Adam S.
Posen
Germany Is Being Crushed by Its
Export Obsession
Pubblicato il 3 settembre
2013 sul Financial Times.
Pubblicazione
disponibile sul sito del Peterson Institute for International Economics, del quale Posen è il presidente, qui.
L'ossessione per le esportazioni stritola la Germania
[
Traduzione di Giorgio D.M. ]
Se il
modello economico tedesco è il futuro dell’Europa dobbiamo tutti essere molto
preoccupati.
Ma sembra
proprio che sarà così.
La campagna,
apparentemente di successo, per la rielezione di Angela Merkel, il cancelliere
cristiano democratico, promette “il futuro della Germania in buone mani”.
Ancora di
più, in altre parole, della stessa cura.
La risposta
politica alla crisi della zona euro è probabile che rimanga un programma per
indurre gli Stati che ne fanno parte a seguire la via tedesca alla
competitività: la riduzione del costo del lavoro.
Non c’è un
errore; proprio la riduzione del costo del lavoro è stata la base del successo
delle esportazioni della Germania negli ultimi dodici anni, e le esportazioni
hanno costituito la sua unica fonte di crescita in questo periodo.
Ma una
nazione ricca non dovrebbe competere sulla base di salari bassi.
A partire
dal 2003, la diminuzione del tasso di disoccupazione è stata la conseguenza
della creazione di un grande numero di posti di lavoro con salari bassi e
part-time o con orari flessibili, privi dei benefici e delle tutele garantite
alle precedenti generazioni nel dopoguerra.
La Germania
oggi ha la quota più elevata, nell’Europa occidentale, di lavoratori con salari
inferiori al reddito nazionale mediano.
Gli
incrementi medi dei salari nell’ultimo anno sono stati maggiori dell’inflazione
e del tasso di crescita della produttività per la prima volta dopo più di un
decennio di stagnazione.
Idealmente,
un paese ricco dovrebbe rimanere competitivo attraverso la ricerca e sviluppo,
e gli investimenti di capitale.
Invece, gli
investimenti fissi lordi totali sono diminuiti continuamente in Germania, dal
24 per cento a meno del 18 per cento del PIL, a partire dal 1991.
La recente
indagine economica dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (OCSE) afferma che gli investimenti in Germania sono stati
permanentemente ben al di sotto dei tassi delle altre principali economie del
G-7 a partire dal 2001 (e non solamente a causa delle bolle della metà degli
anni Duemila negli Stati Uniti e nel Regno Unito).
Anche il
piccolo miracolo dell’occupazione e il boom delle esportazioni iniziati nel
2003 non sono stati tali da indurre gli imprenditori tedeschi ad incrementare
gli investimenti - e gli investimenti in infrastrutture pubbliche sono stati
ancora più scarsi.
L’altro
modo con il quale una nazione ricca può rimanere in cima alla catena del valore
aggiunto, e competere così sulla base della produttività, è l’investimento nel
capitale umano - cioè istruire la sua forza lavoro.
In Canada,
Francia, Giappone, Polonia, Spagna, Inghilterra e negli Stati Uniti, la quota
di lavoratori giovani con un’istruzione avanzata è più alta che in Germania di
almeno il 10% - nella maggior parte di essi del 20% o anche di più.
La Germania
inoltre è una delle due uniche economie avanzate nelle quali la quota dei
giovani tra i 25 e i 34 anni con i titoli di studio più elevati è la stessa, o è
minore, che nelle generazioni precedenti (l’altra sono gli Stati Uniti).
La Germania
non ha investito nel suo sistema universitario pubblico mentre il settore
privato ha mantenuto ma non ampliato l’offerta dei suoi famosi apprendistati.
Il
risultato è che la crescita della produttività in Germania è stata bassa nel
confronto con i paesi ad essa pari.
La crescita
del PIL per ora lavorata è stata del 25 per cento al di sotto della media dei
paesi OCSE, sia risalendo fino alla metà degli anni Novanta che considerando
solo l’ultimo decennio - e sia includendo che escludendo gli anni della bolla
per quanto riguarda gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Con questi
risultati per quanto riguarda la produttività, non meraviglia il fatto che le
imprese tedesche competano solo per mezzo della riduzione dei salari relativi e
spostando la produzione a est.
Gli esempi
di aziende eccellenti nel settore Mittelstand - il settore delle imprese medie
e delle aziende a conduzione familiare - e le loro esportazioni di manufatti
verso la Cina non devono oscurare la realtà.
Come
Lawrence Edwards e Robert Lawrence del Peterson Institute mostrano nel loro
nuovo libro “Rising Tide”, la quota del settore manifatturiero sul totale
dell’occupazione è diminuita dello stesso ammontare negli ultimi 40 anni, di
circa il 15%, in quasi tutte le economie avanzate - inclusa la Germania.
Le uniche
due economie ricche nelle quali l’occupazione nel settore manifatturiero è
diminuita di meno sono l’Italia e il Giappone, nessuna delle quali è un motore
della crescita.
Le ragioni
di scambio per la produzione industriale - cioè il valore relativo dei prodotti
industriali fabbricati da un paese confrontato con quello di tutte le sue
importazioni di prodotti industriali - sono aumentate nello stesso modo sia per
gli Stati Uniti che per la Germania a partire dal 1990.
Non c’è
alcuna evidenza di un particolare successo della Germania nel settore
manifatturiero.
Qualcuno
potrebbe dire che la Germania sta semplicemente affrontando meglio la situazione nella quale si trovano le economie più ricche in un mondo
globalizzato - in particolare per quanto riguarda la pressione al ribasso
esercitata sui salari dei lavoratori poco qualificati in Occidente.
Certamente,
la Germania non è da sola con la sua crescente disuguaglianza e la riluttanza
delle sue imprese ad investire.
Una tale
valutazione, tuttavia, ci rende ciechi di fronte ai vantaggi che deriverebbero
da una agenda di riforme di diverso tipo, possibile sia per la Germania che per
la zona euro.
Il
sottoinvestimento della Germania è il risultato di profondi problemi
strutturali dell’economia, che non sono colpa del suo mercato del lavoro ora
più flessibile.
L’ossessione
per le esportazioni ha distolto l’attenzione dei politici dalla
ricapitalizzazione delle banche tedesche, dalla deregolamentazione del settore
dei servizi e dall’incentivazione della riallocazione del capitale verso nuovi
settori.
Inoltre,
gli investimenti pubblici in infrastrutture, l'istruzione e lo sviluppo
tecnologico potrebbero contribuire ad ampliare gli investimenti privati profittevoli,
il che porterebbe a una crescita con salari più alti.
La
dipendenza dalla domanda estera ha privato i lavoratori tedeschi di quello che
hanno guadagnato, e dovrebbero essere capaci di risparmiare e spendere.
Questo li
mantiene dipendenti dalle esportazioni per la crescita, in un circolo vizioso
che si auto-rinforza.
Ancora più
importante, questo significa che i lavoratori tedeschi si muovono verso il
basso lungo la catena del valore, in termini relativi, non verso l’alto.
Il
perseguimento della stessa politica da parte dei partner commerciali europei della
Germania rafforzerà queste pressioni.
La
compressione dei salari non è una strategia di crescita che avrà successo per
il futuro della Germania o dell’Europa.
[FINE]
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