevano aggravarsi
oltre il punto in cui l’offerta disponibile e abbastanza stabile di moneta-oro diventava
così abbondante in confronto al piccolo livello dell’attività economica (o
anche a causa dei prezzi più bassi) da sfociare in un incremento della spesa da
parte di chi era stracolmo di liquidità. Per le singole nazioni speciali
condizioni del commercio estero e del credito potevano portare a depressioni molto
peggiori, ma d’altra parte qualsiasi aggravamento della depressione oltre quel limite di cui si è
detto, determinato da queste speciali condizioni, sarebbe stato corretto
velocemente da un afflusso di moneta-oro dal resto del mondo.
Il ritorno a metodi di questo tipo
può oggi essere proposto solo da esuberanti Repubblicani che non hanno ancora
riflettuto bene sul significato di questi metodi.
Il “margine di aggiustamento” che un meccanismo così rozzo comporta, che va dal limite imposto al rialzo dei prezzi da uno standard aureo [gold
standard] fino al livello di depressione
corrispondente all’azzerarsi degli investimenti netti, è diventato oggi molto
più ampio.
Gli Stati Uniti possono oggi andare
incontro a tassi di inflazione molto più alti di quelli che abbiamo
sperimentato sinora senza rimanere a corto di oro, mentre il livello della
disoccupazione che sarebbe possibile raggiungere prima che l’eccesso
nell’offerta di solida moneta giunga in soccorso diventa sempre più grande al
crescere della nostra capacità produttiva ed è oggi molto al di là del limite
imposto dalle condizioni politiche necessarie per il mantenimento di una
società libera.
Nessun governo potrà restare inattivo in attesa che il tasso di
disoccupazione salga a un livello tale da risultare in una caduta del livello
dei prezzi tale da generare un eccesso di liquidità tale da indurre un flusso
di investimenti privati sufficiente a dare avvio a un nuovo movimento verso la
prosperità.
La prosperità generata dal New Deal e
dalla guerra avranno mostrato a abbastanza persone che una grave depressione si
può veramente evitare. Una qualche forma
di finanza funzionale [functional finance] sarà di fatto messa in pratica da qualunque governo possiamo avere.
L’unico pericolo è che questo accadrà troppo poco e troppo tardi.
[7]
Meno raffinata è oggi una tecnica che consenta allo Stato di far fronte
all’altra responsabilità che gli compete in quanto creatore della moneta, la
responsabilità di far sì che la moneta conservi il suo valore.
I punti chiave sotto questo aspetto non sono nella offerta diretta di
moneta, e neppure nella regolazione del livello della spesa. I punti chiave
consistono nella determinazione dei salari e
nella determinazione delle percentuali di ricarico dei prezzi di vendita rispetto ai costi.
La determinazione dei salari
attraverso la contrattazione collettiva ha portato a un miglioramento rispetto
alla condizione del lavoratore non organizzato che si trovava a contrattare con
un grande datore di lavoro nel pieno di una depressione.
Con l’abbandono delle gravi
depressioni come parte di un insieme di tecniche dirette a influenzare la
determinazione dei salari e con il crescere dei sindacati fino a raggiungere
dimensioni nazionali e internazionali, il potere dei sindacati è divenuto
troppo grande rispetto allo scopo di determinare i salari per mezzo della
contrattazione collettiva.
Ogni sindacato è costretto a
impiegare il suo potere per cercare di incrementare la parte che va ai suoi
iscritti anche sei i suoi dirigenti più intelligenti sanno che quello che un
sindacato ottiene non è a spese del datore di lavoro, dato che questo può e
vuole trasferire ad altri ogni incremento dei salari, ma è a spese della
popolazione nella sua interezza, il che significa principalmente a spese di
altri lavoratori e delle loro famiglie. Questi stessi dirigenti inoltre sanno
che anche gli altri sindacati dovranno fare la stessa cosa così che da tutto
questo non risulterà altro che un aumento generale del livello dei prezzi. Per
ogni singolo sindacato il trattenersi in questa gara può solo significare che i
suoi iscritti rimangono indietro mentre il livello dei prezzi continua a
salire. Così, a meno che non sia
sviluppato un meccanismo alternativo per la determinazione dei salari, una
politica diretta ad ottenere il pieno impiego [full employment policy]
significherà inflazione.
L’assunzione da parte del governo
della sua responsabilità di prevenire il verificarsi di una depressione sembrerebbe
quindi rendergli impossibile il corrispondere alla sua seconda responsabilità
di conservare il valore della moneta.
D’altra parte sembra che sia molto
probabile che il rapporto Nathan abbia ragione nel ritenere che dopo il boom
della ricostruzione il mantenimento di un adeguato livello di spesa sarà
impossibile senza un incremento dei salari reali, cioè senza un aumento del
rapporto tra i salari nominali e il livello dei prezzi dei prodotti finiti.
Questo è lo stesso dilemma posto in modo differente. Salari più alti rispetto al livello dei prezzi sono necessari per la
prosperità di lungo periodo ma il solo innalzamento dei salari non porterà a
nulla di buono perché esso condurrà solo a prezzi più alti e all’inflazione.
[8]
Il dilemma può essere risolto solo se il governo lavorerà sia sulla
determinazione dei salari nominali che sulle percentuali di ricarico. Entrambi
sono problemi di monopolio e come tali sono inevitabilmente distruttivi di una
economia libera.
Le percentuali di ricarico dovranno essere ridotte da misure
antimonopolistiche
del tipo di quelle che il governo stava elaborando quando venne interrotto
dalla guerra. Il più importante sostegno
all’azione del governo in questo senso sarà la politica diretta a mantenere il
pieno impiego che consentirà alle attività economiche di essere profittevoli
anche lavorando con percentuali di ricarico più basse. I risultati desiderati
potranno essere ottenuti in un più breve tempo se il governo renderà più
evidenti i benefici del pieno impiego alle aziende garantendo senza costi
vendite adeguate (o anche illimitate) di prodotti standard a prezzi moderati,
facendo sì in questo modo che le energie e l’iniziativa degli imprenditori si
distolgano dalla preoccupazione di vendere per concentrarsi sulla efficienza
della produzione.
[9]
I monopoli sindacali devono essere
affrontati stabilendo un libero mercato artificiale con un arbitrato
obbligatorio per la determinazione dei salari nel quale sia il lavoratore che
il datore di lavoro possano concludere un equo accordo.
A partire da un qualche insieme
iniziale di remunerazioni, come ad esempio quelli prevalenti, i salari in
generale possono essere innalzati dell’1 per cento ogni quattro mesi (sulla
base della crescita secolare della produttività del lavoro) senza che il
livello generale dei costi e dei prezzi debba aumentare.
Questo sarebbe il movimento base dei
salari monetari.
Nelle aree e nei settori industriali dove
il livello di disoccupazione è maggiore del doppio della media nazionale
l’incremento non avrebbe luogo. Dove invece il livello di disoccupazione è inferiore
alla metà della media nazionale i salari sarebbero incrementati del 2 per cento
anziché dell’1 per cento.
Questo meccanismo dovrebbe essere
accompagnato da misure dirette a massimizzare la mobilità dei lavoratori con la
rimozione di tutte le restrizioni che impediscono l’ingresso in un determinato
settore di attività lavorativa.
Un tasso di disoccupazione maggiore
del doppio della media nazionale sarebbe allora l’evidenza del fatto che i
lavoratori considerano le condizioni esistenti nel settore industriale più
attraenti di quelle che possono trovare altrove, così che sarebbe equo non
applicare l’incremento del salario. I lavoratori che insistessero per ottenere
l’aumento starebbero in effetti reclamando il diritto di mantenere un vantaggio
sugli altri lavoratori in generale.
Un tasso di disoccupazione inferiore
a metà della media nazionale sarebbe l’evidenza del fatto che i lavoratori in
generale considerano le condizioni esistenti in quella area o settore meno
attraenti di quelle che possono trovare altrove. Un rifiuto dei datori di
lavoro di incrementare i salari del 2 per cento richiesto sarebbe quindi visto
come il tentativo di mantenere delle condizioni peggiori di quelle normali.
Alla fine emergerebbe un insieme di
remunerazioni che corrisponderebbe alle stime dei lavoratori stessi delle
compensazioni necessarie per le differenze esistenti nei vantaggi netti delle
occupazioni nelle diverse aree e nei diversi settori.
[10]
Non ho il tempo di difendere queste
proposte. Esse hanno il solo scopo di indicare la direzione nella quale potrebbero
essere trovate delle soluzioni a questi problemi della massima urgenza.
Desidero fare solo due osservazioni.
L’aggiramento della contrattazione
collettiva sarà indubbiamente denunciato come un attacco contro i lavoratori.
E’ importante notare che apparirà
tale solo a coloro che nel loro pensiero hanno completamente sostituito i
sindacati ai lavoratori, innalzando questi strumenti per il miglioramento del
benessere economico dei lavoratori allo status di fini in se stessi. Dobbiamo
ricordare che un fine in se stesso è quasi sempre un mezzo per un fine che non
si vuole dichiarare apertamente, come il mantenimento della posizione, del
prestigio e dello stipendio di funzionario sindacale.
La seconda osservazione è diretta a
un altro gruppo professionale, quello dei teorici della moneta. Mi sono
allontanato parecchio dal campo tradizionale della teoria della moneta. Ritengo
che questo sia inevitabile se dobbiamo iniziare a prendere sul serio uno slogan
che ormai abbiamo ripetuto troppo a lungo. Il problema della moneta non può
generalmente essere separato dall’economia così come i problemi dell’economia
non possono essere separati dai più ampi problemi della prosperità, della pace
e della sopravvivenza del genere umano.
[FINE]
* Ho suddiviso il testo in paragrafi ed evidenziato in grassetto alcune frasi per una migliore leggibilità. L'articolo originale è disponibile liberamente qui .
Bellissimo esordio!
RispondiEliminaCaro Giorgio,
RispondiEliminapezzo interessante e traduzione accurata!
Congratulazioni e spero di leggerti ancora
Franco
Complimenti Professore.
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