William H. Beveridge
Full employment in a Free Society
William H.
Beveridge, Full Employment in a Free Society, George Allen and Unwin, London,
1944. - Traduzione italiana di Paolo Baffi e Felice di Falco, Relazione su
l’impiego integrale del lavoro in una società libera, Giulio Einaudi editore, Torino,
1948. pp. 4-36.
La piena occupazione in una società libera. Introduzione
[
A cura di Giorgio D.M. * ]
La miseria genera odio
.3-.7 Il
significato di “piena occupazione”
.8-.9 Lo
scopo dell’occupazione
.10-.18 Preservazione
delle libertà essenziali
.19-.29 Diagnosi della disoccupazione
.30 Analisi
della economia di guerra
.31-.35 Natura di una politica di piena occupazione.
.36-.37 Adeguamenti territoriali e qualitativi tra la
domanda e l’offerta di lavoro
.38-.43 Riflessi internazionali
.44-.47 Lo Stato e il cittadino
.48-.50 Il piano per la sicurezza sociale e la politica
dell’occupazione
Il significato di “piena occupazione”
3.
Cosa significa la “piena occupazione”
e che cosa essa non significa?
Piena occupazione non vuol dire
letteralmente assenza assoluta di disoccupazione; non significa cioè che in un
dato paese ogni uomo e donna che siano atti e disponibili per il lavoro vengano
impiegati produttivamente per tutti i giorni della loro vita lavorativa.
In ogni paese a clima variabile vi
sono stagioni nelle quali particolari forme di lavoro sono impossibili o
difficili.
In ogni società progressiva vi
saranno mutamenti nella domanda di lavoro, in senso qualitativo se non
quantitativo; vi saranno, cioè, periodi nei quali determinati individui non
potranno continuare ad essere impiegati vantaggiosamente nelle loro occupazioni
precedenti e potranno rimanere disoccupati fino a che non avranno trovato e non
si sentiranno idonei a coprire nuovi posti.
In una società progressiva, per
quanto alta possa essere la domanda di lavoro, vi sarà una certa disoccupazione
di attrito.
Piena occupazione significa che la
disoccupazione è ridotta brevi intervalli di attesa, con la certezza che molto
presto uno sarà richiesto per tornare al suo vecchio posto o per coprirne uno
nuovo che rientri nelle sue possibilità.
4.
La piena occupazione è talvolta
definita come “uno stato di cose in cui il numero dei posti vacanti non è
apprezzabilmente inferiore al numero delle persone disoccupate, cosicché la
disoccupazione è dovuta in qualsiasi momento al normale intervallo che
intercorre tra il momento in cui si lascia un posto e quello in cui se ne trova
un altro” 1.
Nella presente relazione la piena
occupazione ha un significato più esteso sotto due punti di vista.
Essa significa che vi è sempre un
numero di posti vacanti maggiore di quello delle persone disoccupate, e non un
numero di posti solo leggermente inferiore.
Essa significa che i posti sono
equamente retribuiti e che la loro specie e la loro distribuzione è tale da
potersi ragionevolmente ritenere che i disoccupati potranno coprirli;
significa, per conseguenza, che il normale intervallo tra il momento in cui si
perde un posto e quello in cui se ne trova un altro sarà molto breve.
5.
L’affermazione che vi dovrebbe sempre
essere un numero di posti vacanti maggiore di quello delle persone disoccupate
significa che il mercato del lavoro dovrebbe essere sempre un mercato favorevole
al venditore anziché al compratore.
Vi è una decisiva ragione perché sia
così, quando si parte dalla concezione della società che sta a fondamento della
presente relazione: quella che la società esiste per l’individuo.
E la ragione è che le difficoltà
incontrate da chi offre lavoro hanno conseguenze di ordine ben diversamente
nocivo da quelle incontrate da chi ne fa domanda.
Chi incontra difficoltà
nell’acquistare la mano d’opera di cui ha bisogno subisce un contrattempo o una
riduzione dei profitti. Chi invece non può vendere il proprio lavoro è
considerato di nessuna utilità.
La prima difficoltà causa fastidi o
perdite; l’altra invece è una catastrofe personale.
Tale differenza permane anche se il
disoccupato viene provveduto di un adeguato reddito, mercé l’assicurazione o
altri mezzi: l’ozio corrompe anche se si dispone di un reddito, la sensazione
di non servire a nulla demoralizza.
La differenza sussiste anche se molti
rimangono disoccupati solo per periodi relativamente brevi.
Finché vi sarà una disoccupazione di
lunga durata non dovuta manifestamente a deficienza dell’individuo, chiunque
perde il proprio posto teme di poter essere uno di quegli sfortunati che non
riusciranno presto a trovarne un altro.
Coloro che rimangono disoccupati per
un breve periodo non sanno di essere disoccupati per un breve periodo finché la
loro disoccupazione non abbia termine.
6.
La differenza dal punto di vista
umano tra il non riuscire a comprare e il non riuscire a vendere lavoro è la
ragione decisiva per tendere a far sì che il mercato del lavoro sia un mercato
del venditore piuttosto che un mercato del compratore.
Vi sono altre ragioni, appena meno
importanti.
Una ragione è quella che solo se vi è
lavoro per tutti è giusto pretendere che gli operai, individualmente e nei
sindacati operai collettivamente, cooperino nell’utilizzare al massimo tutte le
risorse produttive, compreso il lavoro, e rinunzino a pratiche restrittive.
Un’altra ragione, in relazione con
ciò, è che il carattere e la durata della disoccupazione individuale causata
dalle trasformazioni strutturali e tecniche dell’industria dipenderanno dalla
domanda di lavoro nelle forme che questa prenderà dopo le trasformazioni
suddette.
Quanto più rapido è il passo del
meccanismo economico, tanto più rapidamente scomparirà la disoccupazione
strutturale e tanto minori saranno gli ostacoli di ogni genere al progresso.
Un’altra ragione è quello stimolo al
progresso tecnico che è costituito dalla deficienza di mano d’opera.
Le macchine vengono utilizzate per
risparmiare gli uomini per quei lavori che soltanto gli uomini possono
eseguire. Dove la mano d’opera è a buon mercato, essa viene spesso sciupata in
una fatica non assistita e in intelligente.
Le nuove terre scarse di uomini sono
la fucina dell’invenzione e dell’iniziativa economica in tempo di pace. L’incentivo
al risparmio della mano d’opera di ogni specie è uno dei sottoprodotti della
piena occupazione in tempo di guerra.
7.
La piena occupazione, che è
l’obiettivo di questa relazione, significa più posti vacanti che uomini
disoccupati.
Essa significa anche qualcosa
d’altro.
Se vi fossero in Gran Bretagna due
milioni di disoccupati cronici e due milioni e un quarto di posti vacanti che
essi non potessero o non volessero occupare, vi sarebbero più posti vacanti che
non persone disoccupate, ma sarebbe derisorio chiamare tale stato di coese
“piena occupazione”.
Non basta dire che vi devono essere
più, o quasi altrettanti, posti vacanti che uomini inoperosi.
Occorre altresì essere sicuri che il
numero dei disoccupati, o piuttosto la durata della disoccupazione per ogni
caso individuale, non sia eccessiva.
La piena occupazione, nel suo vero
significato, significa che la disoccupazione per ogni individuo non deve
protrarsi per un periodo di tempo più lungo di quello che può essere
fronteggiato grazie all’assicurazione contro la disoccupazione, senza corre il
rischio della demoralizzazione.
Coloro che perdono il posto devono
essere in grado di trovare senza indugio un nuovo impiego, equamente
retribuito, adeguato alle loro capacità.
Ciò significa che tanto la domanda
che l’offerta di lavoro sono correlate sia qualitativamente che
quantitativamente.
La domanda deve essere adeguata alle
qualità degli uomini disponibili o gli uomini devono essere in grado di
adeguarsi alla domanda.
Alla luce della storia della
disoccupazione […] è chiaro che l’adeguamento tra l’offerta e la domanda di
lavoro, dal punto di vista qualitativo come da quello della distribuzione
territoriale, deve essere affrontato da entrambi i lati, quello della domanda e
quello dell’offerta.
La domanda non deve soltanto essere
sufficiente nel totale, ma deve essere indirizzata avendo riguardo alla qualità
ed alla distribuzione territoriale della mano d’opera. L’offerta della mano
d’opera deve essere in grado di seguire i mutamenti della domanda che sono
inseparabili dal progresso tecnico.
Lo scopo dell’occupazione
8.
L’ozio non è la stessa cosa del
bisogno, ma è un male diverso, al quale gli uomini non sfuggono per il fatto di
avere un reddito. Essi devono anche avere la possibilità di rendere un servizio
utile e di averne coscienza.
Ciò significa che non si vuole
l’occupazione per l’amore dell’occupazione, senza alcun riguardo a quel che
essa produce.
Il fine materiale di ogni attività
umana è il consumo.
L’occupazione è richiesta come mezzo
per conseguire un maggior consumo o una maggiore agiatezza, ossia un mezzo per
conquistare un più alto tenore di vita.
L’occupazione che sia semplicemente
perdita di tempo, come lo scavar buche per colmarle di nuovo, o sia meramente
distruttiva come la guerra e la sua preparazione, non serve a tale scopo e non
sarebbe ritenuta cosa degna.
Essa deve essere produttiva e
progressiva.
Le proposte di questa relazione sono
rivolte a salvare tutte le molle principali del progresso materiale della
collettività, a lasciare che speciali prestazioni trovino la loro ricompensa, a
lasciare campo ai cambiamenti, alle invenzioni, alla concorrenza e
all’iniziativa.
9.
Lasciando campo ai cambiamenti e alla
libertà di movimento da impiego a impiego, si lascia necessariamente campo a
una certa disoccupazione.
L’obiettivo di questa relazione è
espresso in termini numerici […] come una riduzione della disoccupazione a non
più del 3%, in confronto a quella del dieci-ventidue per cento avutasi in Gran
Bretagna nel periodo tra le due guerre.
Ma sebbene la presente relazione
supponga la persistenza di una certa disoccupazione e metta innanzi la cifra
del 3%, la sostanza delle proposte contenute nella relazione stessa è che
questo 3% di disoccupazione dovrebbe rimanere soltanto per effetto degli
attriti del mercato del lavoro e non della mancanza di posti vacanti.
Perché gli uomini abbiano un valore
ed abbiano coscienza di valere qualcosa, vi debbono essere sempre cose utili
che aspettano di essere fatte, e denaro da spendere per farle.
Sono piuttosto i posti da occupare
che devono attendere, non gli uomini.
Preservazione delle libertà
essenziali
10.
Il mercato del lavoro è stato in
passato invariabilmente o quasi un mercato favorevole al compratore piuttosto
che al venditore, con un numero di disoccupati maggiore – anzi generalmente
molto maggiore – di quello dei posti vacanti.
Rovesciare tale situazione e ottenere
che il mercato del lavoro sia sempre un mercato favorevole al venditore anziché
al compratore ed eliminare non soltanto la disoccupazione ma il timore della
disoccupazione, avrebbe conseguenze sul funzionamento di molte tra le
istituzioni esistenti, trasformando fondamentalmente, come si vuole che
avvenga, le condizioni di vita e di lavoro in Gran Bretagna, così da farne
nuovamente un paese in cui si offrano a tutti delle possibilità.
Vi sono però alcune cose che né alla
piena occupazione, né ai mezzi messi in atto per realizzarla, deve essere
consentito di cambiare.
11.
Come è indicato dal suo stesso
titolo, la presente relazione non tratta soltanto del problema della piena
occupazione.
Essa si occupa della necessità, della
possibilità e dei metodi per conseguire la piena occupazione in una società
libera, e ciò pone la condizione che siano osservate tutte le libertà
essenziali del cittadino.
La portata effettiva di tale
condizione dipende dalla lista delle libertà essenziali del cittadino.
Ai fini della presente relazione
vengono considerate come tali la libertà di culto, di parola, di scrivere, di
studiare e d’insegnare; la libertà di riunione e di associazione per scopi
politici o altri scopi, compreso quello di un cambiamento pacifico
dell’autorità governativa; la libertà di scelta dell’occupazione e la libertà
di amministrare il proprio reddito personale.
L’accennata condizione esclude la
soluzione totalitaria della piena occupazione in una società completamente
pianificata o irreggimentata da un dittatore inamovibile.
Essa rende pertanto il problema della
piena occupazione più complesso sotto molti aspetti, quattro dei quali
richiedono un cenno speciale.
12.
Primo: in una società libera
l’autorità governativa è soggetta ad essere cambiata, a brevi intervalli, con
metodi pacifici di organizzazione e di votazione.
Nonostante tali cambiamenti di
governo, vi deve essere una ragionevole continuità nella politica economica.
Il meccanismo del governo, mentre
deve essere sensibile ai cambiamenti generali dell’opinione, deve resistere
alle manovre “di corridoio”, ossia alle pressioni interessate di interessi di
parte.
13.
Secondo: la libertà di associazione
per scopi di lavoro fa sorgere la questione della determinazione dei salari.
In una situazione di piena
occupazione può impedirsi una spirale crescente dei salari e dei prezzi se la
contrattazione collettiva, con il diritto di sciopero, rimane assolutamente
libera?
E’ possibile in una società libera in
tempo di pace limitare in generale il diritto di sciopero?
14.
Terzo: la libertà di scelta delle
occupazioni rende più difficile assicurare che tutti gli uomini in qualsiasi
momento siano produttivamente occupati.
Essa non consente di trattenere
forzatamente una persona in un determinato lavoro o di indirizzarla verso
quest’ultimo con la minaccia della prigione in caso di rifiuto.
Un presupposto fondamentale di questa
relazione è che né l’Ordinanza sui lavori essenziali né i poteri di direzione
dell’industria che si sono ritenuti necessari in tempo di guerra debbano essere
mantenuti in vita al termine del conflitto.
In Gran Bretagna, in tempo di pace,
l’offerta di mano d’opera non può essere adeguata per decreto alla domanda;
essa può essere guidata soltanto da motivi economici.
Da un altro punto di vista, la
libertà di scelta delle occupazioni fa sorgere anche la questione della
disciplina del lavoro.
In una situazione di piena
occupazione, se gli uomini sono liberi di passare da un impiego all’altro e non
temono licenziamenti, non possono almeno alcuni di essi diventare così
irregolari e indisciplinati da ridurre sensibilmente l’efficienza dell’industria?
15.
Quarto: la libertà di amministrare il
proprio reddito personale complica il problema della piena occupazione da un
altro lato. Se al pubblico non può essere fatto obbligo di acquistare proprio
quello che è stato prodotto, ciò significa che la domanda di lavoro non può
essere adattata coattivamente all’offerta.
Vi possono essere continue variazioni
nelle specie dei beni per i quali i consumatori desiderano spendere il loro
danaro, ossia nella qualità della spesa dei consumatori.
Vi possono essere variazioni anche
nella quantità della spesa, poiché la libertà di amministrare il reddito
personale comprende la libertà di decidere tra lo spendere subito e il
risparmiare in modo da avere la possibilità di spendere più tardi.
Un regime totalitario, anche se
facesse uso di differenziazioni nella moneta, nei prezzi e nei valori per
stimolare e guidare l’attività individuale, potrebbe abolire la libertà di
risparmio.
Esso potrebbe trattenere, sul reddito
nazionale di ciascun anno, la quota ritenuta necessaria per gli investimenti,
ossia per il mantenimento delle persone occupate nella produzione di strumenti
e di materiali destinati ad un’ulteriore produzione, e potrebbe assegnare ai
consumatori un tipo di moneta che, come i tagliandi del razionamento, non
potesse essere risparmiata per essere spesa più tardi.
In una società libera deve essere
consentito ad ogni individuo di distribuire le proprie spese lungo l’intero
corso della sua vita.
16.
Molti dei punti brevemente accennati
sopra saranno discussi più compiutamente […] quando si tratterà di ciò che la
politica della piena occupazione implica di per sé.
Qui basta dire che nessuna di tali
libertà può essere esercitata senza senso di responsabilità. La perpetua
instabilità della politica economica e sociale renderebbe impossibile la piena
occupazione e qualunque altra riforma sociale.
La contrattazione dei salari deve
essere fatta con senso di responsabilità, mirando non a transitori vantaggi
particolari, ma al bene permanente della collettività.
La scelta dell’occupazione significa
la libertà di scegliere tra occupazioni che sono disponibili; non è possibile
che uno scelga di diventare arcivescovo di Canterbury, se quel posto è già
occupato da un altro.
Lavorare significa fare ciò che è
richiesto, non già fare quel che piace. Ogni libertà comporta delle
responsabilità. Ciò non significa che si debba rinunziare alle libertà stesse.
Esse devono essere mantenute.
17.
Sotto tutti gli aspetti accennati, e
probabilmente sotto altri ancora, il problema di mantenere la piena occupazione
è più complicato in una società libera che in un regime totalitario.
Così come viene qui posto, esso è
invece libero da una complicazione di una certa importanza storica.
L’elenco delle libertà essenziali
sopra indicato non comprende la libertà per un privato cittadino di possedere
mezzi di produzione e di impiegare altri cittadini come salariati
nell’esercizio di tali mezzi.
La proprietà privata dei mezzi di
produzione, messi in opera da altri, può essere o meno un buon espediente
economico, ma deve giudicarsi come un espediente.
Essa non è in Gran Bretagna una
libertà essenziale del cittadino, poiché non è e non è mai stata goduta che da
una piccola parte del popolo britannico.
Non può nemmeno dirsi che una parte
considerevole della popolazione nutra qualche speranza di arrivare in avvenire
a una tale proprietà.
18.
Dal punto di vista sostenuto in
questa relazione, la piena occupazione è in effetti realizzabile anche
lasciando la gestione dell’industria prevalentemente nelle mani dell’iniziativa
privata, e le proposte qui formulate sono basate su questo punto di vista.
Ma se, contrariamente a tale punto di
vista, l’esperienza o la logica dimostrassero che l’abolizione della proprietà
privata dei mezzi di produzione fosse necessaria per assicurare la piena
occupazione, questa abolizione dovrebbe essere intrapresa.
Diagnosi della disoccupazione
19.
Il significato e lo scopo della piena
occupazione e le condizioni limitatrici nelle quali essa viene prospettata
nella presente relazione sono stati ora stabiliti.
I metodi da adottare dipendono dalla
diagnosi del male da curare.
La relazione sulle assicurazioni
sociali e sui servizi affini si inizia con una diagnosi del bisogno. La
presente relazione ha come suo punto di partenza una diagnosi della
disoccupazione. La parte […] relativa alla “disoccupazione in tempo di pace”
espone anzitutto i dati di fatto sulla disoccupazione precedentemente alla prima
guerra mondiale, e quelli relativi al periodo tra le due guerre, e, in secondo
luogo, alcune delle teorie dell’occupazione e della disoccupazione mediante le
quali gli economisti hanno spiegato questi fatti.
I fatti e le teorie sono poi insieme
esaminati in una sezione conclusiva su “il nuovo volto della disoccupazione”
[…]. I risultati generali di tale diagnosi sono i seguenti.
20.
Il volume della disoccupazione in un
momento e in una collettività determinati dipende da fattori di tre specie:
fattori che determinano la quantità della domanda effettiva di prodotti
dell’industria,; fattori che determinano la direzione della domanda; fattori
che determinano il modo in cui l’industria reagisce alla domanda.
Vi sarà disoccupazione ove la domanda
effettiva non sia sufficiente nel complesso a richiedere l’uso della intera
forza di lavoro della collettività.
Vi sarà disoccupazione ove la domanda
effettiva, sebbene in complesso adeguata, sia male indirizzata, sia cioè
domanda di un genere di lavoro che non può essere ragionevolmente eseguito
dalla mano d’opera disponibile, o di lavoro in un luogo nel quale non ci si può
ragionevolmente aspettare che i lavoratori si rechino.
Vi sarà disoccupazione ove
l’industria sia organizzata in modo che, nel far fronte alla domanda effettiva,
essa impegni riserve di lavoro eccessive, tenute inoperose per far fronte a
variazioni locali e individuali della domanda, o quando vi siano ostacoli che
impediscano alla mano d’opera di seguire le variazioni della domanda.
21.
In Gran Bretagna, durante il periodo
tra le due guerre, la domanda di lavoro fu nel complesso deficiente rispetto
all’offerta.
In gran parte del paese si verificò
una disoccupazione cronica di massa […]. In nessuna parte del paese si ebbe una
domanda di lavoro eccedente l’offerta, salvo forse, per talune particolari
categorie di lavoratori, nei pochi mesi durante i quali il ciclo economico
raggiungeva il suo vertice.
Nell’anno 1937, che per essere stato
al vertice di un ciclo economico ha rappresentato il meglio che l’economia di
mercato non pianificata potesse dare, vi erano in Gran Bretagna 1.750.000 disoccupati,
pari a più del 10% della forza lavoro.
Nel mese di maggiore occupazione del
1937 non vi erano più di poche migliaia di posti vacanti negli uffici di
collocamento, ciò che significa che vi fu sempre un numero di disoccupati molte
volte superiore a quello dei posti vacanti […].
Nella maggior parte degli altri anni
del periodo tra le due guerre la disoccupazione fu molto più vasta di quella
del 1937.
22.
La domanda di lavoro non fu soltanto
inadeguata, ma male distribuita.
Se la domanda complessiva fosse stata
tanto maggiore quantitativamente da eguagliare l’offerta complessiva, ma se la
sua distribuzione territoriale fosse rimasta invariata, cioè tale da conservare
le stesse proporzioni tra le differenti regioni della Gran Bretagna, essa non
sarebbe valsa ad abolire la disoccupazione; vi sarebbe stato un gran numero di
posti vacanti e di uomini che non avrebbero potuto o non avrebbero voluto
trasferirsi per coprirli e ai quali non si sarebbe potuto ragionevolmente
richiedere di farlo.
Indubbiamente un’alta domanda di tal
natura avrebbe ridotto la disoccupazione perché avrebbe fatto spostare un
numero maggiore di persone dalle zone depresse alle zone relativamente
prospere, ma questo sarebbe avvenuto soltanto a prezzo di una ancora maggiore
congestione nelle condizioni di alloggio e di trasporto nelle zone prospere, e
di uno smembramento di famiglie, una distruzione di comunità e uno spreco di
capitali sociali anche maggiori nelle zone depresse.
La deficienza della domanda e la sua
cattiva distribuzione sono due mali indipendenti.
Una domanda molto più ampia di quella
effettiva, mal distribuita nello stesso modo, avrebbe lasciato invariata molta
parte della disoccupazione.
D’altro lato, la stessa domanda
totale diretta uniformemente verso ogni parte del paese, mentre avrebbe evitato
alcuni dei mali sociali della disoccupazione concentrata, avrebbe lasciato lo
stesso totale di disoccupazione distribuita uniformemente per tutto il paese.
Il male stava nella cattiva
distribuzione territoriale della domanda, piuttosto che in quella per
industrie.
Le grandi variazioni che di fatto si
ebbero, tra le due guerre, nel numero delle persone occupate nelle varie
industrie, mostrano che l’offerta di lavoro è più fluida negli spostamenti tra
industrie che in quelli tra località […].
E’ più facile per gli adulti cambiare
occupazione ed è molto più facile per i giovanbi scegliere la prima
occupazione, con riferimento alla domanda di particolari industrie, di quel che
non sia per i lavoratori di qualsiasi età spostare la loro residenza.
Per taluni l’età ed i legami
familiari rendono gli spostamenti quasi impraticabili. Il lasciare la casa in
cerca di nuove occupazioni è spesso un tonico in casi singoli, ma, ove sia
preso in forti dosi, è un veleno che procura la distruzione delle collettività.
23.
I fattori di disoccupazione inerenti
all’organizzazione del lavoro, che costituiscono il principale tema del primo
studio dello scrivente, antecedente alla prima guerra mondiale, si mantennero
tra le due guerre, provocando una forte disoccupazione in particolari
industrie, indipendentemente dallo stato della domanda.
L’azione di tali fattori, e in
particolare la disorganizzazione del mercato del lavoro, è illustrata dalla
persistenza di elevati tassi di disoccupazione, in particolari industrie, nei
tempi buoni come in quelli cattivi, nonostante l’aumento della domanda […];
dall’eccessivo reclutamento di mano d’opera da parte dell’industria edilizia,
nella quale tra il 1924 ed il 1937 si ebbero simultaneamente un aumento della
metà del numero degli occupati e un raddoppiamento della disoccupazione […];
dal 30% di disoccupazione cronica nei servizi portuali.
24.
Dei vari fattori della disoccupazione
sopra menzionati, il più importante è la deficienza della domanda totale.
E’ bensì vero che in un certo senso
non vi è una domanda complessiva di lavoro, in quanto ogni domanda è specifica,
ossia riguarda una persona di una determinata qualità e sesso che faccia un
determinato lavoro in un determinato luogo.
Nello stesso senso, non vi è una
offerta complessiva di lavoro; ma vi sono soltanto persone di sesso, età e
capacità intellettuali e fisiche diversi, residenti in luoghi diversi, con
gradi di specializzazione e di adattabilità diversi e con gradi diversi di
attaccamento ai luoghi in cui esse si trovano.
Questo è vero l’esistenza di attriti
nel mercato di lavoro, come fattore della disoccupazione, non deve mai essere
dimenticata.
Ma è altresì vero che le singole
domande di lavoro in ciascuna industria e località in un dato momento costituiscono
un totale che in confronto al numero complessivo delle singole persone in cerca
di occupazione in quel dato momento può essere relativamente alto o
relativamente basso.
Questa relazione tra la domanda
complessiva e l’offerta complessiva di lavoro è il più importante elemento
singolo del problema.
Esso influisce sulla posizione di
ogni industria, senza alcuna eccezione e quali che possano essere le speciali
circostanze in cui l’industria si trova, poiché la depressione di un’industria
si ripercuote sulle altre industrie in due modi.
Essa riduce direttamente o
indirettamente la domanda dei prodotti delle altre industrie ed accresce il
numero delle persone che cercano di occuparsi in esse comparativamente alla
domanda. [In questo modo si ha una] pressione eccessiva che durante le
depressioni si esercita per l’accesso alle industrie meno colpite […].
25.
Precedentemente alla prima guerra
mondiale veniva generalmente ammesso che la domanda complessiva di lavoro fosse
adeguata, fuorché nei periodi di depressione ricorrente dovuta ai cicli
economici.
Il problema della disoccupazione si
presentava da un lato come il problema di organizzare il mercato del lavoro in
modo tale da abbreviare gli intervalli tra un impiego e l’altro e da
“decasualizzare” le occupazioni casuali, e dall’altro lato come quello di
mitigare le fluttuazioni cicliche; queste erano generalmente considerate come
un fenomeno monetario cui la politica bancaria poteva porre riparo.
Dopo la prima guerra mondiale la
disoccupazione in Gran Bretagna superò sensibilmente ogni livello raggiunto in
precedenza, e fu probabilmente, in media, due volte e mezzo più grave che nei
trenta anni precedenti al 1914 […].
L’adeguatezza della domanda
complessiva non poté più essere assunta come un dato di fatto; le nuove teorie
economiche insegnarono che non vi era alcun meccanismo automatico atto a
mantenere in equilibrio, senza fatica, l’offerta e la domanda di lavoro […].
26.
La disoccupazione che si manifestò
negli Stati Uniti fra il 1930 e lo scoppio della seconda guerra mondiale fu
anch’essa sensibilmente maggiore che in qualsiasi periodo precedente […]
In Gran Bretagna agivano due fattori:
a) una drastica riduzione della
domanda da parte dei paesi d’oltremare, la quale, per non essere riuscita
l’economia di mercato a generare una domanda interna compensatrice, portò ad
una disoccupazione strutturale cronica per quasi tutto il periodo tra le due
guerre;
b) la depressione ciclica che seguì
al 1929 e che, sebbene meno grave in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, fu
più grave della maggior parte delle depressioni precedenti.
L’eccezionale disoccupazione avutasi
negli Stati Uniti, non può essere attribuita ad alcun fattore esterno, quale
quello della deficienza della domanda d’oltremare; essa fu intensificata e prolungata
dalle misure adottate dagli altri paesi per far fronte alle proprie difficoltà,
ma in larga parte queste misure furono una conseguenza naturale della
depressione stessa e verrebbero ripetute in circostanze analoghe.
27.
La grande depressione del 1931-32 fu
per se stessa del medesimo tipo delle depressioni precedenti.
Sebbene essa sia stata più grave di
qualsiasi altra verificatasi prima e sebbene i suoi effetti in Gran Bretagna
siano stati accresciuti dalla disoccupazione strutturale dovuta alla tendenza
di fondo discendente manifestatasi nella domanda d’oltremare, il movimento
ciclico degli anni dal 1929 al 1938 discende direttamente dalle ripetute
fluttuazioni, le quali, da quando l’industria assunse ala sua forma moderna,
hanno portato l’incertezza a tutti i paesi industrialmente progrediti con una
economia di mercato non pianificata […].
Per quanto riguarda gli Stati Uniti,
non vi è alcuna ragione per credere o sperare che il sistema economico che ha
prodotto questa depressione non riproduca, qualora sia lasciato a se stesso,
depressioni analoghe in futuro.
Per quanto riguarda la Gran Bretagna,
è vero che dopo la prima guerra mondiale operò il fattore speciale della
deficienza della domanda d’oltremare, ma non vi può essere ugualmente alcuna
fiducia che altri fattori speciali non abbiano a ripresentarsi e, aggiungendosi
alle fluttuazioni cicliche, non abbiano a produrre una disoccupazione
intollerabile.
28.
Sebbene sia chiaro che nel periodo
tra le due guerre la disoccupazione in Gran Bretagna e in America è stata più
grave che precedentemente alla prima guerra mondiale, non siamo realmente in
grado di dire quanto cattivo fosse lo stato di cose precedente al 1914, poiché
non disponiamo di elementi esaurienti.
Tre cose, tuttavia sono certe.
In primo luogo, che durante l’ultimo
trentennio precedente alla prima guerra mondiale, la domanda di lavoro generata
nell’economia britannica fu, per cinque anni su ogni sei, deficiente rispetto
all’offerta […].
In secondo luogo, che nel secondo
quarto del secolo diciannovesimo la fluttuazione ciclica in Gran Bretagna,
sebbene incidesse su una parte minore della popolazione, fu per se stessa quasi
altrettanto violenta come fra le due guerre [..].
In terzo luogo, che gli spostamenti
nell’ubicazione dell’industria hanno provocato in Gran Bretagna,
precedentemente alla prima guerra mondiale, una disoccupazione strutturale
dello stesso tipo, sebbene non delle stesse proporzioni, di quella verificatasi
tra le due guerre […].
29.
Mentre il maggiore male della
disoccupazione risiede negli effetti sociali ed umani sui disoccupati e sulle
relazioni tra i cittadini, la perdita puramente materiale di ricchezza
materiale che essa comporta è seria.
Se le risorse di lavoro della Gran
Bretagna non utilizzate tra le due guerre fossero state invece impiegate, si
sarebbe potuto, senza alcun ulteriore mutamento, aumentare la produzione totale
della collettività approssimativamente del 12,5%.
Analisi dell’economia di guerra
30.
La diagnosi delle condizioni di pace
[…] non lascia alcun dubbio sulla debolezza centrale dell’economia di mercato
non pianificata del passato: la sua incapacità di generare una domanda
sufficiente e costante dei prodotti di tale economia, con la maldistribuzione
territoriale della domanda e la disorganizzazione del mercato del lavoro come
debolezze collaterali che sboccano tutte nella disoccupazione.
Per esperienza ripetuta, durante la
guerra la disoccupazione scompare.
Tra le condizioni nelle quali ciò si
verifica, vi sono le ben note interferenze con alcune libertà essenziali nei
periodi di pace: attraverso il razionamento, la direzione del lavoro, e la
proibizione di ritirarsi dal lavoro in caso di controversia.
Ma l’esame della piena occupazione in
tempo di guerra […] indica che queste interferenze sorgono dal particolare
carattere degli obiettivi di guerra e dalla loro urgenza, e che esse non sono
in alcun modo essenziali per realizzare la piena occupazione.
Tale esame mostra che la supposta
distinzione tra l’attività distruttiva dei combattenti e l’attività produttiva
della popolazione civile è irreale: l’una e l’altra sono dirette a scopi
essenziali.
L’esperienza della guerra ha la sua
importanza per la pace, indicando che la disoccupazione scompare e che tutti
gli uomini hanno un valore quando lo Stato crea una domanda illimitata per un
comune scopo che s’impone.
Con gli spettacolosi risultati della
sua economia pianificata la guerra mostra altresì quanto grande sia lo spreco
della disoccupazione.
Infine, l’esperienza bellica conferma
la possibilità di assicurare la piena occupazione socializzando la domanda
senza socializzare la produzione.
Natura di una politica di piena
occupazione
31.
Poiché la disoccupazione ha tre fonti
distinte, l’azione contro la disoccupazione deve essere condotta lungo tre
linee: mantenere in qualsiasi momento un’adeguata spesa complessiva;
controllare l’ubicazione delle industrie; assicurare la mobilità organizzata
del lavoro.
La prima è la linea di attacco
principale; le altre sono sussidiarie, quasi operazioni di rastrellamento.
L’occupazione dipende dalla spesa del
denaro nei prodotti dell’industria; quando l’occupazione diminuisce, è segno
che qualcuno spende meno; quando aumenta, è segno che qualcuno spende di più.
La prima condizione della piena
occupazione è che la spesa totale sia sempre tanto alta da provocare una
domanda di prodotti dell’industria che non possa essere soddisfatta senza che
venga utilizzata l’intera forza di lavoro del paese: soltanto così il numero
dei posti vacanti può essere sempre altrettanto elevato o anche più elevato del
numero degli uomini che cercano lavoro.
Chi deve assicurare che la prima
condizione sia soddisfatta?
La risposta è che questa deve essere
una responsabilità dello Stato.
Nessun altro dispone dei poteri
necessari e la condizione non viene soddisfatta automaticamente.
Deve essere una funzione dello Stato,
in avvenire, quella di assicurare una spesa totale adeguata e per conseguenza
di proteggere i propri cittadini contro la disoccupazione in massa,
precisamente come oggi è funzione dello Stato difendere i cittadini contro gli
attacchi dall’esterno e contro i furti e la violenza all’interno.
L’accettazione di questa nuova
responsabilità da parte dello Stato, da assolversi qualunque possa essere il
governo al potere, segna la linea che noi dobbiamo attraversare, al fine di
passare dalla vecchia Inghilterra della disoccupazione in massa, dell’invidia e
della paura ad una nuova Inghilterra che dia a tutti occasioni di servire.
32.
[…] L’essenza [di una politica di
piena occupazione] è costituita dalla formulazione di un programma a lungo
termine di spesa pianificata secondo una scala di priorità sociali, e mirante a
dare stabilità ed espansione al sistema economico.
Il principale strumento di tale
politica è la impostazione di un nuovo tipo di bilancio dello Stato.
Il programma non riguarda
semplicemente la spesa pubblica, ossia quella fatta direttamente dallo Stato e
dalle autorità locali.
In una società libera la maggior
parte della spesa totale, da cui dipende l’occupazione, è data dalla spesa del
reddito dei privati cittadini.
In una società che mantiene in larga
misura l’iniziativa privata nell’industria, una parte notevole della spesa
totale prenderà la forma di investimenti privati.
Lo Stato, per quanto in una società
libera non cerchi di controllare la spesa dei privati cittadini, sia nel suo
ammontare che nella sua distribuzione, può influenzarla attraverso la
tassazione e le altre forme di politica fiscale.
Il bilancio annuale, pertanto, è uno
strumento attraverso il quale non soltanto si determina la spesa pubblica, ma
si influenza anche la spesa privata.
33.
Il programma a lunga scadenza
delineato […] comprende le spese di qualsiasi genere, sotto cinque distinte
categorie.
Vi è la spesa collettiva in merci e
servizi non commerciabili, che comprendono la difesa, l’ordine pubblico,
l’istruzione gratuita, il servizio sanitario nazionale, strade, opere di
regolazione delle acque ed altri lavori pubblici.
Vi sono gli investimenti pubblici di
natura commerciale nelle industrie attualmente sottoposte a controllo pubblico
o che potranno esservi sottoposte in seguito, accrescendo così il settore di
attività in cui gli investimenti potranno venire attuati a un ritmo costante.
Vi sono gli investimenti commerciali
privati: in questo campo lo Stato, attraverso un nuovo organismo, che
chiameremo Consiglio nazionale degli investimenti, mentre mantiene l’iniziativa
privata, può, con opportune misure, coordinare e stabilizzare l’attività degli
uomini d’affari.
Vi sono le spese private di consumo.
Che costituiscono la più importante delle cinque categorie.
Esse possono essere aumentate
mediante l’azione dello Stato per la redistribuzione del reddito, con misure di
sicurezza sociale e con la tassazione progressiva.
Vi è poi una nuova categoria, che
chiameremo delle spese congiunte di consumo: quella in cui lo Stato prende
l’iniziativa di effettuare ordinazioni collettive di generi alimentari,
combustibili e magari di altri prodotti di prima necessità, con l’intento di
rivenderli in seguito ai privati consumatori ad un prezzo che può essere
ribassato mediante sussidi.
Attraverso queste ultime spese lo
Stato può influenzare tanto l’ammontare che la natura delle spese private, pur
lasciandole libere.
34.
La novità del nuovo bilancio annuale
dello Stato sta in due circostanze: la prima, che esso dovrà riguardare il
reddito e la spesa della collettività nel suo complesso e non soltanto le
finanze pubbliche; la seconda, che esso dovrà assumere come dato il potenziale
umano del paese e fare il piano delle spese in base a tale dato anziché alla
considerazione delle risorse finanziarie.
Il ministro che presenta il bilancio,
dopo aver valutato l’ammontare delle spese che in una condizione di piena
occupazione si ritiene potranno essere effettuate dai privati cittadini per il
consumo e per gli investimenti, deve proporre un ammontare di spese pubbliche
che, insieme alle presunte spese private, sia sufficiente a realizzare la
suddetta condizione, vale a dire che sia capace di occupare l’intero potenziale
umano del paese.
Questo è il principio cardinale.
Esso lascia aperta la questione del
come procurarsi i mezzi necessari per far fronte a tali spese – in particolare
quella della ripartizione tra imposte e prestiti – e la questione degli scopi a
cui sono destinate le spese, che comprendono la questione del riparto tra le
spese pubbliche e le private, tra il consumo e gli investimenti.
[…] vi sono diverse vie alternative
per realizzare la piena occupazione. La via migliore dipende in ogni caso dalle
circostanze del momento.
35.
Un programma alunga scadenza di spesa
pianificata non significa un programma invariabile.
Esso sarà continuamente adattato alle
mutevoli circostanze mediante il bilancio annuale dello Stato.
Tutto il suo carattere può cambiare
gradualmente, in rapporto all’aumento della produttività o ai mutevoli criteri
di giustizia sociale.
Il principio direttivo è quello delle
priorità sociali, ossia di giuste precedenze.
Società diverse o la stessa società
in tempi diversi possono avere differenti opinioni su ciò che deve venir prima,
ossia di quelli che sono i bisogni più urgenti.
Secondo le vedute esposte nella
presente relazione, i più urgenti compiti in Gran Bretagna, una volta terminata
la guerra, saranno, da un lato, quello di condurre un comune attacco contro i
giganteschi mali sociali del bisogno, delle malattie, dell’ignoranza e dello
squallore; dall’altro lato, quello di riattrezzare l’industria britannica, sia
in mani private che pubbliche, con nuovi e migliori macchinari, al fine di
assicurare un costante aumento del tenore di vita; sotto questo riguardo anche
l’agricoltura è da considerarsi tra le industrie.
E’ verso tali compiti che le risorse
produttive della nazione debbono anzitutto essere rivolte, non appena
disimpegnate dalla guerra totale.
E sono questi i compiti del periodo
che nella presente relazione è detto di ricostruzione, il quale durerà forse
venti anni e seguirà al periodo di transizione, che coprirà forse i due anni
successivi alla fine della guerra totale, e attraverso il quale passeremo dalla
guerra alla pace.
Mentre si andrà progressivamente
[avanti] in tali compiti, nuovi bisogni si faranno innanzi e nuove aspirazioni
sorgeranno.
Nel combattere i quattro mali giganti
sopra menzionati, ridurremo anche il male della ineguaglianza, in cui punti in
cui esso è maggiormente nocivo.
Ma anche quando quella lotta avrà
raggiunto i suoi obiettivi, sarà sempre desiderabile e potrà anzi apparir la
migliore via per conseguire la piena occupazione, di adottare misure continuate
nel senso di una più equa distribuzione sia delle risorse materiali, in modo da
ottenere che esse vengano spese anziché risparmiate, sia del riposo, così che
questo possa sostituirsi alla disoccupazione.
Adeguamenti territoriali e
qualitativi tra la domanda e l’offerta di lavoro
36.
La politica della piena occupazione
[…], oltre alla sua principale caratteristica di una spesa totale adeguata,
comprende due misure sussidiarie: l’ubicazione controllata delle industrie e la
mobilità organizzata della mano d’opera.
La prima di esse è richiesta
prevalentemente per ragioni diverse dalla prevenzione della disoccupazione:
essa è diretta contro lo squallore gigante, ossia contro i mali del
congestionamento, del sovraffollamento, delle cattive condizioni igieniche,
delle cattive abitazioni, e della distruzione degli agi nelle città e nelle
campagne, mali che sono decritti nella relazione della Commissione reale sulla
distribuzione della popolazione industriale.
Ma il bisogno di prevenire la cattiva
distribuzione locale della domanda di mano d’opera e la disoccupazione che ne
consegue è una ragione supplementare di attuare un tale controllo.
E’ meglio – e rappresenta
un’interferenza minore nella vita individuale – controllare gli uomini d’affari
in ordine all’ubicazione delle industrie anziché lasciarli senza controllo e
costringere i lavoratori a cambiare abitazione per ragioni di lavoro.
Il controllo dell’ubicazione delle
industrie da parte dello Stato costituisce l’alternativa alla direzione
obbligatoria del lavoro e al formarsi di zone depresse.
Per questa nuova funzione occorre un
nuovo organo dello Stato.
La pianificazione urbana e rurale, i
trasporti e le abitazioni formano un tutto che dovrebbe probabilmente essere
sottoposto alla sorveglianza generale di un ministero dello sviluppo nazionale.
37.
L’altra misura sussidiaria è
costituita dalla mobilità organizzata della mano d’opera, non dalla mobilità
come tale.
L’averla richiamata non significa
ritenere che con la politica della piena occupazione i lavoratori saranno
costretti a continui spostamenti di abitazione e di occupazione.
Al contrario, molti di essi potranno
godere di una maggiore stabilità che non prima.
Molto vagabondare infruttuoso e senza
guida alla ricerca del lavoro avrà fine.
Le industrie che, praticando il
reclutamento casuale della mano d’opera, hanno in passato fatto assegnamento
sull’accumularsi di riserve eccessive di mano d’opera parzialmente occupata,
troveranno la cosa impossibile, nel regime di piena occupazione del tempo di
pace, come l’hanno trovata impossibile durante la guerra.
Sia o non sia reso obbligatorio il
reclutamento della mano d’opera attraverso gli uffici di collocamento, per
tutte le specie di posti vacanti, esso deve essere imposto obbligatoriamente
nei confronti di tutte le persone al di sotto dei diciotto anni, in modo che
l’afflusso alle industrie della gioventù in formazione possa essere saggiamente
indirizzato.
I cambiamenti nella domanda di lavoro
sono inseparabili dal progresso, e cioè sono inseparabili dal miglioramento del
tenore di vita.
La mobilità organizzata significa
che, se e quando un cambiamento sarà necessario, gli adulti saranno disposti a
cambiare le loro occupazioni e il loro luogo di lavoro, invece che darsi
all’ozio.
Esso non significa il moto perpetuo.
Riflessi internazionali
38.
[A proposito dei] riflessi
internazionali della politica di piena occupazione […] non occorre che sia
messa in rilievo l’importanza vitale del commercio estero per la Gran Bretagna.
Per mantenere un tollerabile tenore
di vita, la Gran Bretagna deve effettuare certe importazioni, e, dopo la
guerra, deve essere in grado di esportare una maggiore quantità di merci per
pagare le sue importazioni, dato che nei primi anni di guerra ha dovuto vendere
molta parte dei titoli, i quali rappresentavano investimenti all’estero fatti
in precedenza e fruttavano interessi i quali venivano pagati con le
importazioni, e dato che i guadagni della marina mercantile britannica saranno
per qualche tempo seriamente ridotti.
Per vivere, la Gran Bretagna ha
bisogno di un certo minimo di importazioni e di esportazioni; per vivere
meglio, dovrà procurare di sviluppare quanto possibile il suo commercio
internazione.
Questo non significa, però, che la
Gran Bretagna debba rimandare l’adozione di una politica di piena occupazione
all’interno, fino a quando non sarà conosciuto l’atteggiamento degli altri
paesi nei confronti del commercio internazionale e la forma migliore in cui
questo potrà svolgersi.
Al contrario il più grande servizio
che la Gran Bretagna possa rendere agli altri paesi, come a se medesima e allo
sviluppo del commercio internazionale, sta nell’adottare subito una politica di
piena occupazione all’interno, mettendo in chiaro che per essa il commercio
estero è un mezzo di elevare il tenore di vita di tutti i paesi con onesti
scambi, e non un espediente per esportare disoccupazione.
Una volta chiarito questo, la Gran
Bretagna dovrebbe cooperare con gli altri paesi a sviluppare al massimo il
commercio internazionale su una base quanto più possibile libera, e dovrebbe
essere pronta ad entrare nel più vasto sistema monetario e di compensazione
internazionale, che abbia buone prospettive di mantenersi.
39.
Ma le prospettive di un qualunque
sistema del genere dipendono non tanto dai suoi particolari tecnici quanto
dalle direttive di politica economica dei paesi che vi prendono parte.
[…] un qualsiasi piano di commercio
multilaterale non controllato da un gruppo di paesi può essere permanente e
funzionare senza attriti solo se ciascun paese accetta tre condizioni: la
prima, di seguire all’interno una politica di piena occupazione; la seconda, di
adottare o di accogliere tutte le misure necessarie a pareggiare i suoi conti
con il resto del mondo, e di evitare gli squilibri, siano avanzi o disavanzi;
la terza, di realizzare una ragionevole continuità e stabilità nella politica
economica estera, e particolarmente nei riguardi del controllo degli scambi con
l’estero mediante i dazi doganali, i contingentamenti e altri mezzi.
La prima di queste condizioni non
significa che, se un determinato paese non riesce a mantenere la piena
occupazione, debba per questo fatto essere immediatamente o permanentemente
escluso dal sistema del commercio internazionale.
Ma essa vuol significare che un paese
il quale persegua la piena occupazione deve, nel formulare i piani del
commercio internazionale, tener conto non semplicemente della politica
economica estera degli altri paesi, ma anche della loro politica economica
interna e delle prospettive di stabilità di tale politica, e riservarsi il
diritto di proteggersi con misure di discriminazione commerciale e con
provvedimenti di altro genere, contro il contagio della depressione.
[Si dimostra che] il riconoscimento
di questo facoltà di proteggersi contro il contagio della depressione non può
in definitiva peggiorare le condizioni del paese depresso.
40.
Il ripristino, nella più larga misura
possibile, del commercio multilaterale, sulla base delle tre condizioni
suaccennate, dovrebbe costituire il primo obiettivo della politica britannica.
Se, come potrà avvenire, un sistema
mondiale di commercio multilaterale non fosse raggiungibile o non lo fosse
immediatamente, la migliore via che rimarrebbe aperta alla Gran Bretagna
sarebbe quella di un sistema regionale di commercio multilaterale, esteso ai
paesi in grado di accettare le sopraddette condizioni.
La terza alternativa disponibile per
procurarsi un minimo di importazioni, senza del quale il tenore di vita
britannico non potrebbe essere mantenuto, è quello di stipulare accordi
bilaterali con determinati paesi fornitori che intendano al tempo stesso
accogliere esportazioni britanniche.
In un modo o nell’altro, non vi è
dubbio che per la Gran Bretagna il problema di procurarsi il minimo necessario
di scambi internazionali può essere risolto.
La Gran Bretagna deve formulare la
propria politica di piena occupazione secondo varie alternative, e riservarsi
la facoltà di adottare la seconda o la terza alternativa, in ordine di
preferibilità, qualora la prima non possa essere realizzata.
41.
La necessità per la Gran Bretagna di
avere un volume sostanziale di scambi esteri significa che l’occupazione in
Gran Bretagna sarà soggetta alle variazioni della domanda estera.
Ma si possono adottare provvedimenti
per diminuire queste variazioni, e tutte le misure possibili dovrebbero essere
adottate in cooperazione con le altre nazioni.
[…] la stabilizzazione della
produzione e del collocamento dei prodotti primari, ossia dei generi alimentari
e delle materie prime, costituisce una misura essenziale per evitare le
fluttuazioni nei paesi industriali.
Ma per quanto si possa fare per
ridurre le variazioni nella domanda estera, è certo che però qualche variazione
continuerà a verificarsi.
La politica della piena occupazione
della Gran Bretagna deve e può contenere misure idonee a variare la domanda
interna in modo da far fronte alle variazioni della domanda estera.
42.
Nella politica della piena
occupazione vi è un altro aspetto internazionale oltre a quello del commercio
estero della Gran Bretagna.
La presente relazione è in primo
luogo e soprattutto una relazione fatta per la Gran Bretagna, e quella che
viene proposta è una politica particolare per la Gran Bretagna.
Ma il problema centrale affrontato in
questa relazione è lo stesso problema che sta innanzi a tutte le comunità industriali
progredite, le quali desiderano conquistare la sicurezza del lavoro per i loro
cittadini preservandone le libertà democratiche.
Soprattutto, il problema è per la
Gran Bretagna fondamentalmente lo stesso cui deve far fronte la più grande
comunità industriale del mondo: gli Stati Uniti d’America. Per la Gran Bretagna
e l’America le libertà essenziali del cittadino che devono essere ad ogni costo
preservate sono le stesse.
L’esperienza della insicurezza che da
almeno un secolo ricorre attraverso le fluttuazioni cicliche è pressappoco la
stessa. L’esperienza della disoccupazione devastatrice e dello spreco di
uomini, nell’ultimo decennio precedente alla guerra, è dello stesso genere,
sebbene possa differire nel grado o nei particolari.
L’esperienza della mutua dipendenza
tra le diverse nazioni, che è stata insegnata con tanta efficacia, a tutti
coloro che sono disposti a guardare in viso la realtà, dalla grande depressione
iniziatasi con il 1930, dovrebbe divenire una forza motrice della
collaborazione diretta ad assicurare, per l’avvenire, una prosperità cui tutti
contribuiscano.
I particolari di una politica di
piena occupazione negli Stati Uniti potranno essere diversi da quelli che sono
qui indicati per la Gran Bretagna. Ma tanto agli Stati Uniti che alla Gran
Bretagna è applicabile il principio che sta alla base delle proposte qui fatte,
che il governo nazionale, organo supremo della collettività, assuma la
responsabilità di assicurare in ogni momento una spesa adeguata alla piena
occupazione.
Ciò è compatibile con la permanenza,
in via principale o esclusiva, della condotta effettiva della produzione e
dell’impiego della forza di lavoro nelle mani dell’iniziativa privata, ossia di
imprese che lavorano per un profitto e alle quali si applica il collaudo del
profitto che riescono ad ottenere.
Ma la disoccupazione in massa non può
essere evitata se non si mantiene un certo di livello di spesa, e in qualsiasi
paese le libere istituzioni possono essere messe in pericolo da un ritorno
della disoccupazione in massa.
43.
Infine, sebbene la presente relazione
sia anzitutto fatta per la Gran Bretagna e tratti di quel che quest’ultima
dovrebbe fare entro i propri confini per mettere ordine nella propria casa,
questo non implica alcuna ristrettezza di vedute sul posto che la Gran Bretagna
ha nel mondo o sulle sue responsabilità verso le altre nazioni.
Non implica che si debba ignorare
l’urgente dovere che grava sulla Gran Bretagna, come su qualunque altro paese
che sia sfuggito interamente o largamente alla devastazione fisica della comune
guerra, di contribuire con tutte le proprie forze, senza cercare alcuna
ricompensa, alla pronta ripresa delle regioni meno fortunate.
E ancor più che questo, la Gran
Bretagna, sebbene non detenga o non desideri più di avere la posizione unica
che occupava come principale paese industriale del mondo, è tuttora un paese ad
alto livello di produzione e di consumo.
Essa ha ancora, perciò, la
responsabilità di apprendere come si possa diffondere, in futuro, la prosperità
al posto della depressione, e di aiutare a promuovere lo sviluppo industriale e
l’elevamento del tenore di vita, non soltanto tra la propria gente ma anche tra
gli altri popoli.
Ciò non viene dimenticato nella
presente relazione. Ma la Gran Bretagna non può adempiere alle proprie
responsabilità verso l’estero, e non può essere un buon vicino di altre
nazioni, senza essere all’interno attiva, produttiva e soddisfatta.
Lo Stato e il cittadino
44.
La piena occupazione non può essere
realizzata e mantenuta senza che siano largamente estese le responsabilità e i
poteri che lo Stato esercita attraverso gli organi del governo centrale.
Nessun potere minore di quello dello
Stato è in grado di assicurare in ogni tempo una adeguata spesa totale, né può
controllare, nell’interesse generale, l’ubicazione delle industrie e la
destinazione dei terreni.
Chiedere che sia attuata la piena
occupazione mentre si sollevano obiezioni contro l’estensione dell’attività
statale significa volere il fine e rifiutare i mezzi.
E’ come gridare per la vittoria nella
guerra totale mentre si respingono la circoscrizione e il razionamento.
In questa relazione le nuove funzioni
e i nuovi poteri che lo Stato dovrebbe avere sono messi in evidenza perché sono
essenziali.
Ciò non significa che il fine possa
essere raggiunto solo attraverso questi poteri.
Il principio basilare di questa
relazione è di proporre che lo Stato faccia soltanto quelle cose che solo lo
Stato può fare meglio di qualsiasi autorità locale o di qualsiasi privato
cittadino, sia preso singolarmente che in associazione con altri, e di lasciare
a questi ultimi compiti che, se vogliono, essi possono adempiere altrettanto
bene o anche meglio dello Stato.
La politica di assicurare la piena
occupazione è una politica che deve essere svolta attraverso l’azione
democratica di autorità pubbliche, centrali e locali, responsabili in
definitiva di fronte agli elettori, e di associazioni volontarie e di privati
cittadini che cooperano consapevolmente ad uno scopo comune che essi
comprendono ed approvano.
Le proposte formulate nella presente
relazione preservano in modo assoluto tutte le libertà essenziali, le quali
sono ben più preziose della stessa piena occupazione.
Esse rispettano e sono dirette a
preservare molte altre libertà ed istituzioni che, per quanto non egualmente
essenziali, sono profondamente radicate in Gran Bretagna.
.45
Le proposte formulate non implicano,
ad esempio, alcun indebolimento delle amministrazioni locali, né alcuna
surrogazione alle autorità locali nell’attuale loro campo d’azione.
Lo Stato deve compiere alcune cose
nuove ed esercitare taluni controlli che non sono attualmente esercitati da
alcuno. Esso dovrà stabilire il programma di una spesa pianificata per
combattere i mali sociali e assicurare i mezzi per far fronte a tale spesa.
Ma una larga parte della esecuzione
del programma – in materia di salute pubblica, abitazioni, istruzione ed in
altri campi – e l’adeguamento del programma alle condizioni locali dovrà essere
compito delle amministrazioni locali anziché del governo.
.46
Ancora, le proposte formulate non
comportano un cambiamento generale nella direzione e nell’organizzazione
dell’industria, sia nei riguardi dell’amministrazione che della mano d’opera.
Esse prospettano bensì un’espansione
del settore dell’industria sottoposto a diretto controllo pubblico, ma si
tratta sempre di un settore.
La politica qui delineata viene
prospettata come qualcosa di funzionale che potrebbe realizzare la piena
occupazione, anche se la maggior parte dell’industria dovesse continuare ad essere
gestita dall’iniziativa privata a proprio rischio.
Indubbiamente il conseguimento della
piena occupazione, influirebbe sul funzionamento di molte istituzioni
industriali e solleverebbe molte questioni; il rendere il mercato del lavoro un
mercato favorevole al venditore anziché al compratore è una rivoluzione tale da
dare un nuovo indirizzo a ogni problema.
Alcune delle più importanti
questioni, quali la disciplina del lavoro, la determinazione dei salari, la
determinazione dei prezzi, il trattamento dei monopoli e delle associazioni
intese a regolare i prezzi, sono […] tra i problemi insiti nella piena
occupazione.
La conclusione generale è che il
grado di libertà che in tale materia può essere lasciato a organi indipendenti
dallo Stato, senza mettere in pericolo la politica di piena occupazione,
dipende dal senso di responsabilità e dal civismo con cui le libertà vengono
esercitate.
Non vi è ragione di dubitare che
questo senso di responsabilità e di civismo debbano far difetto.
.47
La conclusione provvisoria raggiunta
[…] sulla questione generale della proprietà pubblica in contrapposto alla
iniziativa privata nell’industria è che la necessità del socialismo, inteso nel
senso della nazionalizzazione dei mezzi di produzione, di distribuzione e di
scambio, al fine di assicurare la piena occupazione, non è stata ancora
dimostrata.
Ciò non implica alcun giudizio sulla
questione generale, del socialismo o del capitalismo, che rimane oggetto di
dibattito per altri motivi. Non significa che il problema della piena
occupazione e quello del controllo della industria non siano collegati in alcun
modo; essi lo sono in vari modi. Significa soltanto che si ritiene che sarebbe
possibile ottenere un lavoro produttivo per tutti anche in regime di iniziativa
privata.
Non è qui necessario decidere se
sarebbe più facile o più difficile ottenere ciò in regime di nazionalizzazione
e se altre ragioni militino a favore del socialismo.
Il problema di mantenere per le
risorse produttive del paese una richiesta tale che esse siano impiegate
produttivamente nel far fronte ai bisogni umani sorge tanto se l’industria è
controllata dal privato che cerca di realizzare un profitto, quanto se è
controllata da un autorità pubblica.
In entrambi i casi si tratta
largamente dello stesso problema.
La politica delineata in questa
relazione è proposta come qualcosa che potrebbe e dovrebbe essere accettato da
persone le quali abbiano vedute profondamente divergenti sul problema di chi
debba in definitiva dirigere l’industria o circa il carattere della giustizia
sociale.
Il piano per la sicurezza sociale e
la politica dell’occupazione
48.
Nella relazione sulle assicurazioni
sociali e sui servizi affini lo scrivente espose un piano per la sicurezza
sociale.
La presente relazione non traccia un
“piano” ma una “politica” di piena occupazione.
La differenza di termini è dovuta, in
parte, alle diverse circostanze nelle quali le due relazioni sono state
compilate, per cui una ha potuto avvalersi di tutto l’aiuto che il governo e i
ministeri hanno potuto offrire, mentre l’altra non ha potuto avvalersi di tale
assistenza.
Con lo stesso aiuto, questa seconda
relazione avrebbe potuto trattare di molti particolari di carattere pratico che
invece si sono dovuti omettere.
49.
Ma la differenza di termini tra “piano”
e “politica” non deriva semplicemente o prevalentemente dalla diversità delle
condizioni nelle quali le due relazioni sono state fatte.
Essa riflette anche una fondamentale
differenza tra i problemi da risolvere.
La sicurezza sociale può oggi formare
oggetto di un piano ben definito e di una legislazione che gli dia effetto.
Essa sta interamente in facoltà di
ciascun governo nazionale: una volta presa la decisione di abolire il bisogno
mercé un’applicazione comprensiva ed unificata delle assicurazioni sociali come
metodo principale, una volta regolate alcune poche questioni di equità tra i
contribuenti antichi e quelli nuovi, il resto non rappresenta che particolari
di carattere amministrativo e attuariale: il piano dovrebbe essere quanto più
definito possibile, in modo che ogni cittadino, conoscendo esattamente quel che
può attendersi dalle assicurazioni sociali, possa farsi un piano personale di
spese e di risparmi adeguato ai suoi particolari bisogni.
50.
La prevenzione dell’ozio imposto
dalla disoccupazione di massa è un compito ben diverso.
Una legislazione particolareggiata
non è necessaria né utile.
E’ un problema di adattamento della
azione dello Stato alle libere attività dei cittadini dello Stato stesso e alla
politica degli altri Stati.
Esso implica una importante decisione
di principio – l’accettazione da parte dello Stato di una nuova responsabilità
verso l’individuo – e l’istituzione di un organo statale con poteri adeguati
per assolvere a tale responsabilità.
Ma la condotta che questo organo deve
seguire non può essere stabilita in anticipo.
[…] il perseguimento della piena
occupazione non è simile al volo guidato di un aereo secondo un’onda radio
direttrice: è una difficile navigazione, il cui corso deve essere guidato
manovrando tra correnti e forze mutevoli, imprevedibili e in larga misura
incontrollabili.
Tutto quel che può farsi è di
procurare che il pilota disponga dei comandi necessari e di uno strumento di
bordo che gli indichi quando e come deve usarli.
E’ inoltre necessario che il pilota abbia
sempre la volontà di usare i comandi per mezzo dei quali soltanto può arrivare
a destinazione.
__________
Note:
1 Questa definizione è tratta dalla Dichiarazione del
Nuffield College su Employment policy and
Organisation of Industry after the War. La Dichiarazione aggiunge che la
piena occupazione in questo senso “non può essere raggiunta compiutamente
fintantoché esistono squilibri strutturali che necessitano di essere corretti”.
[FINE]
* Ho omesso i
riferimenti alle diverse parti della relazione contenuti nell’introduzione. Le
omissioni sono indicate con […].
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